L’ambientazione è un’immaginaria città sintesi di Tokyo e San Francisco in cui Hiro/Hero, l’adolescente protagonista, decide di dar retta a suo fratello Tadashi e iscriversi nella più prestigiosa scuola di nerd del Paese, rapito dalle sue leccornie tecnologiche. Il sogno dura poco: non appena presenta la sua invenzione d’ammissione, proprio suo fratello muore in un incendio, i cui retroscena sono molto sospetti. Ma Hiro non è solo: c’è Baymax, lascito di Tadashi, ad accompagnarlo nel suo viaggio interiore, nella sua bonaria invadenza e ingenuità. Si tratta di un robot-operatore sanitario e “coccoloso”, archivio infinito di diagnosi e cure, che Hiro contamina con il suo entusiasmo e la sua spasmodica ricerca di quello che, fuori di sé, non potrà mai più trovare. Sorvolando sull’aspetto grafico, sul quale non c’è niente da eccepire, se c’è una cosa che si può rimproverare a Big Hero 6 è qualche breve passaggio in cui emergono troppo zuccherati i sentimenti del protagonista, che passa quasi inosservato in un mare di tutt’altro: comicità generata dall’efficace caratterizzazione dei personaggi secondari, i sei post-supereroi, o gag mai fini a se stesse nel rapporto tra Baymax e il suo piccolo assistito. Che anche noi, forse, avremmo voluto essere.
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