Neanche a farlo apposta infatti in quella trama e in quei percorsi (tratti da una storia vera) che raccontano di un marito scaltro e dominante, che si impossessa della paternità dei quadri artistici della moglie per riscuotere successo e denaro, risiede un po' l'intera sintesi di ciò che "Big Eyes" trasmette e mostra: ovvero un prodotto che è si, firmato da Burton, ma che sarebbe più semplice credere sia stato diretto da qualunque altro mestierante. Scarico delle sue vene dark, gotiche, ironiche e fiabesche il tentativo del regista allora stavolta appare simile a quello di voler mettersi alla prova per testare la destrezza e le abilità della sua versione più sobria e composta, ufficialmente non ancora affrontata e quindi di interessante visione ed esplorazione. Eppure trovare i giri giusti avendo a che fare con toni distanti, se non addirittura estranei, per lui diviene un operazione pressoché complicata e imprecisa, tant'è che dopo qualche lancio a vuoto è costretto a correre ai ripari chiedendo boccate d'ossigeno sempre più frequenti a un Christoph Waltz che - per sostituire le veci solitamente indossate da Johnny Depp - alla fine si troverà lentamente a perdere il controllo del suo personaggio trasformandolo in sagoma e caricatura.
Purtroppo però la certezza unica che "Big Eyes" è in grado di regalare è quella di un autore denaturalizzato talmente troppo e talmente male da riuscire a infastidire e disturbare spettatori ed adepti. Una pellicola che, a parte un paio di scene, fa veramente venire il dubbio che il vero Tim Burton, in questo momento, sia rinchiuso in ostaggio, chissà dove, in attesa di essere ritrovato e salvato. Resta da capire se da sé stesso o da qualcun altro.
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