Bertolt Brecht: il Grande Dittatore tra Storia e Burlesque

Creato il 15 febbraio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Manuela Marascio 15 febbraio 2013 teatro, vedere Nessun commento

Immaginatevi tutto il meglio che un teatro anticonvenzionale possa offrire: il dichiarato gioco di finzione, lo sfondamento prepotente della quarta parete, lo straniamento portato al limite estremo dell’ironia più canzonatoria. Tutto questo è Bertolt Brecht, da sempre banco di prova non solo per chi fa del teatro il suo mestiere, ma anche per i fautori del meccanismo di commercializzazione del prodotto artistico, quegli spettatori-compratori che, ritrovandosi a non reggere la forza d’urto della sua Opera, tentano poi di nascondere il proprio disagio affondando nelle poltroncine imbottite su cui siedono. Non si può che restare pietrificati assistendo a una lezione di storia così cinica e dissacrante come La resistibile ascesa di Arturo Ui, opera cominciata nel bollente 1941, durante l’esilio finlandese dell’autore, poi ripresa nel 1953, ma mai rappresentata. Sparita l’empatia attore-pubblico, tutto ciò che resta è il godimento estetico del Teatro, inteso non più come riproduzione della realtà, ma come aperta e sfacciata demistificazione di ogni canonica certezza. Se l’intento primario di Brecht era «spiegare al mondo capitalistico l’ascesa di Hitler trasponendola in circostanze a quel mondo familiari», ecco che, vedendo muoversi sulla scena truster e gangster di un’ipotetica Chicago anni Trenta, anziché avvicinarci maggiormente alla comprensione dei meccanismi di quel malsano potere, ci ritroviamo spiazzati, ancora più estranei a quel mondo rispetto a quando leggevamo i libri di storia, acquisendo concetti e lasciando libero spazio all’immaginazione. Ma il messaggio arriva comunque forte e chiaro, in tutto il suo impeto pedagogico, al di là di qualsiasi temperato moralismo, ben oltre l’accomodante dicotomia Bene-Male. Ecco la genialità indiscussa di Brecht, premessa fondamentale per esaltare ancora di più l’immane lavoro di questo gruppo di attori – anzi, li definirei apertamente dei veri e propri “mostri” da palcoscenico – diretti da Claudio Longhi, docente di Discipline dello spettacolo all’Università di Venezia e da tempo anche regista, che nel 2011 ha raccolto la sfida lanciata dalle pagine del grande drammaturgo tedesco, trasfigurando quell’intelligentissima satira in un meraviglioso spettacolo di varietà, sregolato e ardito, dal ritmo sfrenato e incalzante. Così il professore commenta un’opera che ha tutti i connotati di un’allegoria favolistica: «È proprio per questa sua capacità di allontanare, di mettere i fatti narrati sotto una diversa luce, che la favola affascina Brecht. La favola è infatti di per sé una delle principali fonti di quello straniamento così caro al Maestro di Augusta. Che significa infatti straniare, se non rendere estraneo, spalancando un intervallo e recidendo i legami inerti dell’abitudine?».

Nel ruolo dell’ambizioso capo dei gangster Arturo Ui alias Adolf Hitler, Umberto Orsini: «Quando ho sposato l’idea di lavorare su un autore come Brecht, avevo in mente quanto negli anni Cinquanta e Sessanta si era teorizzato sulla recitazione straniata o epica o non naturalistica, ritenuta necessaria per questo autore. Allora ho cercato anch’io di giocare sulla voce, tradendo la mia naturale, per distrarmi da me stesso, per trovare un modello fuori di me». Orsini ci offre la metamorfosi di un uomo attraverso la costruzione di un’immagine – particolarmente d’effetto il momento della lezione imbastita dall’attore shakespeariano Mahonney – e l’assestamento della sua posizione sulle basi di rispettabilità e terrore, sulla falsariga di Al Capone. Una corsa al cardiopalma dentro la Storia: la crisi del ’29, i prestiti statali richiesti dagli Junker prussiani, la corruzione del presidente del Reich Hindenburg, le macchinazioni del partito di Hitler per risollevarsi e raggiungere il potere, l’incendio del Reichstag, la notte dei lunghi coltelli, l’assassinio del Cancelliere austriaco Dollfuss e il successivo Anschluss, fino alla stravittoria del partito nazionalsocialista nel ’38. Tutto questo è il sostrato che affiora dai tanti quadri che si susseguono ineluttabilmente sulla scena, in mezzo a intrighi orditi nel degrado fisico e morale di una Chicago che maschera le ombre infide sotto la luce del burlesque. E vediamo in controluce personalità come Ernst Röhm, capo delle Squadre d’Assalto, incarnato dallo sculettante e intimo amico di Hitler Ernesto Roma (Lino Guanciale); Joseph Goebbels, ministro della Propaganda, calato nei panni dello scaltro Giuseppe Givola, magistralmente interpretato da Luca Micheletti, forte di un’esplosiva potenza vocale e di una sinuosità sinistra degna di un film di Murnau (da segnalare il Premio Ubu che si è aggiudicato nel 2011 come migliore attore non protagonista per questo spettacolo); Hermann Göring, entità terribile tanto quanto il Führer, qui percepita in sordina nei gesti del truster Emanuele Giri (Giorgio Sangati).

Il senso di varieté è alimentato da canzoni a forte impatto emotivo, accompagnate dalla semplice fisarmonica di Olimpia Greco e gustosamente condite dall’indiscussa bravura degli attori-cantanti (debole, sotto questo aspetto, Orsini). Ancora Longhi: «Hitler, a Berlino, non si è trovato ad agire troppo diversamente dalle bande criminali di stampo mafioso di fatto detentrici del potere nelle metropoli nordamericane a cavallo tra anni Venti e Trenta, da New York a Chicago. Giunti all’apice della scalata sociale che hanno intrapreso, il bandito Hitler e tutti i suoi scagnozzi, a prescindere dalla loro estrazione sociale d’origine, si ritrovano totalmente organici e sodali a quella borghesia che li ha criminalmente nutriti e che ora essi violentano insieme al resto della nazione». La perfetta sintesi tra leggi di mercato, classismo, propaganda politica e superiorità razziale, è l’autogenerazione di un “mostro” dall’interno delle sue stesse emanazioni corporali e spirituali, che hanno poi trovato seguito in un consenso su larga scala dilagante come la peste. Ecco il messaggio ultimo della lezione brechtiana, un appello a vedere e agire davvero, restando in guardia dagli effluvi del ventre caldo da cui un tempo quest’entità crudele fuoriuscì.

Per le immagini si ringrazia il Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Marcello Norberth

La resistibile ascesa di Arturo Ui

di Bertolt Brecht

Regia: Claudio Longhi – Dramaturg: Luca Micheletti – Musiche originali: Hans-Dieter Hosalla – Traduzione: Mario Carpitella

Scene: Antal Csaba – Costumi: Gianluca Sbicca – Luci: Paolo Pollo Rodighiero – Fisarmonica e arrangiamenti: Olimpia Greco

con Umberto Orsini

e con (in ordine alfabetico) Nicola Bortolotti, Simone Francia, Olimpia Greco, Lino Guanciale, Diana Manea, Luca Micheletti, Michele Nani, Ivan Olivieri, Giorgio Sangati, Antonio Tintis

Produzione: ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione / Teatro di Roma

Torino, Teatro Carignano, dal 29 gennaio 2013 al 10 febbraio 2013


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