Berlinale 2015. Recensione: I AM MICHAEL, storia di un gay pentito

Creato il 12 febbraio 2015 da Luigilocatelli

I am Michael, un film di Justin Kelly. Con James Franco, Zachary Quinto, Emma Roberts. Sezione Panorama.Vita di Michael Glatze, militante gay nella San Francisco anni Novanta che poi riscopre la religione diventando eterosessuale e predicatore cristiano. Una storia, comunque la si giudichi, straordinaria. Diventata un film con James Franco protagonista. Poteva essere qualcosa di esplosivo e innescare una culture war. Non è, non sarà così. Voto 6 e mezzo
Qui a Berlino, nella città con una delle comunità gay più radicate del mondo (leggere Christopher Isherwood per rendersene conto), nel festival che più spazio concede al cinema queer con tanto di premio dedicato, il Teddy Award, è arrivato nella sezione Oanorama un film a tema queer che si annunciava esplosivo. Che avrebe potuto innescare una bruciante culture war. Invece niente polemiche, anzi, alla fine del press screening di gala allo ZooPalast ci sono stato solo applausi per I am Michael, per il suo regista Justin Kelly, per il protagonista James Franco, tutti saliti sul palco a prendersi l’ovazione. S’annunciava esplosivo, I am Michael, per la storia – vera, verissima – che tira in ballo, non senza un certo coraggio. Quella di Michael Glatze, militante gay tra anni Novanta e primi Duemila di San Francisco, storica roccaforte del movimento, impegnato soprattutto sul fronte del supporto ai giovani gay. Missione cui, quando lo vediamo a inizio film, Michael si dedica con conferenze in ogni parte degi Sati Uniti, fondando il magazine Yga (Young Gay Americans), organizzando le riprese di un docu inteso a testimoniare di quali bullismi e pregiudizi siano vittime gli Yga. Tutto politicamente correttissimo, tutto dalla parte giusta. Con lui naturalmente fidanzato a un bravo ragazzo (lo Zachary Quinto nuovo dottor Spock dello Star Trek-reboot), ed è tutto un ciu ciu tra un impegno e l’altro, le serata a casa e con gli amici. Finché la coppia si apre senza traumi apparenti al triangolo incorporando un ragazzo conquistato alla causa militante (di triangoli a letto se ne son visti più d’uno a questa Berlinale). Everything is fine, come continuano a dirsi tutti. Però Michael comincia a accusare crisi acute di panico che lo lasciano devastato, e a poco poco comincia a sentire il richiamo del cristianesimo, della religione in cui ha sì vissuto da ragazzo ma poi abbandonata. Comincia a leggere la Bibbia di nascosto dal suo compagno e dagli altri, chi mai nel giro di Castro, il distretto gay di san Fancisco, potrebbe capire? È l’inizio di un change inaspettato. Michael abiurerà l’omosessualità in quanto, secondo la comunità cristiana in cui nel frattempo è entrato, incompatibile con la retta via. Conoscerà una ragazza, diventerà un predicatore. Comunque la si guardi, comunque la si giudichi, una storia straordinaria, che contraddice la narrazione sull’omosessualità che si è consolidata ed diventata egemone in tutto l’Occidente negli ultimi decenni. Già, ma il film? Va detto che l’operazione nasce se non proprio all’interno della gay culture certo nel suo raggio d’influenza. Gay m’è parso di capire è il regista Justin Kelly, icona gay è James Franco (ha interpretato più ruoli omosessuali lui negli ultimi di ogni altro attore), tra i produttori c’è Gus Van Sant. I am Michael allinea i fatti della vicenda Glatze, non smonta e non deride grossolanamente la scelta crisiana del suo protagonista. Il faticoso, e anche doloroso cambiamento di Michael è visto e raccontato con rispetto. Però senza la minima empatia. Sottilmente (vedi l’ultima inquadratura) ci viene suggerito che quella di Michael è una scelta contro se stesso, contro il proprio sè autentico, un colossale errore che lo condannerà a una vita di sofferenza. Nessno dei suoi amici di un tempo, nessuno degli amanti, gli sta davvero vicino in quella traversata, nessuno cerca di capire le sue ragioni. Tutto l’entourage della sua precedente vita omosessuale lo considera vittima di una debolezza psicologica, di una deragliamento patologio. Il film si guarda bene dall’alimentare nei confronti del suo main character l’indignazione gay, procede con cautela, ma insieme prende le distanze da Michael e lo isola, lo lascia solo alle prese con se stessoo. Non si realizza purtroppo quello che, prima di vedere I am Michael, mi aspettavo. Un film gay che avesse il coraggio di raccontare chi gay ha deciso di non esserlo più, e di raccontarlo come una scelta, come un diritto. Il diritto di abiurare l’omosessualità. Non aspettatevi (qualora arrivasse in Italia) un film travolgente per invenzioni narrative e visioni di cinema. Justin Kelly gira correttamente, ma non è Gus Van Sant, e in I am Michael quel che viene raccontato è molto più significatio di come lo si fa. Riflessione a margine: Michael in fondo non fa che passare da una militanza all’altra, da un impegno totalizzante all’altro, come se fosse solo cambiato l’obiettivo, non l’intensità con cui lo persegue. Tra il Glatze militante dei diritti gay e il predicatore cristiano c’è davvero una differenza così abissale? O sono di più le affinità?


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