Per Bao Publishing, hanno pubblicato in due volumi Beta, un fumetto che riprende il genere mecha della tradizione dei manga giapponesi (quello dei robottoni alla Goldrake, per intenderci). In un perfetto equilibrio tra ironia e dramma, tra autorialità e popolarità, tra parodia e innovazione, gli autori hanno dato vita a un fumetto appassionante che merita di essere letto da tanti. Piacerà agli appassionati del fumetto italiano e dei manga, ai lettori che apprezzano il fumetto di evasione e a quelli attenti ai risvolti socio-politici ed esistenziali. Insomma, prendendo come pretesto la nostalgia dei cartoni animati con cui sono cresciuti, Vanzella e Genovese in Beta hanno trovato un equilibrio efficace che nella realtà italiana sembra quasi una chimera. Nell’intervista che segue, ragioniamo sulla ricerca e gli intenti di questo lavoro.
Lavorate in coppia ormai da molto tempo. Escludendo il vostro ultimo lavoro, qual è la storia che potete indicare ai nostri lettori come la più rappresentativa del vostro stile e della vostra collaborazione fin qui?
Luca Genovese (LG): Siamo cresciuti assieme per molti versi, ricercando uno stile che fosse di entrambi e riconoscibile nella narrazione come nelle soluzioni grafiche, quindi è un po’ difficile scegliere quale storia sia più rappresentativa. Non so, io sono particolarmente legato ad un ciclo di tre storie di Aleagio (Aleagio!Rewind; Aleagio!Pausa/Play; Aleagio! FastForward) pubblicate su Self Comics, dove il nostro personaggio è alle prese con i viaggi nel tempo, con una versione di se stesso del futuro o di futuri alternativi. Il viaggio nel tempo è sempre stata una tematica che ci ha appassionato parecchio.
Come lavorate insieme? Non credo che la vostra collaborazione sia strutturata con la classica dinamica sceneggiatore/disegnatore delle produzioni seriali, per esempio. Come lavorate sulle idee e come vi siete divisi il lavoro in Beta?
LG: Fin dalla prima collaborazione non c’è mai stata una sceneggiatura precisa da parte di Luca Vanzella. Quella prima storia (4d, del 2003) era un racconto e c’erano poche battute, per lo più didascalie. Io mi sono divertito a giocarmela in otto pagine, seguendo le sue indicazioni di gabbia. Ma con una grande libertà. Questo metodo l’abbiamo affinato negli anni e anche Beta è stato lavorato così. In pratica dalla sua sceneggiatura dove sono illustrate a grandi linee le scene e con buona precisione i dialoghi io preparo uno storyboard che viene discusso da entrambi e letterato, così capiamo come far funzionare certe sequenze o colpi di scena. È un continuo passarsi la palla.
Luca Vanzella (LV): Il rimbalzarsi la storia avanti e indietro è fondamentale, perché quello che deve risultare è un fumetto di Vanzella-Genovese e non scritto da uno e disegnato dall’altro. Poi, da un punto di vista tecnico il passaggio fondamentale è quello di letterare i layout perché è il momento in cui la storia prende forma in quanto fumetto e in cui si può davvero armonizzare la scrittura con il disegno.
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Quanto tempo avete dedicato al completamento dei due libri di Beta?
LG: circa due anni e mezzo effettivi. Con alcuni rallentamenti causa altri impegni o lavori intermedi, ma più o meno quella durata. Poi è vero che il progetto era iniziato e se ne era discusso circa due anni ancora prima, con studi di personaggi e robot e basi e mostri meccanici etc etc. C’era un sacco di materiale da approfondire visivamente prima di cominciare. Lo stesso per la trama. Lunghe chiacchierate, schemini, bozze, birre e spritz. È stato lungo ma è pure la parte più emozionante del lavoro. Poi si è partiti e i primi due capitoli hanno avuto una lavorazione molto lunga, perché il nostro sistema di lavoro è sì collaudato, ma il progetto era molto grande e volevamo partire con il piede giusto. Dal canto mio c’è pure un aspetto legato alla realizzazione: non ero ancora sicuro di tutti i personaggi quindi ci mettevo molto a capire come muoverli e come risolvere le scene.
Andiamo all’origine. Come è nata l’idea di realizzare un fumetto che riprendesse e rielaborasse la tradizione mecha dei robottoni giapponesi? Era una possibilità che tenevate nel cassetto dalla prima breve storia pubblicata per Self Comics (a proposito, che anno era? Ne è passato di tempo!).
LV: Tutto inizia da quella storia per Self Comics, Aleagio! Overdirve ( del lontano 2005 e che potete leggere qui).
All’inizio l’idea è stata di usare i robot come metafora dell’infanzia e poi della nostalgia. Quindi la base dei robot si trova al mare – l’adriatico, il mare della nostra infanzia – e sono l’incarnazione dell’immaginazione e degli slanci di quando si è bambini. Però ci siamo trovati a pensare a un possibile background: perché mai ci dovesse essere una base dei robot al Lido di Venezia? Da lì pian piano si è iniziata a sviluppare l’idea. Alla fine i robot sono una parte importante del nostro immaginario e non potevamo non farci i conti prima o poi (e per certi versi questa è anche la morale di Aleagio! Overdrive).
Quali sono state le spinte maggiori dal punto di vista espressivo e creativo? Un elemento è senz’altro la nostalgia e la voglia di giocare con icone della propria infanzia, certo. E poi?
LV: La spinta forse è stata fare le cose in grande: tante pagine, tanti personaggi, tanta trama, grandi temi, grandi scenari… Ci voleva qualcosa di enorme e gigantesco anche visivamente. E poi volendo cimentarsi con una storia che aveva a che fare con azione e “figate” siamo andati a pescare dove noi pensiamo ce ne fossero in abbondanza.
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Quale sfida creativa vi siete posti? Che punto di vista avete voluto seguire? Che interpretazione c’è alla base di questo lavoro?
LV: La sfida era quella di trovare un equilibrio tra popolarità e autorialità, diciamo. Fare una storia coinvolgente con l’azione e i colpi di scena però con una voce che fosse nostra in tutto per tutto e senza dover rinunciare a niente. Che poi per certi versi è quello che facevamo con Self Comics ma amplificata a livello di saga.
Eravamo sicuri di non voler fare qualcosa di comico e neppure puramente nostalgico (anche se poi qualche strizzata d’occhio c’è scappata comunque) ma serviva una sorta di distanza. I robottoni sono degli oggetti improbabili che cozzano con la realtà e la plausibilità… La soluzione è stata quella di ambientarlo nel passato (per quanto ucronico) e quello ha condizionato a cascata tutta una serie di altre dinamiche.
Il risultato auspicato era di fare una storia seria e coinvolgente ma in cui il lettore potesse scegliere quanto entrare.
Soprattutto nel primo capitolo della saga, ma ricorrente per molte parti di Beta, è evidente la chiave “parodistica” del vostro sguardo (intendo “parodia” nel senso classico, di rielaborazione e sviluppo di idee preesistenti, e non in chiave ironica o di derisione). Che lavoro di attualizzazione avete fatto rispetto ai tanti cliché delle storie di riferimento (non abbiamo ancora fatto il nome, ma diciamo da Go Nagai in poi, e prima di Gundam…)?
LV: La voglia di giocare con i cliché e i topos dei robot Nagaiani è stata una delle pulsioni della storia ma dovevamo trovare un modo nostro per affrontarli; un modo che non fosse davvero revisionistico… non volevamo rompere il giocattolo, solo spingerlo in direzioni diverse ma tenendo i pezzi più o meno intatti… Un’opera come Evangelion, per esempio, è un commento sul genere robotico in cui gli impliciti esplodono in modo anche shoccante. Questo però non era proprio nelle nostre corde.
La nostra chiave è stata il realismo o meglio un’illusione di realismo. Far confrontare gli stereotipi mecha con la politica, la storia, le conseguenze… Vedere le scintille che nascono dall’attrito tra l’impossibilità dei robot e il mondo come lo conosciamo (anche se con quella distanza data dalla storia che dicevamo prima). E questo poteva funzionare solo se i robot e i piloti fossero stati assimilabili ai loro modelli. Uno può vedere la parabola di Dennis come il suo percorso per diventare eroe (idealista ma pieno di angst e quindi Nagaiano) nonostante (e contro) il cinismo e la disillusione che lo circondano.
LV: A me ha sempre colpito quello che sentii a una lezione di storia, ossia che le atomiche di Hiroshima e Nagasaki erano tanto la fine della Seconda Guerra Mondiale quanto l’inizio della Guerra Fredda. I politici in Beta fanno la stessa cosa, pensano ai loro obiettivi oltre al problema del momento.
Il bello di ambientare la storia alla fine degli anni ’70 è stato anche quello di poter far vedere la realpolitk in gran spolvero.
E penso che la chiave per trattare di questi argomenti sia mostrare tutte le voci e le loro motivazioni ma far sì che alla fine siano i fatti a parlare.
E infatti, Beta è anche e soprattutto un lungo racconto di avventura, che si muove su un equilibrio difficile e pericoloso, quello che da qualcuno viene definito “intrattenimento intelligente”. Ma al di là delle etichette, cosa significa per voi lavorare oggi su una storia “fantastica” e “avventurosa”?
LV: La realtà e sopravvalutata! Non vedo vere differenze tra una storia realistica e una fantastica, come tra l’avventura e… il dramma? Non saprei quale sia il contrario di avventura… Tutte le storie diventano fiction.
Certo ci sono delle attenzioni diverse a seconda dei generi, in un’avventura come Beta è peggio avere un buco di trama che una caratterizzazione fiacca, visto il peso che ha l’intreccio, ma alla fine ogni storia ha le sue esigenze diverse.
Penso che la differenze sia più nella percezione del pubblico e della critica: un’avventura fantastica magari è percepita come un storia meno “alta” o “letteraria” però non sono sicuro che sia così vero oggi…
LG: volevamo realizzare un libro dal sapore manga, ma non volevamo troppo distanziarci dal nostro tipo di fumetto. Abbiamo cercato di non stravolgerci troppo. Io sul disegno mi sono asciugato un po’, anche pagine facendo, sono diventato un po’ più sintetico, mi sono rifatto ad un certo tipo di character da animazione più che da fumetto, più pulito, mantenendo i nostri registri di linguaggio nello sviluppo della narrazione.
Luca G., quali esperienze precedenti ti hanno permesso di avvicinarti a questo stile e a questa impostazione? Hai fatto riferimento a un lungo processo di studio e di ricerca iniziale. Come ti sei documentato? E quanto ti sei divertito a disegnare tutta quella fanta-tecnologia fatta ancora di grandi pompe idrauliche, di transistor ecc. ecc.?
LG: Ho letto molti manga e comunque certe soluzioni di taglio di vignette e linee cinetiche e onomatopee spinte mi hanno sempre divertito molto, mi sono sempre divertito a raccontare con quel dinamismo sparato le scene d’azione, come su Aleagio o qualche volta su John Doe.
Per Beta c’è stata poi molta documentazione tecnica ed è stata una parte molto divertente che è proseguita fino all’ultimo capitolo, la fantatecnologia, i meccanismi e le armi dei robottoni, quel cercare di renderli plausibili anche se palesemente impossibili. Ho adorato lavorare a spaccati e interni, ai loro design, allo scheletro portante e a come si muovevano. Nessuna documentazione particolare, ma naturalmente tanta animazione, tanto fumetto, l’enciclopedia dei robottoni online, foto anni settanta di auto e di prototipi di veicoli, cose di quel tipo.
Da un punto di vista editoriale, con Bao Publishing avete deciso di pubblicare Beta in un formato tipicamente riconoscibile: un “manga” in lettura occidentale, per dimensioni, impaginazione, carta, ecc. Quali ragionamenti avete condiviso? È solo una scelta “mimetica” legata a logiche commerciali o, anche qui, un omaggio e una scelta “parodistica”?
LG: è stata una nostra espressiva richiesta a Bao, che ha accolto e realizzato. Dal canto suo la scelta della sovraccoperta, della fustellina sul numero uno, dell’ottima carta, è stata più una sfida a realizzare un fumetto che fosse pure un bell’oggetto da collezionare, come la realizzazione del cofanetto che raccoglie entrambi i libri.
LG: sì, le scene confuse le ho notate anche io, ma troppo tardi quando erano già stampate. Soprattutto nei primi capitoli della storia. Mi sono accorto della leggibilità di alcune scene solo dopo la stampa del primo volume, e ho corretto il tiro nelle successive. Capita che una volta che si è dentro alla storia diventi un po’ difficile rendersi conto di alcune problematiche espressive.
Un altro elemento importante di Beta è la tematica romantica. Riducendo all’estremo tutto lo schema portante della storia, possiamo dire che quello affettivo (amore filiale, amore di coppia, …) è il motore che muove tutte le vicende di Beta. Non a caso la storia inizia e si chiude nell’intimità della famiglia. Anzi, se posso, credo che sia anche una delle chiavi più interessanti di questo lavoro. È questo un tema tipico del genere mecha (a iniziare dal solitario Actarus di Goldrake), che mi sembra abbiate saputo rielaborare riducendo le molte ingenuità dei riferimenti originali. Cosa ne pensate?
LV: Il motore della narrazione, si sa, è il conflitto, e mettere i legami affettivi controcorrente agli eventi è un modo per permeare tutta la storia di tensione drammatica. E sicuramente il tema familiare e generazionale è debitore dalle serie classiche in cui i padri sono distanti e meccanici e i figli irrequieti e combattuti tra la ribellione e la voglia di essere all’altezza. Però con Beta ho cercato di fare sì che questi rapporti si riflettessero anche nella trama più generale. Alla fine Dennis sta combattendo la guerra che suo padre sta facendo al suo padre putativo e quello che dovrebbe essere una linea di unione (la famiglia) diventa l’asse del conflitto. E così anche gli interessi romantici rimangono triturati nel loro sovrapporsi ai conflitti su larga scala.
Che riscontri avete avuto finora in termini di vendite e, adesso che la storia è completata, quali aspettative o attività avete in mente per riuscire a mantenere vivo l’interesse sulla storia e farla conoscere maggiormente?
LV: I rendiconti devono ancora arrivare ma l’editore è contento e alle fiere o eventi le copie vanno (certo di solito siamo di fianco a Zero Calcare, cosa che ti sballa un po’ la scala di riferimento).
LG: la storia è completa e raccolta in un bel cofanetto, ma di materiale inedito e di corredo ne abbiamo a pacchi. Avremmo in mente un libretto con contenuti speciali che approfondisse il mondo che sta attorno a Beta, da allegare al cofanetto e renderlo ancora più completo. Ci stiamo pensando e ragionando con l’editore.
A quando la prossima collaborazione in coppia? Long Wei? che progetti comuni avete in cantiere?
LG: La prossima collaborazione sarà sul numero 6 di Long Wei, un numero sulle origini del protagonista. Dovrebbe uscire a fine ottobre.
Sempre in autunno Ren Books raccoglierà in un libro tutte le storie di Aleagio che sono comparse su SelfComics e sparpagliate in altre riviste e antologia, in una bella edizioncina definitiva. Produrremmo qualche tavola di raccordo, e abbiamo in mente di autoprodurci una storia che abbiamo nel cassetto da un po’, vedremo quando.
Grazie per la disponibilità.
Intervista realizzata via e-mail a inizio maggio 2013
Abbiamo parlato di:
Beta voll. 1/2
Luca Vanzella, Luca Genovese
Bao Publishing, 2011/2012
224 pagine, brossurato, bianco e nero – 16,00€ cada.
ISBN: 978-88-6543-043-9
ISBN: 978-88-6543-108-5
Riferimenti:
Beta: recensione del primo volume
Beta: recensione del secondo volume
Luca Genovese omaggia Mazinga
Anteprima di Beta sul blog ^Sigh^ Comics
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