Con la fine della prima Repubblica, sembrava che si fossero create le condizioni ottimali per un bipolarismo perfetto. Ma i due poli nascevano malati: da una parte, la compattezza attorno ad interessi di parte sintetizzati da una figura di grande consenso, ma con enormi conflitti d’interesse e un passato con molte zone d’ombra; dall’altra, all’opposto, una coalizione eccessivamente frammentata, ricca di particolarismi individualistici e conseguente rissosità. Ad ogni buon conto, l’alternanza si è realizzata, visto che i governi uscenti hanno sempre perso le elezioni, ma questo, anzichè favorire una dinamica virtuosamente riformista, si è dimostrato il segno più esplicito del generale malgoverno.
Nessun sistema elettorale può garantire il bipolarismo, a meno di forzature anti-democratiche che alzino l’asticella della soglia di sbarramento al 10% o che diano rappresentanza esclusivamente ai due maggiori schieramenti. Alla resa dei conti, l’alternanza dei blocchi contrapposti può essere decisa solo dall’elettorato, a prescindere dal sistema elettorale. D’altra parte, il bipolarismo è in profonda crisi in tutte le democrazie avanzate, ad eccezione del bipartitismo negli Stati Uniti, dove, comunque, si registrano storicamente le più basse percentuali di affluenza.
Il problema dell’Italia, più che la mancanza del bipolarismo politico, è la presenza del bipolarismo psichiatrico dell’elettorato e della classe politica. Il Porcellum non è da cambiare perchè ostacola il bipolarismo, ma piuttosto perché favorisce la schizofrenia politica italiana, attraverso l’abnorme premio di maggioranza alla Camera, l’eccessiva frammentazione al Senato e l’imposizione delle nomine a scapito delle preferenze. Cambiarlo è un obbligo della classe politica troppo a lungo inevaso, ma se il cambiamento avvenisse nel segno di una forzatura bipolarista, ci si troverebbe di fronte ad un’altra porcata. La governabilità che dimora in tutte le democrazie avanzate non è frutto di un sistema elettorale, ma di una cultura civica e politica che in Italia continua a latitare, sia nella classe politica che nell’elettorato.
E tanto per avanzare una proposta, credo che le migliori garanzie di governabilità, salvaguardando la necessaria rappresentanza delle minoranze, le possa offrire un doppio turno, ma non con i collegi uninominali sul modello francese, bensì con voto di preferenza e soglia di sbarramento bassa (2,5%), che si prefigga l’assegnazione proporzionale al primo turno dei 2/3 dei seggi (al limite con un piccolo premio per il primo o i primi due partiti o coalizioni) e il resto dei seggi assegnato al ballottaggio tra i primi candidati non eletti al primo turno dei due schieramenti, in un rapporto di 2 a 1 a favore del vincitore. Sempre nella speranza che la schizofrenia degli elettori prima e quella degli eletti poi non vanifichi tutto.