Bilbolbul 2013, qualche motivo per esserci andata (e per tornarci)

Creato il 06 marzo 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Anche quest’anno (dal 22 al 24 febbraio, ma le mostre principali sono ancora aperte per tutto marzo) Bilbolbul ha proposto il consueto impasto d’Italia e estero, nuovo e storico, classico e sperimentalismo, che è il suo marchio di fabbrica e che continua ad avere successo, questa volta anche alla verifica delle basse temperature e della neve.
Quest’anno i punti focali di interesse mi sono parsi il cinema (Giardino, Mattotti, Jason e Berliac) e il rapporto fumetto/internet (Ulli Lust, Sam Alden). C’erano poi moltissime illustratrici e fumettiste (Aisha Franz, Sharmila Banerjee, Silvia Rocchi, Alice Milani, Michela Osimo, Ulli Lust, Tomi Um, Allegra Corbo, Camille Jourdy, Liliana Salone).

Qui ripercorrerò alcuni dei momenti salienti della settima edizione del festival, ricordando che quattro giorni sono pochi per seguire tutto quel che viene offerto e che quindi questa carrellata sarà individuale e frutto del mio gusto (e delle mie scelte sofferte).

Vittorio Giardino

Difficile conoscere Vittorio Giardino in Italia se si ha la mia età. E il perché ce lo dice lui, durante l’incontro alla Facoltà di Lettere di Bologna: i suoi libri vengono ristampati pochissimo, e quindi non sono disponibili. A differenza che in Francia, soprattutto, dove Giardino è un autore di fumetto riconosciuto e molto amato.
Giardino è un uomo generoso, si capisce ascoltandolo parlare, quando non si risparmia in racconti, spiegazioni, risposte a domande dal pubblico. Sembra anche un uomo dalle idee civili e politiche molto chiare, che ha trasposto nelle sue opere, probabilmente contribuendo al loro successo. Durante l’incontro parla delle sue somiglianze con Max Friedman, di come lavora a una storia, di libertà e lotta.
Molto completa la mostra al Museo civico Archeologico di Bologna, con tavole tratte da tutte le sue opere principali (da Sam Pezzo a Max Friedman a Jonas Fink), che testimoniano del suo modo maniacale ed estremamente pulito di disegnare la tavola. Da “ingegnere” qual è, Giardino è precisissimo nel cercare di ambientare le sue storie in contesti storicamente realistici, e quindi fa largo uso della documentazione fotografica, oltre che di un attento studio delle fonti, compresa la ricerca sul luogo (Praga, Spagna, etc.) e il dialogo con gli abitanti.
Non sarà semplicissimo recuperare tutti i suoi fumetti, ma grazie a qualche vecchio albo Lizard o alle edizioni francesi potrete sicuramente ricostruire questo tassello della storia del fumetto italiano. È quello che farò io.

Jason

Anche Jason è un fumettista semi-sconosciuto in Italia, anche se per motivi leggermente diversi. I suoi libri sono arrivati nei primi anni Duemila grazie a Black Velvet, che però si è limitata a pubblicare tre titoli, mentre altrove (in America è pubblicato da Fantagraphics, per esempio) tutta la sua opera è conosciuta e apprezzata. Jason, però, è un piccolo autore di culto, grazie alle sue storie lancinanti, dove il segno pulitissimo contrasta con la violenza e la crudeltà del racconto. Divertente e azzeccato, come sempre, l’allestimento della mostra, dove i vari ambienti di un’ideale casa era ricreata sui muri e giocava con altri elementi, come un televisore incassato nella parete, uno specchio, una pistola per terra, un’ascia, una mazza da baseball, dei robottini e dei dinosauri.
Jason va letto: non vi lascerà allegri, questo no, ma scoprirete un autore che è riuscito a creare uno stile completamente personale, che mischia pupazzetti animalosi fintamente rassicuranti a racconti che sono pugnalate dritte al cuore.

Aisha Franz

Un’altra casa era disegnata sulle pareti della mostra di Aisha Franz (e un’altra casa ancora, o stanza almeno, c’era al festival: quella dipinta da Alessandro Baronciani durante la residenza artistica nell’hotel Al Cappello Rosso), questa volta nei colori acidi ma insieme pastellosi di coperte, gatti, gambe sensuali.
Aisha Franz è appena arrivata in Italia con il suo Alien per Canicola, una storia al femminile che si tinge di fantascientifico per aiutare la più piccola protagonista a rapportarsi con i cambiamenti delle relazioni e del corpo. Una storia dolce amara, dotata di una buona dose di leggerezza.
I disegni in mostra, provenienti da un buon numero delle storie di Aisha pubblicate su diverse riviste, come Orang, Kuti Kuti e Strapazin, testimoniano della buona dose di stortura che si può riscontrare nel reale e a me hanno più volte ricordato, guarda caso, il cinema contemporaneo di lingua tedesca, da Michael Haneke a Ulrich Seidl.

Cinema

Una delle cose che mi sono persa erano le serate alla Cineteca in cui gli autori (Giardino, Mattotti, Jason) raccontavano il loro pantheon cinematografico, i film che li avevano fortemente influenzati durante la lavorazione dei loro fumetti.
Ho però seguito un’altra delle serate organizzate da Sergio Fant, in cui venivano logisticamente abbinati quattro corti di Jung Yumi e il documentario Cartoon College, che avevano poco altro in comune tranne l’essere molto interessanti e completamente inediti in Italia.

Jung Yumi è un’artista sudcoreana che nel giro di pochi anni con i suoi corti di animazione si è fatta notare a Cannes e alla Berlinale. Attorno a lei c’è molta attenzione e i suoi corti spiegano perché: sono piccoli film lirici, muti, estremamente metaforici, che raccontano di un’esistenza costretta tra i diktat culturali e sociali e la depressione. Il tutto ha una certa lievità e, soprattutto, una sottile vena di speranza che corre sottorranea.

Il documentario Cartoon College, filmato in tre anni da Josh Melrod e Tara Wray, ci porta invece al Center for Cartoon Studies nella desolata periferia del Vermont. Qui ogni anno una ventina di promettenti fumettisti hanno l’occasione di lavorare con insegnanti del calibro di Art Spiegelman, Chris Ware, Charles Burns, Scott McCloud, Linda Barry. È un documentario che oscilla perennemente tra il divertito e l’ironico (seguendo giovani intraprendenti, a tratti spocchiosi, molto interessati, a modo loro, all’apparire), costellato da momenti di una tristezza epocale (come nel caso del vecchio archeologo che abbandona la professione per reinventarsi fumettista, per poi scoprire di non essere capace ma decidere di rimanere alla scuola per non sentirsi solo).
Una bella scoperta, che getta una luce su come si studia negli Stati Uniti. Pare di capire che presto verrà distribuito in forma gratuita su youtube.

Berliac

Molto legata al cinema, anche la mostra di Berliac al Ram Hotel. Berliac è un fumettista argentino (ma ha girato molto in Europa) che nel suo ultimo libro Playground racconta la vita di John Cassavetes durante gli anni di lavorazione di Ombre, il suo primo film.
Le tavole esposte mostano come lavora Berliac, sia da un punto di vista puramente gestuale sia da un punto di vista compositivo. Matita, penna biro, bianchetto e dito sono i suoi principali strumenti di lavoro, e ogni tavola è un tassello in più, fatta di immagine e molto testo, che si va ad aggiungere ad altre tavole che per associazione riportano poi la storia raccontata. Il fumetto come ricerca, appunto e studio, verrebbe da dire. Chissà se riusciremo mai a vedere le sue opere in Italia.

Allegra Corbo

Un’altra scoperta di questa edizione del festival. Un’artista che si muove tra teatro e illustrazione, che ha ideato per Bilbolbul un’installazione apposita, Il Tempio. Una casetta in una stanza completamente buia, dove ci si muove con una torcia. I fasci di luce illuminano disegni attaccati alle pareti, sorta di ex voto o schizzi liberatori di un’anima inquieta.
Un modo per farci spiare un’interiorità altra, farci riflettere sulla violenza e il dolore, il femminile e il materno, il sesso e l’amore, e poi farci vergognare di aver scomposto e ricomoposto i sentimenti di qualcun altro.
Credo che da ora in poi andrò in cerca dei lavori di questa artista, di cui fino a dieci giorni fa non sapevo niente ma che mi ha travolto con la sua potenza.

Michelangelo Setola

La personale di Setola era in uno studio di architettura di una bellezza imbarazzante. Tra un calorifero protetto da una grata alla vecchia maniera, modanature di legno e librerie piegate dal peso dei libri, i disegni di Michelangelo quasi si confondevano con il bianco delle pareti.
Tratti sottilissimi di matita, apparentemente incerti, ricoprono le tavole di Dormire nel fango (Canicola) e dei disegnoni, tavole in A3 o quasi che riportano tutta la forza immaginifica di Setola, tra cani con tre zampe, poliponi spiaggiati, boschi infestati e personaggi che oscillano tra il boscaiolo americano e il freak sovranazionale.

Lorenzo Mattotti

Di Mattotti non devo certo essere io a parlare, ma la sua mostra va senza dubbio visitata. Alla Pinacoteca, l’artista presentava il suo ultimo libro per Logos Edizioni, Oltremai, un viaggio onirico con una protagonista bambina che si muove tra boschi, caverne e mari, incontrando mostri, belve, personaggi ambigui.
Una storia senza parole da esplorare con lo sguardo, perdendosi da un dipinto all’altro e interrogandosi sull’inarrivabile maestria di Mattotti nel far emergere figure da tratti apparentemente scomposti, pattern di una gonnellina e di un cespuglio che magicamente prendono vita, distinguendosi l’uno dall’altra.

Mi fermo qui, anche se ci sarebbe molto altro di cui parlare, nel tourbillon di mostre e incontri che hanno portato a Bologna anche Ulli Lust, Sam Alden, Shermila Banerjee, le tavole di Beta di Genovese e Vanzella, Camille Jourdy, Tomi Um, Alice Milani e Michela Osimo, Henning Wagenbrath, Nicolò Pellizzon, Liliana Salone, quelli di Mamut e quelli di Tonto Comics e qualcuno sto dimenticando di sicuro.

Un’ubriacatura di fumetto e illustrazione, di quelle che fanno bene anche il giorno dopo.

Riferimenti:
BilBolbul, il sito ufficiale
Il blog di BilBOlbul 2013
Foto dal BilBOlbul 2013 da Flickr
La pagina Facebook di BilBObul

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