Stoccolma, Svezia, 2 mag 2011, giorno 112, ore 20:35, Mac Donald’s
E’ tanto che non scrivo. Lo so. Da quando sono ritornato in Europa la mia vena letteraria langue. Mi siedo davanti al pc, apro il blog, vado in “Nuovo articolo” e poi fisso lo schermo. Aspetto, magari mi viene; invece niente. Il foglio bianco mi fa paura, penso che sia da riempire e la cosa mi spaventa perchè non ho idea di come farlo. Quando è così meglio chiudere tutto e farsi una passeggiata. Se anche si riuscisse a riempire, quello che direbbe sarebbe inutile e vuoto. La mia teoria è questa: per scrivere bisogna avere il desiderio di avere un foglio bianco sotto al naso. Non è più un nemico, ma una cosa senza la quale si impazzirebbe. C’erano dei momenti in cui mentre camminavo mi ritrovavo in ginocchio sullo zaino a cercare il taccuino perchè dovevo essere assolutamente sicuro di scrivere una cosa, quella cosa, adesso, subito, prima che se ne andasse, prima di scordarla. Potrei citare mille autori che parlano di cose del genere, ma non lo farò. Questa è la mia teoria, gli altri hanno la loro. Il punto è che ho paura del foglio bianco e quindi scrivo meno. Tutto qui.
Il perchè non lo saprei spiegare con esattezza. Ce ne sarebbe da dire; avrei potuto parlare dei musei di Stoccolma, ma mi sembrava di essere una guida turistica. Avrei potuto accennare ai trasporti e alla vivibilità dela città, ma non c’era poi tanto da dire se non che sono, in una parola, perfetti. Potevo dichiarare la bellezza incredibile degli svedesi, ma poi sarei stato accusato di essere un allupato. La verità è che tutto mi sembrava scontato. Google è pieno di siti, guide, blog e commenti su questa città, perchè quindi farlo sbadigliare ulteriormente? E’ il ritorno all’Europa, al conosciuto, alla mia civiltà che mi atterrisce. Oggi un’amica mi ha scritto una mail chiedendomi se c’è differenza, e se si sente, tra l’Asia e l’Europa. Gran domanda, ho pensato, magari ci scrivo su. Sì c’è differenza, eccome, come dal giorno alla notte. Non sto parlando di cibo, comunicazione, servizi o monumenti. Parlo delle persone. Da quando sono in Scandinavia non ho parlato con nessuno. Sono scivolato in silenzio tra le loro città, le loro vie, i loro aeroporti. Ignorato e ignorando. Niente sguardi incuriositi, niente discorsi sui treni, niente “Welcome to Finland”. Niente, freddo come il loro clima. Questa è una cosa che ho sentito, anche se forse c’è voluta quella domanda per farmelo capire. Dopotutto io ci sono abituato, anche in Italia è così. La mattina sali sul treno, o sul bus, o sul metrò, ti infili l’iPod nelle orecchie e maledici la mattina e il fatto di dover andare al lavoro. Se non hai amici con te non parli con nessuno, ti appisoli, pensi ai fatti tuoi. Certamente non attacchi bottone con uno come me. Al ritorno, la sera, è la stessa cosa ma al contrario. Non vedi l’ora di tornare a casa, nella tua sicura e confortevole casa, di fare una doccia, cena e poi a guardare la tv. Il resto è nulla. La nostra casa ha tutto, perchè dovremmo desiderare altro? Tyler direbbe “questa è la nostra vita e sta finendo un minuto alla volta”. E’ questo che intendo quando dico guardare le cose da diverse prospettive. Adesso che non ci sono più immerso, vedo soprattutto la Cina, i cinesi e il loro vivere. Loro non sono come noi, anzi, forse troppo diversi. Sono invadenti, curiosi come bambini. Solo la timidezza li trattiene, ma una volta rotto il ghiaccio la foto scatta garantito. I treni cinesi sono una babilonia, sì, ma una babilonia di uomini che si rapportano, che si incontrano davvero. Sali su un treno che non conosci nessuno, ma non ti infili un iPod nelle orecchie. Primo perchè non ce l’hai, secondo perchè il bello è già lì, intorno a te, negli altri viaggiatori, nei brustolini mangiati e sputati a terra, nelle battute, nelle chiacchiere. Che se ne fa un cinese di un iPod? Cultura di piazza contro cultura di appartamento. Noi che ci chiudiamo nelle nostre case e tutto il mondo fuori e loro che invece non avendo una casa come la nostra se la chiudono alle spalle e poi ci vanno, di fuori. Non so se sarà ancora così quando tutti saranno ricchi e ammaestrati, ma per il momento vincono loro, non le case. Ci vorrebbe una via di mezzo, un compromesso, un sistema che metta in pratica il meglio delle due opzioni. Ma per il momento non c’è. Se in questo falliscono anche gli svedesi, non so proprio che cosa si possa fare.