Black Power: Candyman - Terrore dietro lo specchio (1992)

Creato il 30 marzo 2015 da Babol81

Questo mese grazie alla mente eclettica di Alessandra di Director's Cult e agli sforzi congiunti del dinamico gruppo di Blogger più figo del web abbiamo organizzato (in occasione dell'anniversario della marcia di Selma) una celebrazione del Black Power, ovvero di registi, sceneggiatori e attori di colore più o meno conosciuti. Siccome avevo già recensito il bellissimo e sottovalutato La casa nera di Wes Craven, ambientato in un ghetto "nero", ho deciso di omaggiare il babau di colore per eccellenza e parlare di Candyman - Terrore dietro lo specchio (Candyman), diretto e co-sceneggiato nel 1992 dal regista Bernard Rose e tratto dal racconto The Forbidden di Clive Barker. ENJOY!

Trama: Helen sta scrivendo una tesi sulle leggende metropolitane e scopre che dietro quella concernente Candyman, un assassino armato di uncino, potrebbe nascondersi qualcosa di vero. La donna decide così di indagare nel ghetto dov'è nata la leggenda ma presto le persone attorno a lei cominciano a venire uccise in modo brutale...



Erano tanti anni che non riguardavo più Candyman e sono molto contenta di averlo recuperato per questa celebrazione del Black Power. Il motivo che mi ha spinta a scegliere questo piuttosto che altri horror come, che so, Blacula, risiede molto prosaicamente nel desiderio di ascoltare la sensualissima e profonda voce di Tony Todd, passato alla storia dell'horror per aver interpretato questo terribile e vendicativo assassino sovrannaturale, ma guardandolo mi sono resa conto di aver azzeccato in pieno il tema "Black Power". La leggenda di Candyman inizia infatti durante il periodo della schiavitù e affonda le radici in una classica storia d'amore "proibito" tra un artista di colore (probabilmente già malvisto dai bianchi per la sua condizione di nero privilegiato) e la bella figlia di un committente bianco che, scoperta la tresca, decide di porvi rimedio nel modo peggiore e condannare il pittore a subire inenarrabili torture prima di ucciderlo. Come spesso accade nelle società più povere ed arcaiche, la verità si tinge di fantasia e la storia di questo amante sfortunato si trasforma col tempo e il passaparola in una "favola della buonanotte" a tinte horror per tenere buoni i bambini mentre l'artista a cui è stata mozzata una mano diventa un mostro armato di uncino a cui bisogna tributare rispetto, doni, venerazione, tramandando la sua leggenda e rendendolo, di fatto, immortale. Potere nel sangue, potere nell'accettazione dell'irreale, potere nel rispetto delle tradizioni, potere nella PAURA che diventa naturale veicolo di immobilità sociale: ecco le forze che governano tacitamente il ghetto chiamato Cabrini Green dove, diciamocelo, Helen va a ficcare il naso portando con sé la sua supponenza di bianca colta, oltre che la sua errata convinzione di essere una donna forte, razionale ed indipendente. La laureanda, che non bada a niente e a nessuno pur di scrivere una tesi sensazionale, richiama così sulla piccola comunità di colore un'infinita serie di guai, scatenando l'ira di chi non accetta di essere razionalizzato e liquidato come semplice "fantasia".

Il bello di Candyman, ovviamente, è che questa è un'interpretazione, quella che ho sposato dopo essere stata ipnotizzata come Helen dalle parole e dalla voce suadente e terribile di Tony Todd. A differenza della maggior parte degli horror attuali, infatti, il film di Bernard Rose offre una miriade di chiavi interpretative e ben poche spiegazioni, tutto dipende dall'intenzione o meno dello spettatore di vedere la storia di Candyman come il parto irrazionale di una mente malata oppure una reale incursione del sovrannaturale nella quotidianità. Certo, la seconda opzione è molto più affascinante a mio avviso: immaginare la comunità di Cabrini Green "controllata" dall'occhio onnisciente di un'entità nascosta all'interno degli specchi, pronta a colpire al minimo segno di "sfiducia" nei suoi confronti, è una squisita tortura in grado di regalare notti insonni e di portare alla follia superstiziosa. D'altronde è impossibile restare ancorati alla realtà guardando Candyman perché la regia di Bernard Rose è talmente bella e curata (i primi piani della protagonista, la sequenza dell'autostrada all'inizio, il funerale alla fine sono di una finezza incredibile) che sembra davvero che gli incubi possano infrangere la barriera che li separa dalla nostra quotidianità: gli specchi, i buchi nei muri, la bocca gigantesca del murales di Candyman, il palazzo diroccato di Cabrini Green, che sembra quasi un alveare, gli occhi sconvolti di una bravissima Virginia Madsen sono tutte porte attraverso le quali Candyman può tranquillamente arrivare a noi per trascinarci nelle tenebre. Non lo farà in modo gentile, nonostante Tony Todd riesca a conferire al personaggio una sensualità perfetta per le tipiche atmosfere morbose dei racconti di Clive Barker, anzi. Ci metterà forza, impegno e sudore, la stessa impiegata dal convintissimo attore per sventrare le sue vittime nel modo più sanguinoso possibile, come Bernard Rose si pregia di mostrare in poche sequenze gore ad altissimo impatto, prima di cullarci nell'ingannevole e quasi poetico score composto da Philip Glass. E sarà un'esperienza indimenticabile, in grado di meravigliare ed entusiasmare anche chi, come me, non credeva più di potersi ancora emozionare per un horror.

Volete continuare a celebrare il Black Power coi miei Fratelli Blogger? Andate ai link che trovate sotto e buon divertimento!
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