Bigiotteria per lui

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Apro il post di oggi con una doverosa premessa.
Carlo Schivo, l’ingegnere del suono di “Tutto Matto – C’erano una volta gli Anni ‘80” ritratto nella foto qui a lato, non indossa un vistoso orecchino di bigiotteria perché di notte cambia identità e si fa chiamare Pamela, ma solo in quanto indotto a farlo da una conturbantissima Ilaria Pardini che, coperta di un super-ridotto baby doll, gli danzava intorno cantando il jingle delle ragazze di “Colpo Grosso”, facendogli andare l’ormone al cervello e offuscandogli la razionalità.
Si tratta insomma di una foto rubata con l’inganno, visto che il nostro Carlo, oltre ad essere Schivo, generalmente è anche molto sobrio e rigoroso.

Il fatto è che abbiamo deciso di strappare questa immagine con l’inganno perché, viaggiando negli Anni ’80, non ci si può esimere dal dedicare una tappa anche all’ambiguità sessuale e al miscuglio di generi che, partito dal movimento londinese dei New Romantic, attraverso il pop britannico influenzò i giovani di tre quarti di mondo.

Fino ad allora non era roba da maschi, portare l’orecchino. Di colpo diventò una caratteristica dei fighetti, non legata a doppio nodo con l’omosessualità, ma anzi, al contrario, perfetta per esercitare fascino sulle fanciulle.

L’orecchino sfoggiato da Schivo in questo scatto destinato a compromettere per sempre la sua carriera (o a farla decollare, chi lo sa!) potrebbe infatti essere tranquillamente stato preso dal guardaroba dell’allora divo Boy George, o dai costumi di scena dei Dead or Alive.
Certo il luccichio dell’oro finto così in stile “cassiera della Rinascente” stride un po’ con la barba ispida del nostro fotomodello, ma basta andarsi a rivedere il videoclip di “I want to break free” dei Queen (1984) per rendersi conto di come la commistione di maschile e femminile fosse in voga all’epoca.
Nello stesso anno, Jimmy Sommerville insieme al suo gruppo Bronski Beat stravolgeva i vecchi schemi con il successo della canzone “Smalltown Boy” il cui video – in onda nelle ore pomeridiane anche sull’italiana Videomusic – raccontava in musica la dirompente storia di un ragazzetto della provincia inglese che affronta tutti i classici passaggi della scoperta della propria omosessualità: l’amore per il fusto della piscina, gli insulti e la violenza dei coetanei, l’ira dei parenti, e la fuga finale dal paesino per andare incontro alla propria identità.
Rivedere quel video oggi, nonostante i ventisette anni trascorsi e la tanta acqua passata sotto i ponti, mette ancora i brividi.

Negli Anni ’80 il gay-pride era poco più che una ridottissima sfilata di froci, non certo l’evento mediatico capace di attirare folle variegatissime e catalizzare l’attenzione come oggi.
Ancora non era avvenuto lo sdoganamento delle drag queen, Platinette e Vladimir Luxuria erano parecchio lontane dal diventare personaggi nazional-popolari, ma già il travestitismo cominciava a fare breccia, a stuzzicare e incuriosire (a patto, ovviamente, che fosse importato dall’estero, visto che con l’arrivo degli eighties persino Renato Zero divenne improvvisamente eterosessuale e si diede al look total-black).

In tutto ciò, l’unico aspetto veramente paradossale è che venticinque-ventisei anni fa, con il boom dei cantanti travestiti e folle di giovani che li erigevano a loro modelli di vita, si pensava che il costume e la cultura della sessualità fossero sull’orlo di un radicale cambiamento.
Effettivamente poi è andata così, in tre quarti di mondo.
Peccato che, da questo punto di vista, l’Italia sia invece ancora ferma al 1984.

Postato da: maionese link | commenti (1) |
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