di Richard Cottrell
End The Lie
“Here we are, born to be kings “Eccoci qua, nati per essere re
We’re the princes of the universe.” Siamo i signori dell’universo.”
- Freddie Mercury
“Sorgere del sole”, è la parola giusta. Mai le prospettive di un unico ordine mondiale sono sembrate più rosee, o più a portata di mano.
Così, non può essere affatto una coincidenza che il Gruppo Bilderberg, e la sua conventicola sorella, la Commissione Trilaterale, stiano improvvisamente a crogiolarsi sulle sedie a sdraio sui prati della rispettabilità pubblica.
È mia sincera convinzione che stiamo assistendo ad azioni di “riscaldamento” idonee a preparare noi tutti ad un unico ordine mondiale, nel momento in cui l’orchestrato smantellamento dell’intera economia globale comincia a mordere e a lasciare i segni.
Subito dopo che il consorzio Bilderberg / Goldman Sachs / Unione Europea aveva promosso colpi di Stato in Italia e in Grecia nel mese di novembre, l’agenzia Reuters diffondeva un dispaccio, (Reuters wired a report ), in cui veniva comunicato che il gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale avevano assunto il controllo su tutta l’Europa.
L’agenzia faceva apparire i “gemelli terribili” degni di essere applauditi per aver raccolto il calice avvelenato della grande crisi del debito, che a quanto si dice sta erodendo l’euro.
Prima di proseguire, dobbiamo sottolineare che sul curriculum pubblico del direttore generale della Reuters, Peter Job, costui non è nuovo nel condividere il pane alla tavola dei dominatori dell’universo. [Nota editoriale: in effetti, questa condivisione è così notoria che un documento formato pdf ospitato sul sito ufficiale del Dipartimento della Difesa rivela che esattamente a pagina 7 sotto la voce “Regno Unito” Job si trova primo nella lista.]
Beh, si potrebbe dire, Job ha diritto di trascorrere il suo tempo libero come vuole. Vero.
Il problema è che l’indipendenza editoriale merita di divenire oggetto di discussione e di contestazione nel momento in cui una fonte primaria di notizie e informazioni ha giurato di mantenere il segreto su eventi in cui è coinvolta. Non siamo in presenza di informative non attribuibili, non ufficiali, da evitare assolutamente, anche se diffuse da un giornalismo sinceramente onesto.
Il contenuto degli incontri del Bilderberg è riservato, sebbene sia privo di senso per qualsiasi dei partecipanti negare che lo scopo degli incontri annuali, per lo meno, è quello di influenzare i governi e le autorità pubbliche di tutto il mondo ad agire in un certo modo.
Posso sembrare antiquato, ma il compito principale dei media è quello di proteggere e nutrire la democrazia, dispiegando i fatti davanti al popolo.
Allora, questa è la domanda grande come una casa: i media possono essere direttamente coinvolti nella formazione della politica, quando il loro compito nella vita è quello di riferire e commentare le cose pubbliche?
Naturalmente, i grande baroni dei media hanno sempre tirato i fili dietro le quinte.
Randolph Hearst, Lord Beaverbrook, ed ora il clan Murdoch, hanno sempre spietatamente manovrato le leve del potere, spesso con conseguenze sorprendenti.
Il fatto che i giornalisti al loro servizio siano diventati collaboratori e professionisti della menzogna (vedi il caso dell’attuale scandalo della pirateria informatica sulle comunicazione telefoniche da parte del gruppo Murdoch) alla fine può essere annoverato fra le debolezze umane, ma non è proprio una cosa giusta.
La cosa diventa diversa per quei media che si aggrumano intorno al Bilderberg, che in buona sostanza si stanno dando da fare per fornire un’immagine più nitida e pulita ad una organizzazione che con tutta evidenza non è proprio alla ricerca di soluzioni democratiche.
Questi di Wikipedia si muovono con uno stile assolutamente impassibile, suggerendo che queste credenziali, sicuramente ben meritate, si addicono al ruolo di Monti, primo dei governanti non eletti in Europa dal tempo dei colonnelli neofascisti greci di 35 anni fa (tenendo conto naturalmente di Loukas Papademos, che ora è il Gauleiter della Grecia).
E però, Monti ha ministri civili, come una foglia di fico per mascherare ciò che è nondimeno chiaramente una giunta, una volta che le si solleva… la gonna.
Consultate Wikipedia, e scoprirete che Monti è a tutto titolo sui libri paga del carosello delle grandi banche centrali – la Boston Federal Reserve, la finanziaria greca “Partenone” e vicepresidente della Banca centrale europea, dove ha ricoperto incarichi per otto anni sotto due presidenti.
Un onesto, sincero ed instancabile lavoratore, eh?!
Andando un po’ più in profondità all’interno di un’analoga entrata al governo, troveremo tranquillamente acquattato quel “Trilateralista” d’annata (dal 1998) che in realtà ha provocato la crisi del debito greco. Parliamo nientemeno che di Papademos, che stava a servizio presso la banca centrale come capo negoziatore per fare entrare a forza la Grecia nell’Eurozona nel 2000. Si è trattato della leggendaria truffa Goldman Sachs / JP Morgan nel falsificare i libri contabili, che si è riverberata poi come il cuore della crisi greca che stiamo osservando ora.
Come i deliri di uno zio pazzo celato in soffitta, non è stato possibile nascondere i sospetti sulle reali intenzioni del Bilderberg. Succede invariabilmente un disdicevole putiferio quando il “giovanotto” inizia ad urlare rabbiosamente da una finestra del piano superiore, proprio quando si hanno ospiti in giro per un rilassante barbecue domenicale pomeridiano.
Quindi, tutte le pomate lenitive cosparse sulle accuse di cospirazioni hanno al contrario in buona sostanza infiammato le congetture, soprattutto attraverso l’azione della rete Internet estesa al mondo, insieme a quella di nuovi professionisti di un giornalismo non impastoiato, privo di censure.
Nel corso degli anni, la risposta variava, dalle smentite di copertura che il gruppo Bilderberg esistesse in qualche forma organizzata, alle accuse contro quei pochi scomodi ficcanaso che criticavano a testa alta, che venivano denunciati come fossero fenomeni da circo patiti degli UFO, satanisti o pazzi diversamente assortiti, che sarebbe stato il caso di rinchiuderli in un manicomio per il loro interesse.
In un certo senso, questo era inevitabile, visto che la trama della vicenda Bilderberg, un complotto segreto da parte di un’élite di potere incestuosa che cospirava per conquistare il mondo, sembrava infatti assolutamente fantastica.
L’inizio dell’afflosciarsi dell’economia mondiale nel 2008 metteva in moto abbastanza improvvisamente una mutazione nella rappresentazione della cricca del Bilderberg.
Per anni, un drappello ristretto di appassionati e zelanti osservatori, i cosiddetti “Bilderwatchers”, si era reso in qualche modo insopportabile facendosi vivo alle riunioni annuali del gruppo Bilderberg, cercando di identificare gli arrivi illustri.
La documentazione di questi osservatori veniva trascurata, ed anche i mezzi di informazione più importanti non davano alcun peso all’annuale “carovana” Bilderberg, o dipingevano l’assemblea annuale come un innocuo ricevimento all’ora del tè di statisti e leader di imprese multinazionali, che non avevano niente di meglio da fare.
I pochi che hanno tentato di partecipare senza invito, o di intercettare abusivamente comunicazioni su quello che avveniva, sono stati malmenati dai vigilantes di polizia e della sicurezza, che sempre più hanno adottato le tattiche di intimidazione e di minaccia affinate in occasione dei vertici del G20. Accuse e querele di diversa natura sono sempre state scartate per ordine delle superiori autorità.
Poi è arrivato il “Momento famoso” di Obama, nel giugno del 2008.
Fino a quel anno, gli organizzatori e i partecipanti al gruppo Bilderberg potevano contare sugli schermi protettivi delle… folli teorie cospirative.
Per alcune ore, il 6 giugno, con gli applausi della convenzione ancora nelle orecchie, Obama segretamente si allontanava dalla campagna elettorale per partecipare a una riunione ristretta con componenti di rilievo del Bilderberg, a margine dell’incontro principale che si doveva tenere più tardi, tra il 5 e l’8 giugno a Chantilly, alla periferia di Washington.
Aveva al seguito la accigliatissima Hillary Clinton, anche lei una del Bilderberg.
Che cosa è successo dopo, è esploso su Internet, ma non sui media di informazione; e anche tra la comunità Internet sussisteva un senso di incredulità pieno di tensione in merito ai disegni sul dominio del mondo, che ora stavano vorticando attorno al probabile prossimo presidente degli Stati Uniti.
Qui siamo in presenza di un certo interessante tempismo. Curiosa la “coincidenza” di come ai magnati del Bilderberg fosse capitato “per caso” di incontrarsi negli Stati Uniti, e così comodamente vicino a Washington, proprio quando la Convention democratica concludeva i suoi lavori e sceglieva Obama – candidato preferito e a lungo prospettato dal Bilderberg.
Una linea piuttosto stupida è emersa da un membro del Bilderberg, che ha tentato di sdrammatizzare l’agitazione suscitata dal fatto che Obama potesse apparire il burattino a cui è stata consegnata la lista della spesa, per conto del gruppo Bilderberg, da far digerire al suo governo.
Egli, invece, si è sparato da solo sui piedi ammettendo che sarebbe stato difficile nominare una qualsiasi amministrazione degli Stati Uniti, che non fosse brulicante di membri del Bilderberg, e di altri personaggi appartenenti allo stesso ambiente, come il Consiglio per le Relazioni con l’Estero e la Commissione Trilaterale.
A partire da allora, è stato sempre più difficile stendere un velo di silenzio su Obama, il “presidente barboncino” del Bilderberg, soprattutto perché le principali nomine nella nuova amministrazione si rivelarono davvero Bilderberg dipendenti.
Ma c’era anche qualcosa d’altro.
Dopo Chantilly, per la Clinton sembrava che il ripieno fosse stato confezionato alla meglio senza la sua partecipazione. Ed era successo proprio così! Lei abbandonava la riunione segreta, tenutasi a casa di uno dei principali membri del Bilderberg, nella consapevolezza che era il tetro vecchio mulo Joe Biden ad essere candidato alla vice-presidenza, e non lei stessa, come Obama aveva fatto intendere.
A lei veniva promesso come compensazione quel letto di chiodi tormentoso chiamato Dipartimento di Stato. Bruciata da questa terribile umiliazione impartitale dal suo stesso clan, la Clinton non ha mai più recuperato il suo equilibrio e da allora ha dimostrato di essere palesemente a disagio.
Come numero due sulla lista dei candidati, e successivamente come vice-presidente in carica, i “Bilderberger” temevano che la Clinton, una figura decisamente reticente che poteva presentare alcuni problemi nell’assorbire documenti e informazioni, come a volte indicava un suo latente autismo, avrebbe facilmente eclissato Obama.
In ogni caso la vicenda ha dimostrato l’influenza del Bilderberg nel dettare loro il cammino.
Nel 2009, avveniva qualcosa di strano. Il Bilderberg veniva investito improvvisamente da nuove dinamiche. Branchi di giornalisti si avventavano sulla società segreta come mosche su un pasticcio di carne. I giornali cominciarono a riempire le colonne dei loro articoli con le sparate carpite ai principi dell’universo nelle loro berline eleganti, in arrivo all’ultimo elegantissimo hotel strettamente sorvegliato scelto per l’annuale “consiglio della tribù”.
Crescevano le dimensioni degli articoli e si allungavano i minuti di trasmissione. Il Bilderberg era entrato nel dominio della popolarità, e lì vi rimaneva saldamente. La domanda è: perché?
Naturalmente, la demolizione controllata della Clinton, l’ascesa a razzo di un candidato nero con un passato islamico che concorreva per la Casa Bianca, inoltre completamente sconosciuto solo pochi mesi prima, tutto ciò aveva molto a che fare con questo.
Si accendevano le discussioni. Il Bilderberg poteva fare e disfare i presidenti degli Stati Uniti.
In termini di “disfare”, un precedente prescelto dal Bilderberg, Jimmy Carter, era stato messo da parte senza tanti complimenti, e sostituito con Ronald Reagan, non essendo riuscito ad essere all’altezza dopo i suoi primi quattro anni di mandato.
Margaret Thatcher era un’altra totale sconosciuta, fino a quando lei presenziò alla riunione del Bilderberg tenutasi in Turchia nel 1975. Da allora la sua ascesa al potere fu fulminea.
Tony Blair veniva destinato senza riserve a sorridere alla fama e alla fortuna, fino al suo ingresso a Downing Street, dopo aver dimostrato le sue abilità forensi… con le posate e un cocktail di gamberetti al conclave del 1993 tenutosi ad Atene.
Poi, nell’anno successivo, nel mese di maggio del 1994, il caso voleva che il non-Bilderberg leader laburista John Smith inaspettatamente, ma molto opportunamente, cadesse stroncato (da un attacco di cuore), su una montagna scozzese.
Blair, un ex agitatore sinistroide anti-Unione Europea e suonatore in un gruppo rock (gli Ugly Rumours), veniva eletto per prendere il suo posto, solo otto settimane dopo. I media britannici debitamente trasformavano un avvocato “gauche” (gioco di parole: gauche come di sinistra, ma anche gauche come maldestro) con strani occhi sbarrati (“staring”, gioco di parole con riferimento al successivo termine “star”) in una star rock (una roccia!) politica.
Il “Momento Obama” permetteva che analisi prospettiche sul gruppo Bilderberg filtrassero nel sistema di comunicazioni di massa. Chi erano queste persone ricche e potenti in maniera sbalorditiva, che potevano con uno schiocco delle dita far saltare il mondo?
Apparentemente, erano solo gentili patrizi, che sentivano il bisogno di incontrarsi e discutere sulle gravi questioni del momento, senza arrecare danno o con cattive intenzioni.
Questa è esattamente la linea spacciata da John Micklethwaite, partecipante al gruppo Bilderberg e redattore capo della rivista globalista da parrocchia, “The Economist”, in un suo rasserenante editoriale scritto nel gennaio di quest’anno.
In un’intervista artificiosa con il rassicurante, pipa in bocca, conte Etienne Davignon, un plutocrate belga stupendamente ricco, padrino dell’Unione Europea e principe ereditario del Bilderberg, appariva la storia familiare di un gruppo in cui si esprimevano le proprie emozioni in modo aperto, in cui persone importanti del mondo potevano parlare apertamente, “senza preoccuparsi che le loro parole potessero risuonare nei titoli di testa dei giornali dell’indomani”.
Come quelli che appaiono sui dispacci della Reuters, per caso? Nessun problema, come amano dire in Australia, quando si richiede anche un servizio modesto.
Come abbiamo fatto notare in precedenza, Peter Job, l’amministratore delegato di Reuters, è un “ospite” molto rispettato, e lui non è affatto l’unico tra il bel mondo di scribacchini e padroni di scribacchini.
Dopo tutto, non si tratta solo di semplice e ovvio buon senso giustificato dalla professione di “pubbliche relazioni” che, se si desidera controllare il messaggio, la tecnica migliore è sempre quella di invitare il nemico a cena all’interno della propria tenda?
L’elenco dei proprietari di giornali, di capo-redattori ed editorialisti che hanno partecipato ai vertici mondiali nel corso degli anni comprende, oltre a quelli di “The Economist”, del “Washington Post”, “US News and World Report”, “The Observer “(edizione sorella di stanza a Londra di “The Guardian”) , il canadese Conrad Black magnate della stampa (prima di ritirarsi in un…penitenziario), di “New York Times”, “CBS”, “ABC”, “BBC”, Rupert Murdoch, “Wall Street Journal”, “Financial Times”, “Die Zeit”, del “London Times”, “Le Figaro”, e così in avanti.
La festa di quest’anno a St Moritz è stata caratterizzata dalla presenza di invitati appartenenti a gruppi di media dell’Austria, Paesi Bassi e Finlandia.
Interessante notare che “The Economist” manda spesso due caposervizi con le funzioni di relatori, vale a dire il direttore e il coordinatore della sezione politica del giornale.
Così scopriamo che il sistema delle corporation dell’informazione non è altro che una vasta camera di risonanza, che riecheggia le conclusioni e le decisioni di un comitato élitario auto-referenziale di interessi incestuosi. Secondo la famosa frase di Marshall McLuhan, ecco la prova evidente che “il medium è il messaggio”.
Charlie Skelton, editorialista del “Guardian” di Londra, è uno degli scomunicati che non è degno di un invito formale. Egli è il “teppistello”, sempre in disaccordo, confinato ai margini. È sicuramente il tipo che non ci mette un attimo a lanciare mezzo mattone contro la finestra del preside. Ecco un esempio.
“Sono così incredibilmente indignato di un potere che viene piegato al volere di pochi. Ho avuto davanti agli occhi questo potere per tre giorni, e mi viene la mosca al naso. Non mi importa se il gruppo Bilderberg ha in programma di salvare il mondo o di ficcarlo in un frullatore e berne il succo, non credo che la politica dovrebbe essere condotta in questo modo.”
Buono a sapersi, se non che il Bilderberg non si interessa di un’attività mondana e in gran parte priva di senso chiamata politica, e non lo ha mai fatto.
Mario Monti, un grande gladiatore Bilderberg, che è ora il signore non eletto dell’ Italia, ha sempre dichiarato la sua posizione fermamente contraria alle politiche di partito.
Allo stesso modo, Charlie Skelton scansa la scomoda verità che il gruppo del giornale che compra i suoi lavori è stato ben rappresentato al Bilderberg, nel passato.
Inoltre, tutti sono ben informati su cosa significava Fleet Street (una strada di Londra, sede dei maggiori quotidiani inglesi fino agli anni ’80, e l’agenzia Reuters è stata l’ultima testata del giornalismo britannico a lasciare questa località nel 2005), e sono consapevoli degli stretti rapporti praticamente senza interruzioni che esistono tra il “Guardian” e i servizi segreti britannici (e che in realtà coinvolgono altri organi vitali dei media britannici, tra cui il gruppo di Murdoch e la BBC).
Allora, perché il nostro Charlie ha fornito una così pesante “nota spese”, tale da indurre il lancio di oggetti contundenti al passaggio dei Bilderbergers? È davvero molto semplice.
Il suo principale lavoro quotidiano è quello di scrivere testi umoristici. Viaggiando da una sontuosa località ad un’altra all’inseguimento della carovana del Bilderberg, consapevolmente o meno, il suo ruolo è quello del buffone di corte che trasforma le cose mortalmente serie in risate fragorose.
Tuttavia, dopo il raduno presso la deliziosa stazione balneare catalana di Sitges nel 2009, il suo reportage includeva questa frase più che interessante:
“Sarebbe più piacevole se l’interfaccia tra il Bilderberg e il mondo potesse essere più morbida – se potesse mostrarsi a noi a viso aperto, piuttosto che come la canna di una mitragliatrice.”
Per me questo racchiude l’inconfondibile sapore di un commento per condizionare una favorevole opinione. Dico questo, perché sono sicuro che dietro il tenore di una corrispondenza più misurata sul Bilderberg si nasconda un enorme cambiamento di politica di marketing.
Vale a dire, abbiamo avuto a che fare con l’arroganza – perfino con l’insolenza – di élite orgogliosamente distaccate, e diamo il benvenuto sulla scena ai loro manager e pensatori, responsabili e fedeli, al posto di politici purtroppo ossessionati dalle bustarelle della corruzione.
Questo è esattamente ciò che l’elegante Mario Monti sta predicando agli Italiani in questo momento:
“Sia che lo vogliate o no un governo mondiale, noi siamo quello, e voi dovrete sottomettervi a noi! Ma noi desideriamo il vostro amore, anche quando noi stiamo forgiano le catene con cui vincoleremo per sempre queste vostre vecchie ridondanti libertà.”
Splendido il Nuovo Mondo? Sì, Aldous Huxley usava quasi esattamente questi termini:
“ ‘E questo’, sentenziava il Direttore, ‘questo è il segreto della felicità e della virtù – col preferire solo quello che si è destinati a fare. Tutti i condizionamenti mirano a questo: rendere le persone simili al loro destino sociale ineluttabile.’”
Il Monte (“-berg in tedesco significa “monte”) Bilderberg estende ora la sua ombra scura sulle strutture di tutta l’Unione Europea e di tre suoi Stati membri: Grecia, Spagna e Italia.
Questi tre paesi possono ora essere a ragione considerati colonie Bilderberg.
I “Bilderbergers” sono i controllori della Germania, Regno Unito, Francia, Polonia, Ungheria, Danimarca, Paesi Bassi e tra gli Stati non-membri, la Svizzera.
La “montagna” imponente ha controllato Washington per anni, in alleanza con la Commissione Trilaterale e il Consiglio per le Relazioni con l’Estero (per di più, bisogna ricordare un importante precursore, l’American Enterprise Institute).
All’interno della “montagna” troviamo Wall Street, la City of London, e la Banca Centrale Europea. Troviamo il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Banca dei regolamenti internazionali, l’UNESCO, l’ONU e la NATO.
Tutti insieme, le loro condizioni spianano la strada alla paternità della globalizzazione totale.
L’articolo della Reuters in novembre è stato puntuale e significativo in quanto ha rivelato il grado di conoscenza che il sistema dei media delle corporation possiede in merito al progetto Bilderberg, e con molta cortesia ha soprasseduto sull’intera metà del secolo scorso.
Ma niente riesce meglio di un successo.
Turbolenta, ingovernabile, ed emozionante, l’Italia è ora sotto il controllo del reggente Bilderberg, Mario Monti.
Se vi sembra che io faccia menzione di questo signore ad ogni respiro, io non mi scuso per nulla, in quanto vi avverto, Monti è un modello di comportamento importante per il futuro.
Monti appare ora come un faro di calma e di serenità in mezzo alle invariabili turbolenze del clima politico italiano. Non sembra un presidente provvisorio. Sembra uno ben sicuro di se stesso. Ecco, un Bilderberger dal volto umano, il tecno-dittatore promesso con le stesse caratteristiche altrove, ad altri paesi europei.
L’audacia mozzafiato con cui i globalisti hanno rovesciato il governo italiano legittimamente eletto, sull’onda di un allarme completamente fasullo rispetto al debito pubblico italiano, rappresenta la dimostrazione straordinaria del potere che attualmente hanno accumulato.
Monti si è permesso perfino di pronunciare una frase da far rimanere a bocca aperta, che il suo era “un governo forte, senza conflitti di interesse.”
Allora, niente Bilderberg, niente Commissione Trilaterale, niente Goldman Sachs?
Forse non vi è la presenza nel consiglio dei ministri di un direttore di una banca italiana in grande sofferenza, quotidianamente in attesa di un salvataggio finanziario da Francoforte?
Nemmeno di un ammiraglio responsabile del ministero della difesa, i militari responsabili delle forze armate per la prima volta dal tempo di Mussolini?
O forse non è arrivata la conferma da parte del nuovo governo dell’acquisto di 131 bombardieri della Lockheed Martin, i Joint Strike Fighters (JSF), al costo di 13 miliardi di euro, quando il paese dovrebbe essere in bancarotta?
Fino ad ora gli Italiani gradiscono quello a cui stanno assistendo, anche se il tempo ci dirà qualcosa a questo riguardo. Per ora, sono in uno stato di shock, per come in realtà sia stato possibile liberarsi del principe delle furberie Silvio Berlusconi.
Come nostra guida ad un probabile futuro, può essere illuminante tornare a qualche parola pronunciata in materia di oligarchie da Friedrich August Hayek, economista e filosofo sociale e autore di La via alla schiavitù:
“La probabilità di trovare persone al potere come individui che dovrebbero provare avversione per il possesso e per l’esercizio del potere è al pari livello con la probabilità che una persona estremamente tenera di cuore potrebbe impiegarsi come maestro fustigatore in una piantagione di schiavi.”
TLAXCALA
http://endthelie.com/2011/12/02/bilderberg-leaves-rehab-cleared-to-rule-the-world/#axzz1gag4IVcG