La storia è quella di Margaret Keane, pittrice diventata famosa negli anni ’50 e ’60 grazie alle sue particolari opere: i bambini con gli occhi grandi, una sorta di manga quando ancora non si sapeva cosa fossero i manga. Il problema è che per quasi 10 anni ad attribuirsi la paternità di quelle opere fu il marito, Walter, che si approfittò della grande ingenuità della moglie. Lei era brava a dipingere, lui a vendere, tanto che quando non vendeva i quadri, vendeva le cartoline e poster dei quadri: creando di fatto un impero. Il film narra quindi la vera storia di Margaret, della sua profonda idiozia e del suo tormento interiore.
Il film, comunque, ci racconta la triste storia di Margaret, interpretata da una un po’ ingrassata ma sempre in forma Amy Adams, e del suo rapporto con il marito Walter, Christoph Waltz, che gli fregava i quadri per venderli a suo nome. Sembra che Burton con questa storia voglia celebrare “l’arte delle donne”, ma in realtà da un certo punto di vista riesce anche un po’ a denigrarle. Margaret è dipinta come una debole succube del marito, nonostante all’inizio del film abbia il coraggio di fuggire da un precedente matrimonio. E’ debole, obbediente e facile al convincimento…il suo unico punto di forza è il saper dipingere. Walter, al contrario viene dipinto come una macchietta in mezzo ad altri personaggi del tutto normali. E’ un personaggio alla Tim Burton in un universo poco timburtoniano e la cosa dopo circa mezz’ora inizia a dare fastidio.
C’è molto poco in questo film del Tim Burton che tutti conosciamo, forse due o tre scene ci si avvicinano, ma per il resto del film la regia è scontata e priva di alcuna fantasia…banale rispetto a quello che potrebbe fare Burton. Le emozioni che il film potrebbe trasmettere (privazione e oppressione nella parte centrale e libertà nella parte finale) sono completamente soffocate o del tutto assenti: la pellicola non trasmette pathos. Per rispondere alla domanda fatta all’inizio, quindi: no, non ci è riuscito. Non è di certo uno dei film peggiori di Burton (Alice in Wonderland è imbattibile), ma di certo non è al livello dei suoi film caratteristici. Non sembra neanche esserci Burton dietro la macchina da presa, per quanto è anonimo questo film. La pellicola, in definitiva, rispecchia tutto il resto della trama dove una donna deboluccia realizza dipinti mediocri.