In un mondo sempre più connesso e basato sul software, lasciamo sempre più tracce dei nostri comportamenti. Tracce che si trasformano in dati interpretabili. Questi dati, oggi, sono talmente tanti da aver bisogno di una nuova definizione: l’espressione “big data”, infatti, si riferisce a meta-raccolte di dati (raccolte di dataset, che a loro volta sono raccolte di dati) di dimensioni e complessità così grandi da richiedere nuovi strumenti per l’acquisizione e l’analisi.
Ma cosa sono questi dati? La provenienza è varia e diversificata: documenti elettronici (file word o pdf, email, html…), file multimediali (audio, video, foto…), social media (ogni nostra azione sui social network determina la produzione di una grande quantità di dati, in tempo reale), dati presenti sul web (da Wikipedia ai siti governativi…), i dati comunicati dai sensori presenti sui dispositivi (geolocalizzazione e altri…), archivi offline.
Chi analizza i big data può incrociare una molteplicità di questi dati e flussi per elaborare analisi e studi. Per cercare di capire meglio, facciamo un esempio in ambito commerciale.
Ogni volta che condividiamo qualcosa sui social network, ogni volta che ci geolocalizziamo da qualche parte, ogni volta che interagiamo con qualcuno dei nostri contatti, l’azienda elabora tutte le informazioni che le nostre azioni generano. L’obiettivo? Offrire nuove funzionalità (e nuove proposte commerciali) basate direttamente sui nostri gusti e sulle nostre abitudini: è quello che succede quando, dopo un acquisto online, il sito ci propone automaticamente un’altra serie di prodotti, proposta generata proprio dall’analisi di questi dati. Le aziende, grazie all’analisi incrociata dei big data che permettono di capire il comportamento degli utenti, lavorano anche alla fidelizzazione dei clienti, al miglioramento dei servizi di vendita e di assistenza.
L’analisi dei big data può essere applicata in molti campi, dalla ricerca alla statistica e non solo a fini commerciali. Che il tema della , però, diventi sempre più delicato, lo dimostra l’iniziativa del governo Obama, che ha invitato i cittadini statunitensi a partecipare a una ricerca sul tema big data e privacy. In Italia il sondaggio è stato rilanciato da Federprivacy.