Biomasse, Biogas e Digestori – parte 1

Creato il 01 aprile 2013 da Davide

In questi giorni, tra le tante polemiche/lotte che sorgono in Italia sta prendendo piede quella contro le centrali a biomasse (ad esempio a Lendinara, RO). Scorrendo la cronaca si può notare che, nelle informazioni fornite, esiste una grande confusione sulle “centrali a biomasse” e su cosa esse siano. Da una escussione delle informazioni il grosso pubblico chiama impianti a biomasse quegli impianti che ottengono energia bruciando le biomasse, il tutto presentato in maniera indifferenziata, ma è ovvio che esiste una grande differenza su cosa si brucia in realtà (basta pensare semplicemente alla differenza di combusti che si ottiene dalla combustione di una benzina o di un gasolio). Quanta energia si ottenga dalle biomasse non è un problema da poco, visto che, anche in ambienti eco, sempre più si ergono voci sia contro le pale eoliche (a causa della brutalizzazione del paesaggio e per i palati più raffinati per l’utilizzo massiccio di REE: cfr Terre Rare e Profitti Abbondanti su questo blog), sia, più sommesse, quelle contro il fotovoltaico a causa degli enormi costi umani della estrazione del coltan (bloody phones) e le preoccupazioni per la salute qualora i pannelli si dovessero rompere (i pannelli solari vanno trattati come rifiuti tossici speciali).
La produzione di energia prodotta da impianti definiti B.Rb.B.B. (Biomasse, Rifiuti solidi urbani biodegradabili, Biogas e Bioliquidi) ha registrato un aumento medio annuo del 7,3% nel periodo 2004/2008, e del 9,7% nel 2008 rispetto l’anno precedente.
Nello specifico la produzione proveniente da rifiuti solidi biodegradabili e biomasse solide è stata di 4,3 TWh, per il biogas di 1,6 TWh e per i bioliquidi di soli 64,6 Gwh perché il 50% degli impianti presi in considerazione è entrato in esercizio a partire dal secondo semestre del 2008. In sintesi, la produzione da solidi è incrementata dal 2004 al 2008 secondo un tasso medio annuo pari al 6,6% e quella da biogas dell’8,1%. In Italia settentrionale si registrano le più alte quote di produzione realizzata grazie al contributo della Lombardia e dell’Emilia Romagna, rispettivamente con il 22,9% ed il 14,9%. Il Lazio, in Italia centrale, mostra rispetto alle regioni confinanti il valore più elevato di produzione, pari al 4,6%. Nel Sud, emergono regioni quali la Puglia e la Calabria che si distinguono con quote di produzione rispettivamente del 13,4% e del 13,2%. Fanalino di coda sono le isole; la Sardegna si attesta sul 3,0%, mentre la Sicilia presenta un valore pari all’1,3% (http://www.tuttogreen.it/biomasse-in-italia-stato-attuale-e-prospettive/).
Questo può dare un ordine di grandezza sul “problema delle biomasse”.

In questo articolo noi vogliamo parlare di un particolare tipo di impianto a biomasse e di un particolare tipo di prodotto, il biogas, che generalmente è ignorato nella discussione sugli impianti a biomasse.
Per iniziare la discussione vediamo cosa è una biomassa.
Si intende per biomassa “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani” (Direttiva 2009/28/CE) (http://it.wikipedia.org/wiki/Biomassa).
L’utilizzo della biomassa (legna) come fonte di energia risale ovviamente alla “scoperta del fuoco”, ma anche l’utilizzo della degradazione anaerobica della biomassa è estremamente antico. La produzione di alcol tramite fermentazione alcolica della biomassa risale ad alcuni millenni prima della presente era; è indicativo che prima della convenzione scientifica della nomenclatura dei composti chimici il metanolo fosse anche volgarmente chiamato “spirito di legno” e l’etanolo “spirito di vino”.
L’uso del metano per riscaldare l’acqua è tracciato, tramite evidenza anedottica, fin nella Assiria del X secolo a.C e nuovamente nella Persia nel XVI secolo d.C.. In Europa si cominciò a interessarsi delle connessioni tra biomassa e metano nel XVII secolo con Robert Boyle che notò come un gas infiammabile venisse rilasciato se si “agitava” il sedimento di laghi, paludi e rigagnoli. Nel 1776 Alessandro Volta, su segnalazione di Carlo Giuseppe Campi, notò che in un’ansa stagnante del Lambro, si accendevano fiammelle azzurrine se si avvicinava una candela alla superficie dell’acqua. Successivamente Volta scoprì lo stesso fenomeno nella palude dell’Isolino di Partegora, e prese alcuni campioni di gas che chiamò “aria infiammabile di palude” che in seguito divenne “gas di palude”. A differenza di Lavoisier, Franklin e Priestley (“scopritore” dell’Ossigeno, dell’ammoniaca, dell’acido cloridrico, dell’ossido di azoto e dell’anidride solforosa), che ritenevano il gas di origine minerale, Volta lo collegò a fenomeni organici tanto che nel 1780 si recò a Pietralata per studiare il fenomeno dei fuochi fatui che pensava potessero essere relazionati al gas di palude.
Nel 1805 Thomas Henry determinò la corretta composizione del gas metano: CH4. Nel 1808 sir Humphry Davy (che inventò la lampada Davy, la lampada di sicurezza per minatori contro le esplosioni di gas metano, o grisou, nelle miniere di carbone) scoprì che il metano era presente anche nel letame del bestiame (Anaerobic Digestion, http://www.eac-quality.net/fileadmin/eac_quality/user_documents/3_pdf/Anaerobic_digestion-02.pdf).

La produzione di metano da fermentazione anaerobica di biomassa è molto antica ed è stata praticata in India fin al 3° millennio a.C.. In India nel 2500 a. C. la città di Lothal (cultura Harappa) presentava una rete fognaria complessa con presenza di servizi igienici con acqua corrente casa per casa.

Strutture fognarie a Lothal, cultura Harappa, Valle dell'Indo.

Ogni abitazione possedeva un sump, o camera di raccolta dei rifiuti solidi, che serviva a prevenire l’intasamento della rete fognaria. Scoli, tombini e pozzi neri mantenevano la città pulita e convogliavano i rifiuti nel fiume che sgorgava nel Mar Arabico. Come per la vicina Mesopotamia, con cui la civiltà Harappa aveva legami commerciali, l’uso del metano (gas di palude) come combustibile aveva notevoli vantaggi rispetto all’uso della legna, in quanto il metano si accende molto più facilmente. Considerando l’uso millenario del letame come copertura delle pareti e dei tetti delle capanne (tanto che si possono distinguere le varie etnie dai “segni” delle mani impressi sul letame seccato), come concime (sul letame messo a essiccare sui tetti di paglia vengono fatte crescere zucche e altri vegetali, il che contribuisce a tenere saldo il tetto in caso di tempesta) e come materiale combustibile, alcuni propongono che il digestore anaerobico con produzione di biogas(costituito da metano, circa 60%, e anidride carbonica, circa 40%) e digestato (residuo solido) fosse presente in India fin dall’antichità.

Donna che prepara "patties", focacce di escrementi bovini da mettere ad essiccare, India.

Lasciando queste suggestioni all’archeologia è certo invece che il primo digestore anaerobico “moderno” venne costruito nel lebbrosario di Bombay, India, nel 1859. Non c’è da stupirsi sull’ubicazione, infatti il processo di produzione di biogas, chiamato digestione anaerobica, è particolarmente aggressivo contro patogeni e parassiti ed è stato storicamente utilizzato nel trattamento delle acque reflue come una naturale e poco costosa alternativa al trattamento chimico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno si presentino 80 milioni di casi di dissenteria (Shigella flexneri), di cui 700.000 con esito fatale. Un digestore semplice, a basso o nullo costo, uccide (anaerobicamente) i batteri della dissenteria in 30 ore. (Warren Weisman, Owner, HESTIA Home Biogas RenewableEnergyWorld.com).
Ispirandosi all’esempio indù nel 1904 la città di Exeter, in Inghilterra, pensò di utilizzare il biogas creato dalle fosse settiche per ottenere il gas da illuminazione per i lampioni stradali. Il tipo di lampione fu chiamato Sewer gas destructor lamp (Lampada distruttrice del gas di fogna) ed era molto più economico del tipo a “gas di città” (Town gas, una miscela costituita dal 50% di idrogeno, il 35% da metano, il 10% da monossido di carbonio e il 5% da etilene che si otteneva per distillazione del litantrace nella produzione di carbone coke).
Sempre in Inghilterra nel 1904 ad Hampton fu installato il primo digestore a due fasi per la sedimentazione e il trattamento dei fanghi. Nel 1907 in Germania venne brevettata la vasca Imhoff, una prima forma di digestore. I calcoli e le teorie di Imhoff sono tuttora la base della progettistica dei digestori di biomasse.

Vasca o digestore Imhoff.

Il digestore di Imhoff rappresenta il primo esempio di trattamento sistematico e scientifico dei rifiuti solidi urbani tramite un digestore anaerobico il cui modello era in tutto simile ai primitivi modelli indiani detti “gobar” (dal nepalese gobar = escremento bovino). Il digestore di Imhoff era di fatto una vasca settica a due piani che permetteva contemporaneamente la sedimentazione e la digestione dei fanghi. I digestori Imhoff resero possibile la realizzazione di grossi impianti che permettessero il trattamento dei rifiuti urbani, energeticamente autonomi in quanto il metano prodotto era utilizzato all’interno del processo per operazioni di pompaggio e aerazione.
Durante la II Guerra mondiale, nelle migliori tradizioni dell’ecologia nazista (cfr: “Ecologia fascista” su questo blog), furono costruiti in Germania circa 30 impianti di biogas in grado di trattare gli effluenti della dimensione di quelli prodotti da una fattoria utilizzando i metodi Schmidt-Eggersglüss e Darmstadt (http://extension.psu.edu/energy/waste-to-energy/biogas/links/history-of-anaerobic-digestion/earlier-anaerobic-digesters-for-biogas-production).
La facilità e l’abbondanza dei combustibili fossili negli anni del secondo dopoguerra (e le connessioni dell’agricoltura biologica col nazismo) fecero cadere in disuso gli impianti di biomasse intese come digestione anaerobica dei liquami.

Nel 1960 l’India si trovò ad affrontare una gravissima crisi. L’aumento della popolazione aveva praticamente azzerato le aree a foresta e l’estrema povertà rendeva irraggiungibile l’utilizzo dei combustibili fossili. D’altra parte quella stessa povertà era talmente profonda che strangolava sul nascere uno sviluppo economico proprio e l’assistenzialismo degli organismi internazionali spingeva ulteriormente in basso la società indiana.
Come in tutti i paesi poveri l’unica cosa che abbondava erano le immondizie. E’ infatti evidente che l’ecologia e l’ambientalismo sono cose per ricchi, per società affluenti e ben pasciute, le società povere sono anche “sporche” e poco ambientaliste. L’India negli anni Sessanta era nei gradini più bassi della scala ricchezza – povertà. Ricordo ancora personalmente le navi cariche di grano che lasciavano il porto di Venezia durante la grande carestia indù del 1959 (contemporanea alla carestia dei Tre Anni Amari della Cina di Mao Zedong).

Una donna si rilassa dopo la pula del frumento. La casa è fatta quasi interamente di escrementi di mucca. I muri, dipinti di bianco, sono in escrementi di mucca. Il tetto è fatto di focacce di escrementi di mucca, modellati e compressi.

Nel 1961 fu creata la Gobar Gas Research Station a Ajitmal, con a capo il dottor Ram Bux Singh. L’India, a differenza del resto del mondo, aveva continuato a utilizzare piccoli digestori di biomasse che sfruttavano la stessa tecnologia di 3000 anni prima, ma a differenza di 3000 anni prima, le invasioni Moghul, la colonizzazione inglese con l’imposizione della desertificante coltivazione del cotone, avevano praticamente eliminato le foreste, causando indirettamente una grave carenza di combustibile, soprattutto nelle regioni rurali. Questo comportò che quasi tutto il letame bovino, miliardi di tonnellate annue (l’India è il paese col il maggior numero di capi di bestiame al mondo, considerando che si stima per difetto un rapporto di due bovini per abitante), veniva (e viene) utilizzato, previo essiccamento al sole, come combustibile.

Bastoni di legna da ardere coperti di escrementi modellati perchè brucino più lentamente nel focolare. Bangladesh.

Questo fatto da un lato crea problemi igienici spaventosi (dalla tubercolosi al fumo acido che si sprigiona durante la combustione nei focolari domestici, responsabile di gravissime malattie agli occhi), dall’altro priva il suolo dei sali organici che potrebbero fertilizzarlo soprattutto in presenza di coltivazioni che saharizzano il terreno come il cotone.

Fuoco fatto con focacce di escrementi secchi di bovino

Contemporaneamente alla crisi del legname l’India vide negli anni Cinquanta e Sessanta (malgrado le carestie) una impressionante esplosione demografica. Questa esplosione comportava con sé un ulteriore costo: l’abbondanza spropositata dei liquami di origine umana.
Nel 1995 il dr. Bindeswar Pathak scriveva nella presentazione del Sulabh International Museum of Toilets , New Delhi, “Nel mio paese, l’India, non si può ignorare il soggetto del gabinetto quando la società deve far fronte ad escrezioni umane dell’ordine dei 900 milioni di litri di urina e 135 milioni di kilogrammi di feci al giorno in presenza di un sistema di raccolta e smaltimento del tutto inadeguato. La società così è sotto la costante minaccia di pericoli per la salute e di epidemie. Almeno 600 milioni di persone su 900 milioni defeca a cielo aperto. Il servizio fognario è accessibile a non più del 30% della popolazione delle aree urbane e solo il 3% della popolazione rurale ha accesso a latrine a scarico d’acqua corrente.” (Dr. Bindeswar Pathak, Ph.D., D.Litt. Founder, Sulabh Movement, http://www.sulabhtoiletmuseum.org/pg02.htm).
Il digestore anaerobico (AD) di biomasse di tipo Gobar diede una risposta di cui tuttora poco si parla a questi due problemi. Ma come funziona un digestore anaerobico di biomasse?

Casa con appogiati bastoni di legna da ardere ricoperti di sterco in Bangladesh.

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