Silvio Berlusconi (PdL)
Chi si aspettava un'estate tormentata nel governo e nelle istituzioni in seguito alla condanna definitiva di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset è rimasto deluso. Nella manifestazione-comizio tenutosi a Via del Plebiscito domenica 4 agosto il leader del PdL ha deciso per una linea di azione più morbida, che esclude ripercussioni sul Governo e cerca di costruire un asse con il Quirinale per arrivare, secondo indiscrezioni, ad una commutazione della pena. Una vittoria delle colombe del partito, a quanto pare, con i falchi messi all'angolo e appena ammansiti con le promesse di future battaglie sui temi economici nel prossimo autunno.
Tutt'altra cosa rispetto ai temi e ai toni di appena qualche ora prima, che viravano dai ricatti al Presidente della Repubblica da parte di Schifani e Brunetta fino addirittura alla guerra civile evocata da Sandro Bondi.
Eppure, con buona pace dei sostenitori del conflitto a oltranza, la rinormalizzazione dei toni era probabilmente la scelta obbligata per Berlusconi, e questo non per senso istituzionale, ma per puro calcolo politico.
In primo luogo, infatti, è bene osservare che lo slogan "o la grazia o il voto" con cui diversi esponenti del PdL è in realtà una minaccia assolutamente priva di senso, in quanto riportare il Paese alle urne non è certamente prerogativa di una forza politica e parlamentare. Ciò che rientra nei poteri del PdL è naturalmente ritirare il proprio appoggio all'esecutivo, scatenando una crisi di Governo e facendo cadere Enrico Letta.
Si tratterebbe tuttavia di una mossa alla cieca, sia in termini politici che elettorali. È infatti innegabile come il PdL sia riuscito fino a questo momento a condizionare in maniera pesante l'operato del Governo, e che sebbene i propri parlamentari siano in minoranza numerica rispetto a quelli del PD le attività dell'eseucutivo siano più ascrivibili a quelle di una coalizione di centrodestra che a quelle di una di centrosinistra. Rinunciare ad una rendita di questo genere, soprattutto quando uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale - l'abolizione dell'IMU - sembra essere vicino, non pare una mossa particolarmente saggia in termini di mantenimento del consenso elettorale.
Al tempo stesso la caduta del Governo Letta non implica automaticamente il ritorno alle urne. Sebbene i precedenti di marzo e aprile non lascino adito a molte probabilità in tal senso, l'attuale Parlamento consente maggioranze di governo alternative (o su base PD-M5S oppure con una vasta alleanza che comprenda PD-SC-LN-SEL), quindi la caduta di questo Governo non si tradurrebbe automaticamente in un ritorno al voto.
Non bisogna inoltre dimenticare un'ulteriore arma, questa veramente micidiale, nelle mani del Capo dello Stato: le proprie dimissioni. Dimettendosi, Giorgio Napolitano sarebbe in grado di bloccare lo scioglimento del Parlamento anche nel caso in cui non si riuscisse a formare un nuovo governo, ed è evidente che qualsiasi altro nome le Camere possano individuare, considerandone la composizione è probabile che si tratterà di una figura ostile a Berlusconi. Provocare il Quirinale in tal senso paralizzando l'attività di Governo comporta quindi per il PdL il serio rischio di ritrovarsi al Quirinale inquilini meno accondiscendenti e trattabili, ovviamente divisioni interne del PD permettendo.
Nemmeno le elezioni anticipate, tuttavia, riuscirebbero a risolvere il problema dell'agibilità politica di Berlusconi, né consentirebbero al PdL - salvo risultati eclatanti e al momento non prevedibili - di riformare l'ordinamento dello Stato in tal senso.
Se si tornasse immediatamente al voto, infatti, Berlusconi non sarebbe candidabile in Parlamento e nemmeno proponibile come Presidente del Consiglio nel caso il PdL arrivasse ad essere partito di maggioranza.
Al netto dell'interdizione ancora da stabilire e degli ulteriori processi in essere, per consentire a Berlusconi di sedere in Aula occorre modificare la legge esistente. Ma per arrivare a questo risultato non basterebbe al PdL vincere le elezioni: votando con l'attuale legge elettorale il PdL dovrebbe letteralmente stravincere per assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi al Senato, e in un'ottica tripolare è evidente quanto questo obiettivo sia di difficile realizzazione.
Paradossalmente, ciò che ora conviene di più al PdL è puntare su una modifica della legge elettorale che favorisca la governabilità e renda più facile il conseguimento di una maggioranza stabile anche in un sistema a tre poli come quello italiano attuale, per poi sparigliare le carte, portare il Paese al voto e cercare di vincere per arrivare ad una riforma della giustizia di portata così radicale da annullare gli effetti di una sentenza già passata in giudicato.
I toni di pacificazione lanciati da Berlusconi sono con ogni probabilità la prima mossa tattica di questa nuova battaglia politica.