Il comprendere la formazione e l’evoluzione dei sistemi planetari è diventata una delle sfide più grandi dell’astronomia da quanto è stato osservato un disco di detriti intorno a Beta Pictoris negli anni ottanta del secolo scorso (Smith & Terrile 1984) [1] e la scoperta del primo esopianeta intorno ad una stella di tipo solare, 51 Pegasi, nel 1995 (Mayor & Queloz 1995) [2].
Anche se finora sono stati individuati una ventina di dischi di polvere prodotti dalle collisioni tra corpi rocciosi più grandi, Beta Pictoris rimane il sistema giovane più studiato (Zuckerman et al. 2001) [3] con un’enorme quantità di segnali indiretti che portano a ipotizzare la presenza di pianeti.
Con solo 12 milioni di anni (il Sole ne ha ben 4,6 miliardi di anni) Beta Pictoris è una stella circa 75% più massiccia del nostro Sole: si trova a circa 60 anni luce di distanza dalla Terra nella costellazione del Pittore (Pictor) ed è anche uno degli esempi meglio noti di stella circondata da un disco di detriti di polvere.
Mentre gli studi spettroscopici, astrometrici e fotometrici possono solo fornire un’evidenza indiretta della presenza di pianeti attorno ad altre stelle, le immagini coronografiche permettono di rilevare dischi di polvere in modo diretto. Questo è estremamente importante nel comprendere la fisica della formazione e dell’evoluzione planetaria.
Il disco attorno a Beta Pictoris fu inizialmente (1997) ritenuto collegato con un sistema planetario. In particolare, numerose e indipendenti osservazioni avevano portato alla conclusione che fossero presenti delle comete intorno a questa stella, e la variazione della sua intensità fosse legata all’occultazione (eclisse parziale) di un pianeta che le orbitava attorno.
Questa immagine fu ottenuta dalla combinazione della coronografia (nella quale la luce della luce viene coperta da un piccolo disco al fuoco del telescopio) e della tecnica di alta risoluzione angolare mediante ottiche adottive che quasi eliminano l’effetto negativo della turbolenza atmosferica. Ciò contribuisce ad ottenere un’immagine molto nitida con una risoluzione spaziale elevata (0,12 arcosecondi) e un alto intervallo dinamico (10^5) che permettono di seguire il disco per una piccolissima distanza dalla stella, in questo caso solo 24 unità astronomiche (UA, pari a 3,6 10^9 km, ossia 3,6 miliardi di chilometri), una distanza dove possono trovarsi dei pianeti nel nostro Sistema Solare, all’incirca la distanza di Urano e Nettuno dal Sole.
Inizialmente, gli ipotetici pianeti non furono osservati in modo diretto, sebbene fossero stati rilevati i loro effetti gravitazionali sulla polvere nel disco circum-stellare. Per esempio, fu evidente che vi fosse una sorta di piccola curvatura del piano principale nella parte interna del disco, una caratteristica che era stata precedentemente osservata su immagini ottenute con l’Hubble Space Telescope. Tuttavia, mentre le immagini di HST erano in luce visibile, l’immagine di Beta Pictoris (qui sopra) era stata ottenuta a lunghezze d’onda maggiori, nel vicino infrarosso. Inoltre, in considerazione delle complesse procedure di elaborazione dell’immagine è molto utile ottenere le informazioni da strumenti completamente indipendenti fra loro.
La cosa interessante che fu sottolineata è che, considerata l’età stimata del sistema in 20 milioni di anni (Barrado y Navascués et al., 1999) [4] Beta Pictoris non si trovava più nello stadio di formazione iniziale e l’accrescimento planetario si era già concluso.
Questa immagine fu ottenuta da Jean-Luc Beuzit, Anne-Marie Lagrange dell’Observatoire de Grenoble, Francia, e da David Mouillet dell’Observatoire de Paris-Meudon, Francia. Inoltre, la preparazione e la discussione sulle implicazioni delle perturbazioni planetarie del disco coinvolsero anche J. Larwood e J. Papaloizou. Lo studio è disponibile sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (UK).
[1] Mayor, M., & Queloz, D. 1995, Nature, 378, 355 – http://www.nature.com/nature/journal/v378/n6555/abs/378355a0.html
[2] Smith, B., & Terrile, R. 1984, Science, 226, 1421 – http://astro.berkeley.edu/~kalas/disksite/library/smith84a.pdf
[3] Zuckerman, B., Song, I., Bessel, M. S., & Webb, R. A. 2001, ApJ, 562, L87 – http://www.aanda.org/articles/aa/ref/2012/06/aa18274-11/aa18274-11.html
[4] P. Thébault, J.C. Augereau e H. Beust, Dust Production from Collisions in Extrasolar Planetary Systems – The inner Beta Pictoris Disc. arXiV: astro-ph/0307167v1 luglio 2003; http://arxiv.org/pdf/astro-ph/0307167.pdf .
ESO: http://www.eso.org/public/news/eso9714/ e http://www.eso.org/public/images/eso9714a/ .
Fine Prima Parte
Sabrina