BESTIALITA’ (1976) di Peter Skerl (Virgilio Mattei)

Creato il 17 dicembre 2010 da Close2me

Crisi della borghesia, decadenza morale, dubbi esistenziali, controcultura spicciola e maledettismo di grana grossa (oltra che datato). La sceneggiatura del leggendario Luigi Montefiori, figura fondamentale del miglior cinema bis italiano, vaga disorientata tra le tematiche che fecero la fortuna di molte pellicole erotiche difformi (L’occhio dietro la parete, Il Saprofita, Maladolescenza solo per citare i titoli più celebri). Film talvolta inclassificabili, sospesi tra il prodotto meramente commerciale e l’opera di presunta critica sociale.
“L’architetto Paul si trasferisce per ragioni di lavoro, con sua moglie Yvette, su un’isola mediterranea abitata da pochi turisti, dal pescatore sciancato Ugo e da una ragazzina, Jeanine, traumatizzata nell’infanzia dalla vista della madre che s’accoppiava col suo dobermann. La giovinetta che scappata di casa, vive tra le rovine del castello di famiglia (incendiato dal padre per vendicarsi del cane, che fu poi salvato da Ugo) fa lega, anche a letto, con Paul e sua moglie, risvegliando i sopiti sensi del primo. Ma il dobermann, con cui anche a Jeanine piace far l’amore, è geloso. Conclusione: il dobermann sbrana la ragazzina, Ugo ammazza il cane, Yvette si scopre finalmente incinta (voleva tanto un figlio) ma la sifilide, da cui sia lei che Paul sono affetti, fa dubitare che il bimbo nasca sano”
Caratterizzato da una desolante messa in scena e da personaggi stilizzati cui vengono affidati dialoghi incredibili ( “Tu invece sei una mignotta che cerchi il cazzo più lungo della lingua per prolungare il ponte che ti separa dell’effimera sponda del successo”), l’unico lavoro cinematografico di Mattei è a tutt’oggi identificabile come un esperimento sbagliato: un errore fin dagli intenti alti che si presupponeva, e cioè di utilizzare il tema zoofilo come metafora della corruzione morale dell’uomo occidentale, scelta azzardata che probabilmente convinse un attore come Enrico Maria Salerno ad accettare la parte di Ugo. Inconsistente persino l’utilizzo funzionale delle location esotiche e dell’interessante cast artistico (Muller, la stupenda Fani, una giovanissima Ilona Staller).
Per farla breve, le premesse produttive sembravano delle migliori eppure il tutto si amalgama male, risultando spesso noioso, superficiale e (quel che è peggio) persino relativamente erotico.
Degna di nota tuttavia la scena d’amore March-Mayniel-Fani, sensuale e maledetta, azzeccato presagio di sofferenza che travolgerà la benestante coppia. Accompagnano la vicenda le musiche ampollose di Lallo Gori, navigato autore di colonne sonore dei più noti spaghetti western e poliziotteschi prodotti in Italia.
Peccato soltanto che non sia stato distribuito con il titolo originale di lavorazione Il segno sotto la pelle, considerevolmente meno volgare e furbo del definitivo.

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