Ricevuto e pubblicato – Francesco Filippucci
BERKELEY – Sono due giorni che a Berkeley, la più importante università pubblica americana, infuriano le riots. Sono iniziate sabato sera, quando su Telegraph Avenue, la strada di Mario Savio, sotto la mia finestra, la polizia ha sgomberato a suon di lacrimogeni un gruppo che manifestava per i fatti di Ferguson, Missouri (5000 km da qui, vicino a dove stavo due anni fa).
All’inizio credevo fosse il solito teppismo, ma ieri, quando il corteo è ripassato sotto casa mia, ho chiamato Christophe e mi sono unito. Facevano sul serio. Alcuni gruppetti assaltavano le banche e la folla li incitava. E quando avevano frantumato i vetri a sassate e sprangate, non permettevano a nessuno di entrare e saccheggiare. Assaltavano i negozi AT&T e gli Starbucks, non i piccoli bar, gli small business, i negozi di bici e i groceries, che invece venivano protetti dagli attacchi dei più violenti. Spaccavano i cassonetti e li buttavano per strada per ostacolare la polizia, ma subito dopo gruppi organizzati di studenti ripulivano tutto: anche la mattina dopo li ho visti risistemare la città. Insomma, hanno del metodo. Lo si capisce dalle facce che vedi. Incroci gente che hai visto a lezione, senti discorsi sulla democrazia, su Obama, sul capitalismo e sul sistema. Ci dice un tipo sulla trentina: ”Son contento che siate venuti, è in queste situazioni che io sono passato da essere liberal (che in America significa di centrosinistra) a essere radical. Capisco possa sembrare controproducente, purtroppo è l’unico modo per farci sentire. Pensaci. Parli e non ti ascoltano. Voti e non cambia nulla. Le banche che finanziano il sistema non avranno problemi a rifarsi i vetri. Purtroppo. Dobbiamo come minimo provare a distruggere le infrastrutture del capitalismo… Yeah! Fuck that cheeseburgers!”. I manifestanti stavano assaltando un Mc Donald.
Il giorno dopo ne riparlo con Chris, mentre ci mangiamo un burrito. Pare che verso le 2 di notte il corteo, dopo aver fallito l’assalto al commissariato, si sia spostato verso Oakland e le cose siano peggiorate. E’ diventato un saccheggio. Chris dice che era l’unico bianco nel corteo. “Lo so che la gente di Oakland è povera, ma saccheggiare i centri commerciali non è fare redistribuzione. Ho visto gente divertirsi con le go pro e le radioline rubate di fresco. E ubriacarsi con lo champagne di un liquor store devastato”. Questo è loothing, rubare.
Tuttavia, mi ha colpito la prima parte della protesta. Da riformista, continua a sembrarmi abbastanza ridicola e controproducente tutta questa storia. Ma comincio ad avere qualche simpatia in più per la causa. E’ un sistema in cui il disagio è innegabile. Le diseguaglianze sono grandi come i problemi di questa enorme nazione, e tu sei solo uno dei tanti. Non è come da noi, che bene o male stiamo tutti con il sedere parato. Qui la gente finisce in strada per davvero. Qui la gente si ipoteca la vita per studiare. Qui la gente, se si fa male e ha bisogno di un ambulanza, deve sganciare 5000 bucks, l’ho visto coi miei occhi. Immaginate come deve essere, per un momento. Poi, aggiungete che è difficile farsi sentire. Puoi andare in piazza e parlare, ma nessuno ti ascolta: ce ne son tanti di matti disgraziati, ce ne son tanti di predicatori, soprattutto in questo paese e soprattutto nella Sproul Plaza davanti all’università. Puoi votare, ma poi ti ritrovi i repubblicani che ti aboliscono l’Obamacare. Ti scopri deluso e disorientato: chi difende i più deboli oggi? Obama? Quando fu eletto un sacco di persone povere, ignoranti e di colore andarono a votare per la prima volta. Si ritrovarono con una nuova Clintonian Triangulation. Adesso probabilmente quelle persone sono in strada a saccheggiare a Oakland. E non puoi dare la colpa a loro. Qui è davvero diverso che da noi. E’ davvero un sistema soffocante, in cui, se perdi, hai perso. Winners take all.
E’ un popolo superficiale per necessità: hanno poco a cui aggrapparsi. La salute, la religione, la giustizia, tutto dipende e tutto è in vendita, reclamizzato in TV. Non è uno stereotipo o retorica, provare per credere: spot che ti inducono a credere che hai problemi di respirazione o che ti suggeriscono di fare causa al tuo datore di lavoro chiamando un numero verde di avvocati, che ti spiegano come funziona Dio davanti a un piatto di noodles. Viene da chiedersi se sia l’immagine del nostro futuro. Vengono in mente Piketty e Sen quando parlano di capitalismo, libertà e democrazia. Questo paese è la manifestazione più alta del capitalismo, pronta a essere superata dalla ben meno divertente e appassionante Cina.
Noi italiani, per fortuna, siamo in declino. In questa terra di opportunità e diseguaglianze, immigrati razzisti, ideali e cinismo, estremismi e classe media, è troppo facile giocare, credere e finire sconfitti. A Las Vegas, in un ufficio, o in un blindato in Iraq. E’ una giungla in cui non sei mai stato così libero. Libero di anestetizzarti o impazzire, prender la bandiera a cui giuravi fedeltà al liceo, nella confraternita e durante il tuo servizio militare, e scagliarti contro i mulini a vento. “Don’t shoot!”.
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