Kumiko, The Treasure Hunter – Kumiko, la cacciatrice di tesori. Un film di David Zellner. Con Rinko Kikuchi, Nathan Zellner, David Zellner. Nella sezione Forum.
Siamo appena al secondo giorno ma questo film fintogiapponese e in realtà molto indie-americano si candida a ciofèca massima della Berlinale 2014. Ieri pomeriggio gran folla a vederlo, ma solo perché, essendo il primo giorno di festival, era l’unico disponibile a metà è pomeriggio. Conforta all’inizio vedere tra i co-producer anche il nome di Alexander Payne, una garanzia, ti dici. Invece no, forse è un suo omonimo, qui di Payne c’è solo il vagare e il girovagare per le strade laterali dell’America più laterale. Certo, film cinefilo e ipercitazionista, sicché temo che si procurerà degli estimatori nella pattuglia degli amanti del metacinema e nella mise en abyme. E però, signori, se un film è cesso tale resta nonostante l’esibito, smaccatamente esibito, intelettualismo dell’operazione. Si parte a Tokyo, con una ragazza atona e alienata (son tutte eredi della monicavitti del ‘mi fan male i capelli’ di Deserto Rosso) che avidamente si giarda un vhs, lo accarezza, gli soffia sopra, quasi lo bacia. Ecco, vien da pensare, siano nel campo del feticismo delle videocassette che sta dilagando da molti anni, l’equivalente in video del culto per il vinile in musica, con schiere di nostalgici che orgasmano di fronte a immagimini sgranate e tremule e pelicole devastatate, come un archeologo con un reperto ellenistico. Invece no, la storia prende tutt’altra piega. Il film che Kumiko, la ragazza di Tokyo che vediamo nel suo disadorno appartamento e in un ufficio da incubo, ossessivamente mette nel videoregistatore è Fargo dei fratelli Coen. In particolare a interessarla è la scena dell’uomo che nasconde la valigetta con i dollari nella neve. Man mano scpriamo l’orrida verità. La tizia crede che quel tesori sia vero, si riguarda la scena per identificare il punto esatto in cui è sepolto. Dopodiché molla tutto, lavoro e Giappone, e vola nel Minnesota obiettivo Fargo. Una matta scatenata, che ha pure la fortuna di incontrare delle brave persone che l’aiutano, ma lei no, scappa da loro, si inoltra nella neve da sola, convinta che il tesoro sia là ad aspettarla. Storia di una follia germinata dal cinema. O, se volete, il cinema come macchina produttrice di follia. Ma la protagonista è troppo ottusa per suscitarci un minimo di interesse o di simpatia, non vediamo l’ora che il film finisca (due ore!) e si tolga dalla nostra vista. Finale ambiguo e paraculo, ché il regista manco ha le palle di arrivare alla logica conclusione.