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Infine, come facciamo ormai da anni, abbiamo stilato una lista rappresentativa di libri che ci sono piaciuti particolarmente o che particolarmente non abbiamo apprezzato: ecco a voi una selezione di quindici recensioni pubblicate quest'anno, secondo i criteri che seguono:
+5stelle+ Cinque dei libri più belli recensiti quest'anno +5stelle+
Scrive Patrizia:
Il romanzo si snoda attraverso tre linee narrative. La prima, quella che apre il romanzo, ha la voce di Urania Cabral, affermata professionista che ha lasciato Santo Domingo all’età di quattordici anni e vi torna dopo 34 senza un motivo specifico. Forse, dopo tanti anni, è pronta a fare i conti con il proprio passato e i suoi passi, durante l’abituale corsa mattutina, la portano sulla soglia della vecchia casa di famiglia, dove vive ancora il padre Agustin Cabral, ex Presidente del Senato ai tempi di Trujillo, immobilizzato a causa di un ictus e con il quale aveva interrotto tutti i contatti dal giorno della partenza per gli Stati Uniti. Urania, nel corso della sua lunga giornata, si ritrova anche a parlare con nostalgici anziani e con giovani che hanno mitizzato il periodo della dittatura ricordando con nostalgia che tutti lavoravano e non c’era microcriminalità; l’orrore è diventato mito, si trova a pensare una stupefatta Urania che ricorda bene la mancanza di libertà, anche nella propria vita personale, imposta dal regime di Trujillo.
Scrive Valeria Pinna:
Il mio nome è rosso è un libro molto complesso: per arrivare all'ultima pagina e comprenderlo a fondo sono richieste molta pazienza e dedizione. Ma vi assicuro che il risultato è un'esperienza senza dubbio appagante. L'amore, il sesso, la morte, l'omicidio, la bellezza, l'arte, la miniatura, la religione, i conflitti interiori dell'animo umano sono tutti protagonisti di questo grande affresco di una Istanbul di fine Cinquecento ritratta in un'atmosfera realistica e magica allo stesso tempo.
Scrive Antonio:
Nello spirito primitivo del premio Nobel, i libri di Solgenitsin sono pregni di idealismo. Ciò che Solgenitsin condanna è la corruzione, la superficialità, il qualunquismo che mal si adattano alla sua visione di una scelta di vita ascetica ma piena di disponibilità verso il prossimo. L’eroe di Solgenitsin è quello che, per quanto colpito dalle sventure e dalla perfidia del prossimo, riesce a rimanere ancorato ai propri principi di solidarietà ed abnegazione.
Carrère, con l'abilità di uno sceneggiatore professionale, raccoglie in prima persona e racconta le esperienze del suo protagonista in maniera esemplare, unendo momenti lirici e aneddoti sordidi, mettendo in mostra tutti gli angoli nascosti della sua policroma personalità ed evidenziandone contraddizioni e lati oscuri. Ma quel che è più importante è che riesce a cucire in modo perfetto, senza eccessi e senza sbavature, il ritratto di un dissidente e artista con il ritratto di una nazione. Si rimane nell'ambito del romanzo di formazione e nello stesso tempo, come in un saggio di geopolitica, la storia, quella recente degli ultimi due decenni del crollo dell'URSS, dell'era di Eltsin e degli oligarchi e infine della democrazia di Putin dalle forti venature di cesarismo, irrompe con tutta la sua forza nella narrazione.
Nella sua autobiografia, che ripercorre una vita umile eppure pulsante, energica, instancabile, che non si piega mai, Arenas intreccia gli affetti e le passioni e i tormenti: gli uomini che l'Isola ha offerto al suo desiderio insaziabile (più di cinquemila, proclama); la passione della scrittura, soffocata dal regime, tradita dagli amici scrittori ipocriti, mai ripagata dagli editori stranieri; i regimi, prima quello di Batista, poi quello di Castro, e quella brevissima, di una illusoria felicità, parentesi rivoluzionaria cui aveva pure aderito, salvo indovinare ben presto il colore dell'operazione condotta dal lider maximo. L'amore (omosessuale), la scrittura, la politica sono le tre passioni di Arenas, ma anche i tre volti di Cuba, che l'autore demolisce e ricostruisce in un infinito gioco di specchi: Cuba è l'isola di sole e mare, di spiagge popolate di bei ragazzi, di amori urlati con vitalità e fierezza; Cuba è anche l'immenso salotto letterario che Arenas e i suoi popolavano, un salotto umile, alla buona, più una taverna che un circolo di intellettuali; Cuba è, ed è diventata soprattutto, l'isola del mare negato, delle spiagge popolate di militari, delle prigioni e dei campi di lavoro forzato.
+1stella+ Cinque dei libri recensiti cui è stato assegnato il voto minimo +1stella+
Scrive Pythia:
Questo romanzo non avrebbe dovuto essere pubblicato così com'è. È una questione di rispetto per i lettori, che spendono denaro e tempo per un prodotto non conforme, e anche per l'autrice, che nonostante la cura, la passione e la dedizione sicuramente impiegate viene penalizzata da un lavoro a metà. Manca decisamente una revisione degna di questo nome, per forma e contenuti: il buono c'è, ma si perde in una marea di imperfezioni.
Scrive Sakura:
Definito "apocalittico" dal Guardian, questo romanzetto non merita certo tanto scalpore (e in effetti il libro in Italia è passato pressoché inosservato): sebbene l'esistenza di Cristo, passata sotto silenzio, incarni ancora una volta l'aspra critica di oscurantismo rivolta dall'autore alla chiesa cattolica, nonché i travisamenti di cui i testi sacri sono sempre stati oggetto, Pullman rinuncia alla sua vena polemica, o non riesce a esprimerla appieno. La narrazione è pacata, fin troppo politically correct nell'evitare di approfondire episodi particolarmente controversi che avrebbero potuto essere spunto di critica, come il rapporto tra Maria Maddalena e Gesù o l'incontro di quest'ultimo con la donna di Canaan.
Scrive Valetta:
Come sempre evito ogni spoiler, ma non posso fare a meno di inveire contro la stupidità del finale in cui tutti gli ostacoli che separavano i nostri innamorati svaniscono nell'aria come per magia e Will finalmente comprende che la sua aspirante fidanzata è molto più importante del benessere del suo fratellino di nove anni che non ha nessuno al mondo. Splendido messaggio. Molto maturo. A dirvela tutta ci sarebbero mille altre cose che ho odiato a proposito di questo libro, ma mi sembra inutile e tedioso lamentarmi per pagine e pagine, perciò concluderò dicendo che l'ho trovato prevedibile, superficiale, noioso e, a dispetto delle infinite tragedie che l'autrice si è ostinata a infilarci, assolutamente poco toccante.
Questo è il terzo romanzo che leggo collegato o ispirato dall'opera incompiuta di Dickens, includendo Il ladro di libri incompiuti di Matthew Pearl e Il mistero di Edwin Drood riveduto e completato da Leon Garfield, ed è sicuramente anche il più deludente, il che è tutto dire se si considera che il libro di Pearl era stato un potentissimo sonnifero. Dickens era sicuramente un romanziere pieni di difetti ma ha creato personaggi e storie straordinarie, come sia possibile che coloro che decidono di ispirarsi a lui producano solo schifezze proprio non si spiega. Sarà il desiderio di emulazione senza averne il talento, sarà l'idea che i lettori sono una manica di ignoranti che non possono leggere un romanzo ambientato nell'800 senza subire una conferenza scritta sull'epoca vittoriana, fatto sta che sto seriamente considerando di abbandonare tutte le speranze e curare la mia astinenza da Dickens rileggendo le sue opere per l'ennesima volta.
Il problema di base dell'esperimento di Marini è che pare essere mancato un serio intervento di editing che riuscisse trasformare - ammesso che fosse possibile - del materiale grezzo da diario privato in un prodotto editoriale potabile. La classica zucca in carrozza, insomma. Se anche l'idea in sé potrebbe essere intrigante e offrire buoni spunti di sviluppo - e lo insegna Tom Cruise in Cocktail -, nel percorso intimo di Cuper Bennati, barman con base fiorentina ma cosmopolita e vagabondo nell'anima oltre che nel cuore, manca una trama vera e propria.
+5stelle+ Piccoli e medi editori a cinque stelle +5stelle+
Scrive Polyfilo:
Da un lato l'analisi spietata dell'ipocrisia imperante in certi strati sociali e all'interno dei meccanismi famigliari, in particolare nel rapporto fortemente autobiografico tra madre e figlia, prelude a temi che saranno caratterizzanti in romanzi successivi, in particolare in Jezabel, dall'altro lo stile, per quanto non privo di ingenuità sentimentali, manifesta una notevolissima capacità descrittiva, un tratto abile nel cesellare con poche pennellate situazioni e personaggi, forse senza scendere in profondità come avverrà nei romanzi più tardi, ma perfettamente in grado di mostrare i tormenti dell'animo nella complessità di accenti e sfumature che contraddistingue la scrittura di grande valore.
Scrive Daniele:
Emanuele Santi affascina con toni enfatici ed evocativi, tanto che sembra quasi di essere con Camus mentre vola da un palo all’altro prima di vedere la propria carriera sportiva stroncata dalla tubercolosi. Così, attraverso l’ardore indipendentista che infiammava gli animi degli algerini che, non potendosi riversare in altri contesti a causa delle repressive leggi coloniali francesi, si concentrava tutto nelle partite di calcio, il lettore vede quanto Camus fosse influenzato dalla propria patria e fosse sensibile ai soprusi che subiva dalla Francia. L’autore ha effettuato una ricerca molto approfondita riguardo quel periodo e, unendola alla propria capacità di raccontare storie di sport, ha creato un credibile e affascinante punto di vista su quanto vissuto - sportivo e non - l’autore de “Lo straniero” abbia messo nelle sue opere. Quindi, fin dal titolo, “Il portiere e lo straniero”, mostra al lettore il nodo principale dell’argomento. Dalla prima pagina all’ultima ci si trova davanti a un’opera che non mostra mai cali nell’intensità della narrazione, sempre precisa nel dimostrare la tesi alla propria base e avvolgente quasi fosse un romanzo.
Scrive Mara:
La tristezza e il rimpianto per lo splendore perduto in modo irrimediabile, che investono Edmund de Waal e chi legge dapprima davanti al Palazzo parigino, ora sede di un istituto di previdenza privato; indi a quello viennese, contemporaneo del primo, dove ora è la società che riunisce i casinò austriaci. Pure il percorso illustrato si fa via via più intimo e drammatico allorché si giunge sulla Ringstraße. L’Autore si sofferma sulla figura del trisavolo Ignace, del quale ci mostra un perspicuo ritratto. Nella nostra storia incontriamo ben tre Ignace: divertente e facile ritrovarli. Questo trisavolo, neri i folti capelli e la barba, così come ce lo presenta una fotografia del 1871, era uomo d’affari spregiudicato e passionale, con numerose amanti, padre di tre figli, che vediamo poco dopo, ragazzini: il minore è Viktor, il futuro padre di Elisabeth, nonna amatissima da Edmund e figura chiave nel racconto. Ignace, in quell’anno, si fece costruire il palazzo scintillante sulla Ringstraße e volle che, proprio nella grande sala da ballo, ben visibili da tutti, la serie di dipinti alle pareti raffigurasse episodi biblici tratti dal libro di Ester: Ester incoronata regina di Israele, in ginocchio al cospetto del gran sacerdote vestito con gli abiti rabbinici… E poi gli Ebrei che annientano i figli di Aman, il nemico di Israele.
Scrive Mara:
Lo stile è scorrevole, quasi musicale, in grado di adattarsi al registro itinerante del racconto. I toni ci sono tutti, con preferenza verso l'umoristico e l'ironico, come il contrasto tra i "sogni di gloria" di Wendelin e la modesta realtà della pensioncina in cui egli vive , "al quarto piano sopra negozi ed uffici, tra Friedrichstrasse e Unter den Linden". Protagonista assoluto è il paesaggio cittadino, che emerge discreto, il supporto imprescindibile, il sipario sul quale s'intrecciano le vite degli stravaganti personaggi, tutti ritratti con cura dal vivo. I cognomi adottati sono espressione del personaggio stesso, ma in una sorta di rovesciamento sarcastico: ad esempio, un tale Schilfkrot (Ranocchia, in tedesco) è un applaudito cantante, ispirato ad una celebrità dell'epoca, realmente esistita e famosa a Berlino in quel periodo. Donne fatali, alla Marlene Dietrich (alla quale Hessel dedicò un suggestivo libretto, nel 1931), come Margot, che ama indossare camicie maschili e passeggiare a cavallo nel Tiergarten, in compagnia di baldi giovani, Wendelin in testa, va da sé. O come l'inquietante, sessualmente ambigua, Fancy Freo, la cui specialità consiste nell'eseguire "le più audaci canzonette berlinesi con il massimo di raffinatezza e il minimo di sguaiataggine".
Scrive Mara:
Anno 455 e.v.: Roma è conquistata e saccheggiata dai Vandali di Genserico. L’imperatore Petronio Massimo fugge abbandonando la città, ma viene ben presto ucciso dalla folla esasperata. E’ il papa Leone Magno, poi diventato santo, a fermare i Vandali chiedendo loro di non distruggere Roma e di non massacrare la popolazione. In pochi giorni la Città è spogliata delle sue ricchezze: l’operazione viene effettuata in modo rigoroso, sistematico… teutonico, senza incontrare alcuna resistenza da parte degli abitanti atterriti. Nella pacifica Comunità Ebraica locale si diffonde il terrore: tutti sono consapevoli che la sventura occorsa al popolo ospitante si tradurrà in dolore e nuove persecuzioni per gli Ebrei.
Ringraziandovi ancora una volta - calorosamente - di averci seguito per tutto il 2013, ci auguriamo che continuerete a farlo anche quest'anno. I nostri buoni propositi? Continuare a offrirvi il meglio che possiamo, come sempre.
Lo staff della Stamberga