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"L'orologio di Alexanderplatz segnava inesorabile la fine della mia adolescenza", dice così (o quasi così) una battuta di un film che amo molto: Goodbye Lenin. Berlino è sempre stata una delle mie città preferite e se dovessi scegliere il posto preferito dentro questa città, sceglierei subito Alexanderplatz.Tra Est e Ovest, per me, vince sempre l'Est in quanto a sensazioni, bellezza e cose che colpiscono il mio cuore.
Non so perché, ma nelle facciate dei palazzi di Berlino Est, nei suoi spazi immensi e grandi studiati per le masse (e per controllarle) vedo il fiorire di una nuova vita.
Nel 1989, quando è caduto il muro, io avevo 11 anni e, grazie a mio fratello Davide seppi che Roger Waters voleva fare un concerto per celebrare la nuova era che iniziava dopo la caduta del "Die Mauer".
In cuor mio speravo che mio fratello mi prendesse su e mi portasse a Berlino, per ascoltare quella musica e per essere parte di uno storico momento di cambiamento.
Alexanderplatz è per me il luogo che, al pari di Postdamerplatz, rappresenta questa città pazzesca.
L'orologio di Alexanderplatz era per me un simbolo del tempo che restava e passava allo stesso tempo già molto prima di guardare Goodbye Lenin.
Non so perché ma quell'orologio che segnava tutte le ore del mondo prendeva la mia mente e la faceva viaggiare. Cercavo di immaginarlo negli anni della Guerra Fredda quando tanta gente sognava di andarsene da Berlino e, guardando quell'orologio universale, sognava chissà che destinazione.
Era come se il regime desse una sorta di contentino alla gente e allo stesso tempo facesse sentire Berlino il centro del mondo perchè da lì si misurava il tempo di ogni zona.
Quell'orologio regalava alla piazza, già immensa, un senso di grandezza e potere senza limiti.
E questo è per me, ancora oggi, Alexanderplatz.
Ci sono dei gesti che compio in quel luogo, quasi come fossero dettati dalla consuetudine tipica di chi vive in un luogo.
Arrivo con la metro, prima di uscire recupero un buon currywurst al negozietto che c'è all'uscita delle stazione, dal lato della Torre della Televisione.
Uno sguardo a tutta l'altezza della Fernesehturm e poi mi siedo nel parco che c'è lì sotto.
Quando ho finito il mio currywurst cammino in direzione della piazza e mi fermo almeno 10 minuti a contemplare quell'orologio, sognando di essere in ognuna delle città citate sulle sue placche.
Poi conquisto con i miei passi la piazza, guardo il Park Inn (prima o poi dormirò lì) e cerco di raggiungere il centro di Alexanderplatz.
Mi metto al centro di quella immensità e mi sento piccola di fronte a tutto ciò che mi contorna.
Però mi sento anche grande e con la città in pugno: da lì si parte seguendo la Karl Liebknecht strasse a piedi fino a raggiungere Unter der Linden.
Da lì si percorre tutta quella Berlino Est che mi racconta sempre storie nuove e mi mette davanti agli occhi pezzi di passato, come quando arrivo a Bebelplatz dove sento ancora la pelle d'oca e i brividi guardando quella grande mattonella di vetro che segna il punto del rogo dei Libri fatto dai nazisti.
Per me, quel percorso da Alexanderplatz alla Porta di Brandeburgo è l'equivalente di un cammino fatto tra le righe di un libro di storia: crudele, potente, vero e illuminante allo stesso tempo.
Ecco perché amo tanto Berlino e amo tanto certe sue piazze che, come una vecchietta paziente, sanno prendermi al loro fianco per raccontarmi come va e com'è andata la vita finora.