Big porn Data – seconda parte

Creato il 28 febbraio 2013 da Giorgiofontana
Zettabyte e limiti della fisica Se per la fisica degli elaboratori il limite non è quello della Coscienza, dare un senso a quello che si fa, ma è un feedback ad semplice modello di coerenza matematica, di informazione attuata, di investimenti economici e di tempo nella realizzazione, allora quello che abbiamo oggi è solo la preistoria di un futuro.
Il volume dei dati cresce ogni anno attorno al 60% e cresce perchè la tecnologia precede il fabbisogno. Il traffico di internet continua a crescere in modo sostenuto del 34% all’anno, il traffico in mobilità cresce del 100%, e questa è la risposta relativa del mercato di consumo recnologico.
La ricerca nel campo della compressione dei pacchetti nel campo della trasmissione ultraveloce dei dati, nello sviluppo di device e sensori microingegnerizzati, persino le ricadute della ricerca sulle subparticelle atomiche e la bioingegneria sono tutti correlati tra loro e accelerati dal catalizzatore ‘richiesta del mercato’.
I limiti sono come avere un’energia sufficientemente sostenibile e come avere una dispersione per il raffreddamento in spazi microscopici, perchè la velocità è massa che si trasforma.
La nostra corsa per una tecnologia sempre più accelerante ci pone però il limite con i nostri confini umani, i limiti di creazione e gestione del senso, il nostro fermarci e chiederci ‘perchè’.
Tanto che il nostro restare umani, forse, è fermarsi, oggi più di ieri.
Le organizzazioni, e proprio il concetto di organizzazione dovrebbe sottendere la necessità atavica di formattare la realtà naturale, sono in grado di usare, interpretare e dare un senso al torrente di dati che loro stesse producono ?
Indubbiamente la produzione di dati è in minima parte una produzione di senso, ma è anche vero che solo da poco gli analisti ed i businessman si sono interrogati sul carico enorme di informazioni che producono direttamente e fanno produrre indirettamante.
Gli operatori telefonici hanno scoperto di avere profilazioni di utenti ma soprattutto narrazioni deducibili del loro stile di vita. Lo stanno scoprendo i big player dei mass media. Lo avevano già intuito i service del retail, le finanziarie, i sistemi di loyalty e le credi card.
Anche le amministrazioni pubbliche sanno adesso che potrebbero determinare con i loro Big Data integrati una coerenza sui comportamenti, dalla massa indistinta fino alla storia puntuale di una singola giornata di ognuno di noi. L’uso dei Big Data e la loro formattazione non è detto che possa portare soltanto alla violazione della privacy, piuttosto il suo orizzonte nel diventare un’ingerenza totalitaria nella determinazione di comportamenti e uno strumento di manipolazione e di controllo.
Al contrario potrebbe essere uno strumento potentissimo per la risoluzione dei problemi energetici, del riscaldamento globale, nella redistribuzione delle ricchezze e nella lotto contro le malattie e l’analfabetizzazione.
Potrebbe armonizzare e predire le crisi, come quella che stiamo vivendo, prevenire catastrofi ed eventi luttuosi, permettere al singolo uomo di essere più libero e meno legato all’imponderabile.

Augmented Reality e Data Porn

In questo mondo del possibile assoluto si combinano, come sempre è capitato nella storia dell’uomo, un’aspettazione visionaria ed una semplice e quasi banale ricaduta pratica.
Ci sono sempre stati visionari che hanno precorso i tempi, nel migliore dei casi, oppure indicato delle vie che nessuno ha poi seguito.
La storia della scienza ricorda Edison, Einstein ma anche Leonardo, Tesla o persino Kurzweill o Leary, i visionari sono quelli che hanno mancato l’appuntamento temporale con un tempo altro che li avrebbe interpretati e li avrebbe assunti come profeti in patria e non come Nemo e le sue leghe sotto i mari. La maturità della contemporaneità ad accogliere il nuovo è la sua lenta considerazione del senso, il suo lento collocare nellì’ordine delle cose, nel suo lento comprendere, vale a dire prendere in se.
Lo Spazio è un limite, perchè l’idea dell’infinito è una visione del senso comune, quindi incomprensibile.
La realtà aumentata sarà la prima vera applicazione dell’impatto dei Big Data con la vita quotidiana.
Dispositivi con sensori, già oggi, integrano la geolocalizzazione o l’informazione della pressione barometrica per capire dove siamo nel piano matematico a due o a tre dimensioni.
Seguono i nostri movimenti, ci correggono, addestrano i meccanismi che vorremmo affinare oppure ci inducono a delegare a loro la gestione dello spazio e del tempo.
Nello stesso tempo la AR è un mezzo per potenziarci o per depotenziarci, a seconda che le nostre scarpe Nike o le Google Glass siano per noi un consulente oppure un automa.
La realtà aumentata potrebbe diventare una realtà impoverita di umanità, dove al posto delle persone che inquadriamo col nostro mirino ci saranno dati numerici e statistici invece che un nome soltanto. Nella ricerca di informazioni già oggi l’offerta che ci viene dai new media è una enfatizzazione del format. Data porn è la definizione di quell’impiattamento colorato e accattivante che i dati a disposizione subiscono per essere divorati dal pubblico.
Il chart porn è una delle sue espressioni più veicolate in rete.
In Pinterest, una delle piattaforme che più si presta alla declinazioni del pornostuff (pornofood, pornopet, pornovintage..) vi sono raccolte interminabilli di infografiche senza una interna produzione di senso, se non quella della gratificazione dei sensi sottostanti al cognitivo, la vista e le sue innumerevoli sinestesie pavloviane.
Nulla di immeritevole, ovviamente, ma se la collocazione della pornografia ha la sua dignità nella piacevolezza ( o non gradevolezza) del voyeurismo e ha un senso proprio nel restarne senza , senza etica e senza obiettivi, in qualsiasi altra sua confusione è poco fertile e frustrante. Nell’ambito del data journalism lo spiega bene questo post che potrei sintetizzare in questo ‘ perchè ‘ preso dal pezzo: “Prendere un set di dati e vomitarne una visualizzazione perché sembrano dati incredibili è solo porno dati.
Il giornalismo è una professione altamente qualificata, e solo il fatto generare una infografica da prima pagina non si qualifica che come giornalista di dati. Ti fa un artista di dati.“ Questo vuol dire che come la AR non porta nessun valore in più se è soltanto una automatica correlazione di dati a disposizione senza una contestualizzazione comunicativa, anche la pubblicazione di dati giornalistici senza una narrazione è puramente il titillamento dell’amigdale limbica che ci crea archi riflessi che on sappiamo più controllare. Quel numero di Dunbar della nostra umanità, allora, lo possiamo utilizzare per spiegarci il grande rumore di fondo che si sta producendo attorno a noi ogni giorno di più di accelerazione. Rumore che la nostra richiesta di senso percepisce sempre di più come tossico.

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