Postato il gennaio 18, 2012 | ARTE | Autore: Pier Paolo Scelsi
Ma l’anima della Biennale appena trascorsa è stata senz’altro l’ambiziosa e coraggiosa mostra principale ILLUMInations-ILLUMInazioni. Sin dal titolo la curatrice, la storica dell’arte svizzera Bice Curiger (già a capo dal 1993 della Kunsthaus di Zurigo, cofondatrice della rivista Parkett e direttore editoriale di Tate etc. pubblicazione della Tate Gallery di Londra) ci introduce al tema trattato, ci illustra il “copione artistico” che ha voluto scrivere per noi. Nelle locandine sparse per la città la parola ILLUMI spicca, la sua voce è maiuscola e forte. Rimanda ad un concetto elementare del mondo dell’arte: la luce è materia da plasmare, viva, vera, tangibile, come lo possono essere i pigmenti della pittura, o la pietra del marmo. L’artista, qualunque artista, in qualunque epoca, nel cimentarsi con la sua produzione ha dovuto accettare la sfida della luce. La risposta nel corso dei secoli si è sempre più lasciata alle spalle la dimensione della razionalità per elevarsi a livello cerebrale, psicologico, mentale, nel tentativo di creare un rapporto emozionale con lo spettatore. Dalla consapevolezza di tutto questo ecco un’idea, in apparenza estremamente azzardata, di difficile realizzazione ma sicuramente di grande impatto: raccontare il passato per spiegare il presente e il futuro, creare un ponte tra moderno e contemporaneo. Affidare l’immagine simbolo della mostra a Tintoretto, inarrivabile antico maestro veneziano. Ad accoglierci nella prima sala del palazzo delle esposizioni ai Giardini di Castello, da due anni nuovo “salotto buono” della Biennale, sono tre stupendi teleri cinquecenteschi: Il Trasfugamento del corpo di San Marco (1562-66) e La creazione degli animali (1552), provenienti dalla collezione delle Gallerie dell’Accademia e l’incredibile Ultima Cena (1592-1594) opera che da cinque secoli orna la parete destra dell’altare della palladiana chiesa di San Giorgio Maggiore. Per Jacopo Robusti detto Tintoretto la luce è evasione, fuga, immersione nel fantastico e nel trascendente. Nelle sue tele le ombre luminose, spesso passaggi, epifanie spettrali, sono finestre nel tempo e nei luoghi, raccontano episodi avvenuti altrove e in altre epoche rispetto a quelle raccontate nella storia principale.
Il linguaggio dell’arte è atemporale, affiancare Cattelan a Tintoretto non è una pratica mostruosa e blasfema. Non lo è affiancare Anish Kapoor a Palladio, l’uno rafforza la parola dell’altro: l’installazione Ascension immersa nel contesto della chiesa di San Giorgio Maggiore acquista una forza espressiva e spirituale incredibile, il suo messaggio diviene più diretto, violento, incisivo. Trasversalità nel tempo ma anche trasversalità nello spazio: da questa visione nasce la seconda parte del titolo della mostra. Proprio quel “nations-nazioni”, scritto volutamente minuscolo, stabilisce un dialogo con la storia della Biennale e in qualche modo scavalca la classica scansione dalla presenza dei padiglioni dei paesi partecipanti. Per chi ha curato la mostra l’arte è una forma di comunicazione che non ha confini, può avere idiomi o accenti differenti ma è linguaggio universale. Può essere o creare una comunità autonoma e a sé stante, ma questa comunità non potrà mai essere limitata o identificata con delle frontiere.
Quali artisti presenti alla 54esima Biennale resisteranno al giudizio del tempo, unico infallibile e inconfutabile critico? Chiudiamo questo piccolo resoconto dell’evento veneziano e ci cimentiamo in una piccola scommessa con il lettore: puntiamo sul Leone d’Oro Christian Marclay e sulla sua incredibile opera The Clock. Frutto di un magistrale lavoro di montaggio la video-installazione, presentata per la prima volta nell’ottobre 2010 al White Cube di Londra, crea una narrazione coerente e logica recuperando e legando tra loro spezzoni di film la cui temporalità cinematografica, dimostrata dall’apparire frequente di orologi, nell’arco della giornata è perfettamente sincronizzata con quella della vita reale. Un incredibile lungometraggio di ventiquattro ore in cui, ogni personaggio e ogni avvenimento, avviene esattamente nello stesso momento di chi osserva. La vita della società null’altro è che il racconto di un mosaico: tante piccole storie, tante accidentalità si riuniscono e creano il significato del presente.
Per Approfondire
Servizio BBC su The Clock di Christian Marclay
Intervista a Christian Marclay dopo assegnazione Leone d’oro