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Birdman - L'Imprevedibile Virtù dell'Ignoranza (di Alejandro González Iñárritu, 2015)
Creato il 24 agosto 2015 da Frank_romantico @Combinazione_CEd eccomi qui a parlare di Birdman. Sì, Birdman. Quel film uscito in Italia all'inizio di 'sto 2015 di merda che mi ha ucciso e da cui sto resuscitando. Il "capolavoro" esaltato ovunque, il film più bello dell'anno senza aspettare che l'anno fosse almeno iniziato, il miglior film di Alejandro González Iñárritu. Quello che ha girato Amores Perros, 21 Grammi, Babel, Biutiful e dal Messico è passato a Hollywood mantenendo sempre intatto il suo modo di fare cinema, la sua poesia (non poetica: poesia), al di là di quanto i suoi film poi si siano potuti definire riusciti o siano piaciuti. E poi, nel 2014 arriva Birdman, il film in cui in un certo senso il regista, per la prima volta, parla di cinema in maniera aperta e prorompente, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa.
Non mi vergogno di dire che ho pianto per quasi tutta la durata del film. Ho pianto in certi momenti fino a singhiozzare. Ho pianto per il dolore e, in certi passaggi, per la felicità di quel che mi scorreva davanti agli occhi, per le verità pronunciate anche dal più spregevole dei personaggi, per l'assoluta convinzione che in certi passaggi il film parlasse direttamente a me, quasi fosse la voce schizofrenica del mio birdman personale. E allora ditemi come bisognerebbe comportarsi nei confronti di un film del genere, come bisognerebbe parlarne. Non di certo come se stessi scrivendo una vera recensione, etichettando e categorizzando. Sarebbe come andare contro quella parte che più di tutte mi ha toccato personalmente, quel concetto di critica antiquata che grazie a dio è stata superata da tempo anche se non sempre e non da tutti. Birdman è un film che mi ha commosso fino all'eccesso e che lo ha fatto per la sincerità di cui è intriso, quel non avere peli sulla lingua parlando di ciò che è scomodo e facendolo in un modo che va al di là del meta-cinema.
Credo ci siano film che hanno paura di mostrarsi fino in fondo per quello che sono, girati da registi che non riescono a denudarsi completamente. Credo che questo sia un problema che hanno tutte quelle forme di intrattenimento che devono dar conto a qualcuno più in alto, che sia la casa di produzione, la critica o il pubblico. In pratica se sai che ti possono sparare addosso, non te ne vai in giro senza giubbino antiproiettile. Spesso non si tratta di mancanza di coraggio ma solo di compromessi. Tali problematiche, o limiti, non esulano da un film come Birdman, che ha alle spalle dei produttori, che è stato scritto e diretto da un regista "noto" e che conta nel suo cast un sacco di nomi "importanti": Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts. Eppure, a differenza di molti altri e proprio per sua natura, Birdman è un film che riesce a spogliare il suo protagonista/fulcro narrativo, che riesce ad aprirsi allo spettatore, che non ha problemi nell'essere sincero fino in fondo. Perché Innaritu in poco più di due ore fa a pezzi il cinema blockbuster (cinecomics in primis), il cinema inteso come arte, Broadway e tutto quel che gli gravita attorno, la critica, la sindrome della star, l'egocentrismo dell'attore, se stesso. Sì, Inarritu fa a pezzi se stesso che dal 2000 al 2006 ha girato tre film rifugiandosi nella stessa struttura, nella stessa accogliente forma che non è molto meno di una maschera, l'idea attraverso cui il mondo ti riconosce. E non è forse possibile che il qui presente Birdman (e Biutiful) siano stati girati e sceneggiati con lo scopo di essere film autoriali, che permettessero all'autore di assurgere ad artista?
Che il cinema debba essere arte io lo rifiuto. Il cinema può anche essere arte ma non è una condizione ad esso necessaria. Spesso è però il centro nevralgico dell'egocentrismo di presunti artisti. Riggan Thomson è un uomo che per anni, indossando la maschera del supereroe Birdman, ha fatto cinema d'intrattenimento, qualcosa che a conti fatti si è sempre più avvicinato all'idea di luna-park piuttosto che a quella di rappresentazione scenica. Ma in questo modo Riggan ha fatto i soldi ed ottenuto fama e popolarita. Certo, nel frattempo ha distrutto un matrimonio, trascurato una figlia ed è diventato un sociopatico. Ma piuttosto che su questo, noi ci concentriamo sull'idea condivisa da chiunque: spesso l'attore diventa il personaggio e sotto la maschera di quel personaggio scompare. Per questo ad un certo punto della sua vita Riggan rifiuta l'idea di continuare ad essere Birdman. Non perché ormai è uno stronzo dissociato, no, ma semplicemente perché il suo ego glielo chiede, quella parte di se che ancora pensa di poter essere qualcosa di più, che giura di essere un artista, un autore. Ed è proprio quando entrambe queste parti emergono che la dissociazione si concretizza. Riggan allora lascia il cinema e decide di dedicarsi al teatro (Broadway, la parte nobile dell'intrattenimento newyorkese), prende un'opera di Carver e decide di metterla in scena nell'ultimo tentativo di affermarsi dal punto di vista intellettuale.
Da qui in poi il post contiene spoiler!
Tutto il film non è altro che questo: una lotta tra Riggan e il suo alter ego alato, una battaglia vista in chiave pirandelliana con l'uomo che, nel tentativo di strapparsi la maschera, rimane in equilibrio precario tra il baratro della follia e la morte. E' a quel punto che la realtà, per il protagonista, diventa la finzione in cui è in grado di auto-affermarsi. L'idea stessa che Riggan possa avere dei super poteri dimostra quanto quest'uomo senta il bisogno di essere "speciale". Ma nessuno è speciale se non in un contesto personale, se non agli occhi di chi ti ama.
Se da una parte c'è Riggan che rincorre la sua idea di autoaffermazione, dall'altra c'è Birdman che è pronto a sbattergli in faccia ogni sua sconfitta, debolezza, difetto. Birdman, l'alter ego, riflesso di quel modo di fare cinema poco impegnato, superficiale, alla Michael Bay ma che, d'altro canto, si rivela realista e pratico. Birdman, pronto a sfruttare le debolezze di Riggan per poi prenderne il posto. Per evitare questo, al protagonista non resterà che ricorrere a un gesto estremo: mettere fine all'infelice condizione che lo sovrasta, che sovrasta tutti noi, l'impossibilità di essere se stesso, amato per quel che è, apprezzato senza trucco, parrucco ed effetti speciali. Togliersi la vita sul palco, l'unico posto in cui, per assurdo, Riggan può essere se stesso, è l'atto ultimo che permetterà all'artista di assurgere nel momento stesso in cui, definitivamente, si strapperà la maschera e morirà. Solo che le cose non possono essere così facili.
Pirandello diceva che, per non morire o non impazzire, una volta strappata la maschera dobbiamo subito sostituirla con una nuova. Ed è proprio questo che fa Riggan nel momento stesso in cui il suo suicidio (fallito) si trasformerà nell'atto di nascita di un nuovo personaggio nato all'ombra dei social network. Non si tratta quindi della vittoria dell'uomo sulla maschera ma della trasformazione stessa dell'individuo in personaggio farsesco, la consacrazione che permetterà a Riggan di spiccare il volo ed essere finalmente quel che sempre aveva voluto. Libero? No, prigioniero di un mondo che egli stesso a creato spogliandosi (non solo metaforicamente) fino alla "morte" dei limiti propri e imposti da un pubblico che non lo riconosceva e non lo aveva mai riconosciuto come individuo. Quello del film allora non è evidentemente un lieto fine ma solo l'inizio di un nuovo viaggio di cui non possiamo conoscere l'esito.
Conclusioni
Quando un opera ti parla così sinceramente, senza ipocrisie o falsità, di un argomento che in diversa misura si può adattare a tutti noi, allora diventa grande. Se poi, con la forma, è in grado di risucchiarti al suo interno divenendo quasi una nuova dimensione, allora per me siamo dalle parti del capolavoro. Birdman è un lunghissimo, interminabile (finto) piano sequenza. in cui i personaggi si muovono, parlano, piangono, ridono, si baciano. Se, come ho già detto, il protagonista nella sua duplice veste è fulcro di questa "dimensione", ogni singolo personaggio ha importanza capitale in un'opera che definirei corale. Ce ne rendiamo conto per come si danno il cambio in una staffetta scandita dai languidi movimenti di camera, dentro e fuori dal teatro, nei bar o per le strade di una New York alternativa. Iñárritu gioca con il concetto di realtà, mischia le carte, trasforma la città che non dorme mai in un mondo dove tutto è possibile e il palcoscenico, luogo dove tutto è possibile, in uno squallido specchio della realtà. Confonde interni ed esterni, trasforma le musiche in veri e propri personaggi, fonde il cinematografico al teatrale. Gioca inoltre con le unità aristoteliche di tempo e spazio, trasformando Birdman in un non-luogo dove il tempo non ha valore. Non mancano inoltre una serie di citazioni come quella di Fight Club, quella de Il Cigno Nero o quella del Batman di Tim Burton. Infine trasforma gli attori in personaggi in un mondo in cui i personaggi sono gli attori. Inutile lodare le interpretazioni, tutte perfette, compresa quella di Zach Galifianakis. Inutile protrarre questo post ancora per molto: un film come questo non ha bisogno di essere analizzato, commentato, giudicato. Un film come questo va vissuto. Io l'ho fatto e per un po' la mia vita è stata migliore e mi sono sentito un pochino meno solo.
"E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?" "Sì." "E cos’è che volevi?" "Sentirmi chiamare amato, sentirmi amato sulla terra."
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