Eppure, anche noi ci tenevamo a stilare una lista, sia pure rappresentativa, di libri che ci sono piaciuti particolarmente o che particolarmente non abbiamo apprezzato. Pertanto, rappresentativamente, abbiamo selezionato in modo casuale quattordici recensioni pubblicate quest'anno, secondo i criteri che seguono:+5stelle+ Cinque dei libri più belli recensiti quest'anno +5stelle+
Scrive Pythia:
Nel "Giocattolaio" ho trovato la solitudine che si respira in "Cam", quella dell'emarginazione dei più deboli e dei quartieri difficili. Ho trovato anche le stranezze del ricco filantropo della "Correzione", quelle che fanno pensare che la vita vera non può conoscere situazioni così surreali, ma che in fondo risultano credibili - perché vogliamo crederci, perché ne abbiamo bisogno.
Anche in questo ultimo lavoro, Pastor conferma il suo stile particolare, fatto più di dialoghi e azioni che di descrizioni o riflessioni - fresco e spontaneo come la vita vera, perché è così che conosciamo chi ci sta attorno, parlando e "facendo" insieme. Se non fosse per l'argomento così duro, le 398 pagine volerebbero in un soffio: ma il cuore non permette una lettura così intensa, troppe emozioni, troppa crudeltà, in un'altalena di speranza e disperazione.
Consigliatissimo.
Scrive Sakura:
Una storia narrata in prima persona a tinte vividissime che quasi elimina lo scarto tra lettore e personaggio, tra realtà e finzione. Margaret Atwood, scrittrice e militante femminista, crea un’opera straordinaria che pur appartenendo al filone fantascientifico/distopico non si discosta poi troppo dalle reali condizioni di vita delle donne mediorientali e anche dal modo in cui i cattolici e i moralisti vorrebbero ridurre la figura femminile paragonando l’aborto a un assassinio e riducendo la donna a moglie e madre.
Un romanzo da leggere e rileggere, un’immersione in una scrittura coinvolgente e impeccabile (vera poesia in prosa), tutt’altro che esclusivamente femminile.
Scrive Lorenzo Pompeo:
In verità Il processo è un mondo completo: ci sono descrizioni realistiche, verosimili, della vita di un qualsiasi ufficio, c'è un personaggio, il protagonista, col quale il lettore simpatizza immediatamente. Di questo fantomatico Josef K il lettore conosce tutto. Se non fosse per la vicenda del processo nel quale è coinvolto, la sua vita sarebbe del tutto ordinaria. Anche se lui non sembra avere nessuna colpa, eppure la colpa c'è, inafferrabile e misteriosa. Il processo è il romanzo nel quale è racchiusa un'intera esistenza, come un insetto custodito in un cristallo d'ambra. Probabilmente oggi un libro di questo genere non troverebbe un editore disposto a correre il rischio di pubblicarlo, anche perché non rientra in nesun "genere". Ma proprio per questo è un libro che va assolutamente letto.
Scrive Polyfilo:
La ricerca della normalità e il dolore della perdita attraversano le due generazioni centrali della famiglia Moskat: la prima, quella di Meshulam, non arriva a vedere i cambiamenti per limiti d'età e l'ultima, quella dei figli di Asa Heshel, non farà in tempo a vivere appieno la tradizione. Le due centrali, quelle di Abram Shapiro e Asa Heshel stesso, subiscono la tensione lacerante tra il peso dell'eredità ingombrante dell'Ebraismo yiddish, che pervade la vita fino al modo di vestirsi e di mangiare, e la voglia di praticare una via, anche individuale, alla felicità, ribellandosi a matrimoni combinati e riti ripetitivi e devoti.
In tutte le contrite e scoppiettanti storie che Singer - insignito nel 1978 del Nobel alla letteratura come cantore della civiltà yiddish - raccoglie nella 'Famiglia Moskat' c'è il ritratto fedele e imparziale della vitalità di questo popolo, assuefatto a pogrom e diaspore ma sempre reattivo, pronto a lasciare la terra dei propri padri e a tornarvi poi per nostalgia.
Scrive Tancredi:
Allarme rosso, allarme rosso: romanzo a tesi individuato!
Un allarme insistente ha risuonato nella mia mente sin dalle prime pagine di questo romanzo. Proprio questo romanzo, che persino reca nel proprio titolo la parola saggio (come del resto è nel titolo originale di Cecità), scivola talvolta, ma senza mai perdere l'equilibrio, sul confine con il romanzo a tesi. Il problema dei romanzi a tesi, è che non puoi recensirli, a meno di provocarti consapevolmente uno sdoppiamento della mente. Uno sdoppiamento, dunque, sarà necessario anche in questo caso.
Saggio sulla lucidità è un romanzo bellissimo. Se un tale aggettivo superlativo non fosse così brutalmente abusato nella lingua italiana, potrebbe bastare questa sola frase a rendere giustizia al romanzo. Ma dovrei comunque spiegarne le ragioni. Saggio sulla lucidità è il romanzo definitivo, il romanzo della maturità: quei piccoli, invisibili, vaghi difetti che si vorrebbe trovare negli altri romanzi di Saramago qui sono del tutto assenti, è davvero un grandissimo romanzo, praticamente perfetto sotto ogni punto di vista.
+1stella+ Cinque dei libri recensiti cui è stato assegnato il voto minimo +1stella+
Scrive Valetta:
In effetti potete risparmiarvi di leggere questo romanzo in ogni caso, a meno che non abbiate forti problemi di insonnia conditi con un'elevata tolleranza per il ridicolo. Il romanzo di John Underwood (pseudonimo sotto il quale si cela Gene Ayres, preso a prestito dal nome di uno dei membri più celebri dei King's Man, la compagnia di attori alla quale apparteneva Shakespeare) riesce infatti a buttare alle ortiche un giallo praticamente già scritto grazie ad una scrittura piatta, banale e ripetitiva, una totale incapacità di costruire la benché minima suspence e la creazioni di dialoghi e situazioni surreali e assolutamente improbabili.
Scrive Pythia:
Da un romanzo del genere c'è di cui sentirsi profondamente offese - parlo al femminile perché al solito siamo noi del gentil sesso a subire. La protagonista è disponibile a qualsiasi violenza pur di tenersi stretto il suo uomo: "devo fare buon viso a cattivo gioco e accettare qualsiasi cosa decida di volere, qualsiasi cosa decida di soddisfare". Perché l'amore guarisce ogni ferita, l'amore porta la luce alla tenebra, l'amore salva. E allora sculacciami, picchiami, ricattami, io sarò al tuo fianco e ti mostrerò cosa è l'amore.Ana, tesoro, lui è in terapia da anni e ha ammesso di non conoscere altro amore che quello nato dalla sofferenza (altrui). No, io lo salverò!Cara, lui è un approfittatore che se ne infischia della tua innocenza, ti prende la virtù senza capire il grande dono che gli stai facendo e ti ricatta con i suoi giochetti. No, io lo amo!Bambina, tu sei diversa perché sei l'unica che non è una vera sottomessa e questo lo stuzzica, non è amore. No, lui è innamorato ma non lo sa!
Scrive Tancredi:
L'intera vicenda, a ben vedere, manca di coerenza e credibilità: l'intenzione di raccontare un sogno d'amore, sospeso tra realtà e favola, non può in alcun modo giustificare l'incuria e la profonda incoerenza della trama, che procede con salti improvvisi, trovate occasionali e un eccessivo ricorso al deus ex machina. I dialoghi sono sovente stereotipati, le descrizioni insufficienti, il romanzo manca persino di coerenza spazio-temporale: ore che trascorrono da un rigo all'altro, spostamenti da una parte all'altra della città alla velocità della luce (il più incredibile è il rapimento di Aziz: steso da un pugno, in un appartamento a Londra, si risveglia il rigo successivo in Egitto!).
Anche a livello stilistico, spiace dirlo, il romanzo lascia profondamente insoddisfatti: lessico molto povero, narrazione assolutamente scarna, accennata, mancanza assoluta di proprietà di linguaggio, che si traduce fondamentalmente in una prosa paratattica, fatta di frasi secche e brevi. Non per infierire, ma da un'autrice con una formazione classica ci si aspetta qualcosa di più del mettere una frase dietro l'altra senza errori grammaticali e ortografici.
Le buone intenzioni non bastano, insomma; spiace dirlo, ma non è così che si scrive un romanzo
Scrive Valetta:
Quella di Samanta e Alex è una storia abbastanza comune ai giorni nostri e proprio qui sta il nocciolo della questione. Spesso si sente dire che le storie semplici sono anche le più belle, questo libro però ci dimostra che le storie più semplici rischiano di diventare le più banali se non sono raccontate adeguatamente. Non fraintendetemi: l'amore è il più profondo dei sentimenti e rifarsi una vita dopo che il tuo mondo ti è appena crollato addosso è un'esperienza faticosissima ma in Nuotando sotto la luna poco traspare di queste emozioni perché tutto è soffocato dalla sterile cronaca degli eventi quotidiani che portano dalla simpatia all'amore (il primo incontro, la prima uscita, l'invito a cena...). Certo l'autrice ci dice che Samantha è prima triste, poi eccitata, poi impaurita, poi innamorata ma questi sono i normali passaggi che ognuno di noi compirebbe in una situazione simile, in un romanzo si cerca qualcosa di più, ci si aspetta che le emozioni vengano scandagliate più nel profondo, che emergano le contraddizioni, che il delicato passaggio dal dolore ad un nuovo amore venga affrontato con maggior approfondimento.
Scrive Sakura:
L’estate è finita narra la stagione che segnerà la maturazione della protagonista femminile, tentando di affrontare senza mai risultare convincente o esauriente i temi della depressione, della responsabilità familiare, dei problemi del Sud, dell’attrazione verso due poli opposti, delle difficoltà della crescita, della tensione tra tradizione e modernità in un momento di passaggio come gli anni Ottanta. Tanti ingredienti immessi alla rinfusa nel calderone e conditi con una banalità che a volte ha dell’imbarazzante.
Non si salva nemmeno lo stile, piuttosto sciatto, con una punteggiatura che ogni tanto vaga alla rinfusa e fastidiosissimi fin’ora. Un libro per donne che vogliono rilassarsi in spiaggia con una lettura scorrevole e per nulla pretenziosa.
+5stelle+ Piccoli e medi editori a cinque stelle +5stelle+
Scrive Tancredi:
C'è qualcosa di puro e incontaminato in queste pagine: l'ardore santo della libertà, che non può non essere selvaggia. Proprio come questi sei cani selvaggi, abbandonati e allontanati per un motivo o per un altro, rintanati in una foresta ai margini del mondo civilizzato, che decidono, ogni sera, di ignorare i richiami dei loro padroni. Padroni che sono altrettanto smarriti, abbandonati e allontanati: anche loro si spingono con piena consapevolezza ai margini della città e della civiltà.
Cani selvaggi è un romanzo sulla vita, sull'amore, sugli abbandoni e sui legami, in un continuo gioco di specchi tra la vita dei cani, sempre più simili ai lupi, e la vita umana: entrambe si poggiano su convinzioni che sono mere concessioni. Un cane non è veramente fedele: però te lo lascia credere.
Scrive Mara:
Uno scritto breve ed intenso, Il Libro di Mush. Dopo aver trattato, nei primi due romanzi, la tragedia armena attraverso le vicissitudini della propria famiglia, con il terzo lo sguardo comprende l’intero Popolo, in quanto tale. L’idea di scrivere quest’opera, davvero preziosa, è nata in California in occasione dell’apertura di un’esposizione sul Popolo Armeno, cui l’Autrice aveva partecipato. Le vicende ivi rappresentate, le immagini, i colloqui con le persone presenti (negli USA vive una folta comunità diasporica), le loro sollecitazioni hanno fatto riemergere i ricordi dei racconti uditi tanti anni prima. E ne è scaturita la presente storia. Il Libro di cui si tratta è un manoscritto medievale (del 1202), consistente in una raccolta di omelie (Msho Charantir, cioè Omiliario di Mush), ornata di stupende miniature che ne fanno un tesoro inestimabile, composta all’inizio del XIII secolo nello scriptorium del monastero di Avakvank (presso Erzynka) su commissione di un sensibile mercante.
Scrive Tancredi:
C'è chi ha il dono della parola, e con essa può fare a pezzi il mondo intero.
E' il caso di questo breve romanzo: l'indicibile nell'indicibile, l'omosessualità nella camorra. Lontano dalle luci del mastodontico documentario di Saviano, Carrino sceglie la camorra, anziché per indagarne i riti e i meccanismi, per raccontare una storia di amore e di morte. Ed è una storia tutta italiana.
Quella di Acqua storta è una sacra famiglia: l'incarnazione della più potente, antica e implacabile istituzione italiana, un tumore che fagocita se stesso e che vede nell'onore, più forte della carne, più forte del sangue, l'unico modo per perpetuare se stesso.
Scrive Tancredi:
Ciò che colpisce ben presto il lettore è soprattutto il grandissimo stile. Edmund White può vantare una scrittura meravigliosa, un lessico ricchissimo, uno stile che si compone in larga parte di metafore e analogie spietate.
Immensa è poi l'introspezione psicologica; la psicanalisi torna in diverse forme nel romanzo, ponendosi, imponente, come lente d'ingrandimento e chiave di lettura dell'intero romanzo, così da rivelare, alla fine, un intreccio invisibile che unisce quelli che sembravano episodi sconnessi, in ordine casuale.
Un monologo, un racconto, una confessione, soprattutto; Un giovane americano è un autoritratto che si fa a pezzi da solo, squarcia la tela e vi mostra tutto quello che c'è dietro.
Scrive Mara:
Il fulcro è costituito dalle vicende di cinque famiglie ebraiche -russi, italiani, francesi, ma non solo- che si sviluppano in un vasto intreccio, con svolte talora imprevedibili, dove tuttavia l’Autore riesce a far sì che chi legge non si perda, per così dire, tra le righe; anzi sia incoraggiato a proseguire, per immaginare, conoscere, scoprire ciò che accadrà nelle pagine successive. Sullo sfondo delle drammatiche vicende di quegli anni, della Grande Storia, nasce, cresce e si sviluppa "la Piccola Storia" dei protagonisti, dando così vita ad una narrazione corale scritta con profonda partecipazione, in uno stile incisivo, privo di retorica, talora ironico, scevro da certe minuziose descrizioni che spesso rischiano di distogliere l’attenzione del lettore.
Ringraziandovi ancora una volta - calorosamente - di averci seguito per tutto il 2012, ci auguriamo che continuerete a farlo anche quest'anno. I nostri buoni propositi? Continuare a offrirvi il meglio che possiamo, come sempre. Lo staff della Stamberga