La “Bhagavad- Gītā” (“Il canto del glorioso Signore”), considerata come una sorta di “Vangelo” da milioni di hindu- indipendentemente dall’appartenenza religiosa, dalla figura divina adorata come Signore supremo dell’universo o dalla successione di maestri al cui insegnamento ci si affida- riveste particolare importanza per i seguaci del visnuismo bhāgavata, i quali venerano l’uomo- dio Kṛṣna (uno dei tre principali “purna- avatara”, o discese terrene “piene” o “complete” di Viṣnu) quale “Glorioso Signore” (Bhagavat) dell’universo.
Krishna and Arjun on the chariot, Mahabharata, 18th-19th century, India. Ink on paper.Simthsonian Freer Sackler Gallery
Il Mahābhārata
Il testo, di appena settecento strofe, è parte di un episodio del “Bhisma- parvan”, il sesto dei diciotto libri( parvan) in cui si divide il Mahābhārata (“Il grande [poema dei] Bhārata”). Questa gigantesca epopea redatta in sanscrito- che, con le sue quasi centomila strofe è il più esteso poema non soltanto dell’India, ma dell’umanità intera- narra la storia leggendaria dei principali antenati di un popolo che nel suo insieme si considera “il popolo dei discendenti di Bharata”; in particolare, esso narra la storia di due famiglie di cugini, i Kaurava e i Pandava, e la loro guerra fratricida per il dominio del regno del Kurukśetra.
Questo autentico monumento della civiltà indiana brahmanica è stato concepito non soltanto come un esteso compendio delle principali credenze, concezioni religiose e valori etici fondamentali della cultura tradizionale dell’India, ma anche come una sorta di grandiosa allegoria della crisi universale che caratterizza la fine di un’era cosmica. Le ere cosmiche sono quattro, caratterizzate da una durata decrescente e da una progressiva corruzione; i loro nomi (Kṛta, Tretā, Dvāpara, Kali) sono quelli dei colpi nel gioco dei dadi, da quello vincente (quattro) a quello perdente (uno). La crisi rappresentata dalla grande guerra del Mahābhārata si colloca tra la fine di uno Dvāpara- yuga e l’inizio di un Kali- yuga, quello attuale, che comincia esattamente con la morte del dio Kṛṣna, avvenuta, secondo la tradizione hindu, nel 3102 a.C.
Gli studiosi sono unanimi nel sostenere che la compilazione di un’opera così imponente come il Mahābhārata dovette occupare diversi secoli, e che il poema assunse completamente la forma in cui ci è pervenuto attorno al IV secolo d.C. Sembra inoltre certo che l’opera sia passata attraverso tre stadi di formazione, denominati “Jaya” (“La vittoria”), Bhārata (“Il [poema dei] Bhārata”) e Mahābhārata, ciascuno di ampiezza maggiore rispetto al precedente, fino a diventare una gigantesca enciclopedia di tutto il sapere tradizionale hindu.
Il dharma- concepito come norma eterna e indefettibile, come fondamento delle infinite norme del comportamento etico di ogni uomo, che variano a seconda della posizione che questi occupa e della funzione che è chiamato a svolgere all’interno della società- è il principale insegnamento del Mahābhārata. È il dharma che deve governare non soltanto la sfera delle istanze religiose dell’uomo, ma anche quella della sua fruizione dei beni del mondo, la quale comprende tanto il piacere e il soddisfacimento dei desideri, quanto il successo derivante dai beni, dalle ricchezze e dal potere; è il dharma che, correttamente applicato nella vita, prepara l’uomo all’esperienza che non soltanto chiude la sua attuale esistenza terrena, ma pone fine al rinascere e al rimorire (saṃsāra); è la pratica del dharma che che può aprire all’uomo le porte della salvezza, la quale viene a configurarsi come mokṣa, cioè come liberazione definitiva dal divenire e ingresso in una dimensione senza più ritorno. Esistono però due tipi di dharma, i quali possono talvolta trovarsi in contrasto fra loro. Il dharma chiamato sanātana (“eterno”) vale per tutti gli uomini, è “la legge eterna dei buoni”. C’è però anche un dharma che varia col succedersi delle ere cosmiche, così come c’è un dharma di famiglia, un dharma dei maschi e un dharma delle donne, uno dei re e uno dei sudditi… c’è, insomma, tutta una serie di norme del comportamento peculiare di ogni uomo la quale varia a seconda della funzione che questi svolge e del posto che egli occupa nel contesto gerarchicamente organizzato della società. Il dharma, in una parola, si frammenta in una serie di norme minutissime che governano la condotta di ciascuno: ciò equivale a dire che gli uomini non sono uguali tra loro se non nel saṃnyāsa, cioè nella dimensione della rinuncia, la quale prelude alla liberazione dal mondo del divenire. Il mondo religioso del Mahābhārata contempla questa duplice possibilità: vivere nel mondo, facendo il proprio dovere e compiendo i riti prescritti secondo le norme del dharma, oppure rinunciare al mondo, perdendo sì d’un tratto tutti i diritti, ma liberandosi anche da tutti i doveri. Alle due vie proposte dalla tradizione hindu in ordine alla salvezza, all’epoca del Mahābhārata se ne aggiunge una terza: è una via di partecipazione e di amore (bhakti) fondata sul rapporto tra una divinità personale e il suo devoto, e tale da aprire a tutti- o, perlomeno, quasi a tutti- la possibilità di conseguire la liberazione.