Renzi, a sorpresa [iron.] ha stravinto le primarie del Pd. Ha preso, secondo i miei calcoli perché non riesco a trovare i numeri precisi da nessuna parte (è tutto un “oltre”, “quasi”, “circa”…), un milione e quattrocento mila voti. Quindi sarà il segretario del partito più importante, sembra strano ma è così, del paese, e quindi imporrà la sua linea a quel partito. È molto probabile che vincerà le prossime elezioni, anche perché contribuirà a scegliere la legge elettorale. Quando sarà premier, governerà tutto il paese. Quindi neanche un milione e mezzo di italiani hanno deciso per gli altri sessanta. La bella democrazia all’americana.
Renzi non mi piace per un’infinità di motivi, ma tanti di questi motivi diventano quasi secondari quando penso alla società alternativa che si può costruire, che siamo cercando di costruire dal basso. C’è una cosa però sulla quale non ho potere: la legge elettorale. Le regole non sono solo formalità: sono fondamentali. Le regole delle elezioni determinano chi ci governa e come; a meno che non ci sia la rivoluzione, la legge elettorale che passerà determinerà il futuro del paese.
Renzi ce l’ha a morte con il proporzionale; il bipolarismo è la sua ossessione. Ieri però sono stata testimone di una cosa ancora più terrificante. A Otto e mezzo, su La7, c’era una delle componenti della sua nuova squadra, giovane e donna. Che palle con questa storia dei giovani e delle donne: anche Maria Antonietta era una giovane donna. Per me l’età anagrafica e il sesso sono importanti solo a livello aggregato, come percentuale sul totale dei detenenti potere, ma quando si tratta di singoli e gruppi piccoli li trovo elementi irrilevanti. Honsell ha una giunta giovanissima e femminile, e credo la più incompetente che Udine abbia mai visto.
Comunque, questa giovane donna renziana diceva che bisogna fare la legge elettorale con in mente il bipolarismo, perché adesso l’Italia è tripartita quindi ingovernabile. Cioè quello che stava dicendo è che siccome non sono capaci di trovare un accordo con una grossa fetta di rappresentanza, il Movimento 5 Stelle, e con l’altra si vergognano di governare, devono fare una legge che escluda i rappresentanti di un terzo del paese. A me sono venuti i peli dritti.
È talmente elementare che mi sembra assurdo doverlo perfino scrivere, ma è ora di metterci in testa che il bipolarismo non solo non è “adatto all’Italia” e alla sua pluralità, ma non è proprio democratico. La scelta politica non può essere tra due sole alternative. Ci sono persone che non potranno mai votare destra o sinistra, perché troppo lontana dalla loro visione del mondo, e quindi si troveranno con una scelta sola: o voti me o ti astieni e vince quell’altro. Per chi ha convinzioni profonde, il bipolarismo è spesso come scegliere a quale albero impiccarsi. Gli unici che potranno scegliere saranno quelli che si collocano nel mezzo, i cosiddetti moderati (cioè quelli che la società in quel momento considera moderati). Questi potrebbero passare da centro destra a centro sinistra senza troppi problemi, e quindi gli schieramenti si contenderanno loro cercando di avvicinarli. Tutti gli altri non se li filerà nessuno.
C’è la possibilità che, a fronte di un aumento dell’astensione, un partito si sposti non al centro ma ai cosiddetti estremi per convincere i non votanti a votare. Negli Stati Uniti si è passati da un estremista di destra (Bush) a un presidente abbastanza di sinistra (Obama). Il problema, però, come dimostrato dal caso appena citato, è che è più facile governare con un estremismo di destra che con uno di sinistra, perché la destra è sostenuta dai potentati economici e la sinistra no. I potentati economici controllano i mezzi di informazione e buona parte dell’opinione pubblica, contribuendo quindi a spingerla dalla propria parte. Ormai anche il centro sinistra, in Italia ma non solo, sottosta a questi potentati (vedere Tav e grandi opere varie). E dopo le notizie di solidarietà di alcuni membri della polizia ai manifestanti di questi giorni, che numerosi elementi (le notizie che avevo letto sui forconi, le bandiere italiane, la lontananza dai movimenti, la confusione delle rivendicazioni) mi fanno supporre più vicini alla destra che alla sinistra, mi sto facendo delle domande ulteriori anche sul grosso delle nostre forze dell’ordine. In realtà la risposta è abbastanza evidente, ma questo togliersi i caschi per solidarietà mi ha preoccupato ulteriormente.
E comunque, in un paese come il nostro in cui la sinistra vera è sempre stata una minoranza, che va oltretutto progressivamente allontanandosi dalle istituzioni e dal voto, è evidente che nessuno la corteggerà per vincere le elezioni. Civati ci ha provato e non ci è riuscito. Quindi chi risponde che in un sistema bipolare i dissidenti possono farsi sentire all’interno del partito non ha capito che gli italiani tendono al moderatismo, che gli apparati sono sempre quelli e che una volta che una corrente ha perso il vincitore si prende tutto e gli altri contano poco e niente. Tanto più che lo stesso Civati ha mostrato di credere nella disciplina di partito, non votando la sfiducia alla Cancellieri proprio perché non è riuscito a convincere l’intero Pd a farlo. La disciplina di partito non esiste in tutte le democrazie: c’è in Canada, che ha un sistema diverso dal nostro dove si governa anche con una minoranza in parlamento, e non c’è negli Stati Uniti, con un sistema di fatto bipolare. Non conosco caso per caso tutte le democrazie del mondo, ma mi pare che un sistema bipolare con disciplina di partito sia quasi una dittatura.
Ah sì: ci sarebbero gli altri partiti della coalizione. Hahahaha
Quindi per farsi sentire bisogna stare fuori, non dentro, al partito più grosso, e avere un buon numero di seggi propri. L’unica possibilità perché i diversi interessi, i diversi punti di vista di un paese siano rappresentati in parlamento è un proporzionale con soglia di sbarramento bassa o nulla. C’è chi dice: così ti esponi al ricatto dei partitini. E chi se ne frega! Quei partitini rappresentano comunque una parte del paese. Vogliamo la democrazia con tutte le sue difficoltà, oppure vogliamo governi stabili? In quest’ultimo caso, tanto vale una dittatura. E poi, aggiungo io, se un governo si trova ricattato da partiti davvero minuscoli evidentemente è stato costruito male. Non è detto che un governo debba avere maggioranze risicatissime. Se invece chi lo “ricatta” rappresenta milioni di elettori, forse bisognerebbe starlo a sentire.
In Germania fanno così: proporzionale, e poi trovano un accordo tra i partiti sulla base di punti comuni e rinunce reciproche. Guarda caso, è la stessa cosa che hanno fatto in Italia il Pd e il Pdl. E infatti a me andrebbe bene se non fosse per un motivo: che entrambi hanno fatto campagna esistenziale uno contro l’altro, che Berlusconi ha agitato la minaccia dei comunisti per tutta la sua carriera politica, e che tantissima gente ha votato il Pd accusando chi non lo faceva di “consegnare l’Italia a Berlusconi”. E alla fine l’Italia l’ha consegnata a Berlusconi proprio il Pd, coi voti che aveva preso da elettori che volevano solo che questo non succedesse. Così non vale. E guarda caso è quello che la gente dice adesso di Renzi: piaccia o no lo dovrete votare, perché con lui “si vince”. Cioè: non vince Berlusconi. Voglio vedere se ci faranno fessi un’altra volta (sì).
E poi anche questa storia che con Renzi “si vince”, quindi va bene: basta! Cos’è, un cavallo da corsa? Chi l’ha stabilito che è uno che vince a priori? E poi vincere perché? Per cosa? Per fare politiche simili a quelle di chi ha perso?
Comunque, non mi dilungo. Volevo solo insistere su questo punto: il bipolarismo è antidemocratico. Non corrisponderebbe alla volontà del paese, che attualmente è diviso in tre, anzi in quattro contando la parte che si è affidata a partiti minori e in cinque se contiamo anche chi non vota, e non sono solo anarchici che non voterebbero comunque.
Il bipolarismo è un’alternanza tra oligarchie. La stessa idea di alternanza mi ricorda più un balletto che un’evoluzione. Io non voglio che due potentati simili facciano a turno a governare. Io voglio l’autogoverno, quindi la vera rappresentanza, quindi come minimo un proporzionale puro.