BLACK POWER DAY: Fa' la cosa giusta

Creato il 30 marzo 2015 da Jeanjacques

La comunità blogger si ritrova nuovamente tutta riunita per un giorno celebrativo molto particolare. A questo giro non si vuole onorare una personalità del cinema... anzi, come non detto... si onora una personalità del cinema, ma attraverso una procedura che ci permette di fare un discorso molto più ampio. Come ci ha ricordato il film Selma - la strada per la libertà di Ava DuVernay (che io, stanco di tutti i biopic che hanno affollato le sale in questi mesi, ho bypassato alla grande, anche se molti colleghi dicono che sia stata una visione più che meritevole) quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario delle tre marce da Selma a Montgomery, ovvero delle marce di protesta affinché venisse permesso agli afroamericani di votare nella contea di Selma in Alabama, un evento così importante da essere (ipocritamente) messo nella National Historic Trail. Noi della comunità blogger abbiamo così deciso di onorare un esponente di colore della settima arte e io, molto prevedibilmente, ho scelto Spike Lee. Che lo ammetto, è un regista con cui ho diversi problemi, questo ancora prima del suo schifosissimo contestato Oldboy. Non perché abbia fatto delle schifezze di film, anzi, i suoi bei lavori li ha sicuramente fatti solo che si è così immolato nel messaggio che voleva lanciare da... diciamo... mettiamola così, a forza di smenarla a destra e a manca sui diritti dei neri, ha leggermente rotto. E rompe tanto quando arriva ad accusare zio Quentin di razzismo (?!) e a ritenere Django unchained irrispettoso verso la comunità nera - oltre al non fare più un film decente da secoli. Però, proprio perché questa è la sua giornata, ho voluto tributarlo con uno dei suoi film più conosciuti ed apprezzati. 

In un quartiere nero di Brooklyn la vita scorre. Ma, complice la mancanza di esponenti della cultura nera nella pizzeria gestita da un italiano, nella giornata più calda di tutte gli animi si surriscalderanno fino a un drammatico protrarsi degli eventi...

Ricordo che vidi questo film, dopo aver sentito nominare Spike Lee mille volte nella sigla di apertura di Fresh Prince, per la prima volta a quattordici anni e che non mi piacque. Un po' mi ero fatto condizionare dalla figura di Spike Lee, famoso per essere entrato in quella spirale polemica autodistruttiva che lo ha reso soggetto a più di uno sberleffo, e un po' perché il bollare questo film come brutto mi faceva sentire importante. Ma brutto non lo è. Anzi, credo che sia una riflessione sul razzismo e la violenza lucida e quasi spietata, a suo modo. Qualcosa che sono arrivato a comprendere e ad apprezzare solo dopo qualche anno, quando ho imparato a prendere la vita un poco più alla leggera e a vedere il cinema con meno paraocchi. E' la prova che la polemica in sé non è un male, quando la si indirizza verso obiettivi ben mirati e inquadrati, ma lo diventa quando è gratuita e forsennata, fatta solo per ottenere audience - perché altrimenti certe uscite del nostro proprio non ce la faccio a spiegarmele. La vita nel quartiere nero è ritratta con un fare abbastanza ironico e che, pur rendendo chiara fin da subito la drammaticità della situazione di base, lascia allo spettatore dei momenti molto leggeri che smorzano tutta la tensione che si accumulerà nelle noti finali. Quelli che la macchia da presa di Spike Lee (qui anche attore nei panni di Mookie, il garzone) ritrae sono volti particolari e abbastanza decadenti, ma non ce la si fa a odiarli. Abbiamo la vecchietta nera che guarda tutto dal suo balcone, una figura che ormai da quel che ho potuto vedere dal mio viaggio in America è una sorta di stereotipo nazionale, al barbone, fino al ragazzo disadattata e al teppista di turno. Nessuno qui è un santo, la povertà ha messo fine alla santità, sono due cose che non possono proprio andare a braccetto. Ma chi può definirsi perfetto, alla fine? Io no, e se posso dire di avere una fedina penale pulita è perché ho avuto la fortuna di nascere in una situazione sociale molto buona e con due genitori che hanno saputo educarmi a dovere. Fossi nato in un quartiere come quello, ma anche in certi quartiere degradati nostrani, non so come ne sarei venuto fuori, quindi è per questo che non voglio dare un giudizio totalitario sull'insieme. Perché è una cosa che non andrebbe mai fatta. Strano a dirsi, non lo fa nemmeno Spike Lee, tanto che pure nel drammatico svolgersi degli eventi tutti ne escono fuori un po' perdenti. Alla fine è la violenza a farla da padrona, ma è una violenza che non lascia nessun vincitore. Forse perché era destino che non ci fossero dei vincenti ma solo un gran numero di vinti, perché alla fine siamo solo nella stessa barca e cambia solo il suo colore. I neri stessi saranno i primi che in quella loro follia finiranno per comportarsi da razzisti verso quella che è la minoranza interna di quel loro quartiere, ma alla fine apriranno gli occhi e vedranno il vero orrore. Quello di un America che pensa di essere un posto bellissimo nel quale vivere, ma che è ancora separatissima dall'interno, e che continua a esserlo ancora oggi che nelle alte sfere c'è un nero. Un posto dove purtroppo si riesce a farsi valere unicamente con la violenza ma, come ci ricorda la frase di Martin Luther King riportata alla fine, la violenza è inaccettabile soprattutto se si vuole raggiungere l'uguaglianza razziale. Nietzsche diceva che se scruti nell'abisso, l'abisso scruta dentro di te, ma forse non serve tendere l'occhio così lontano. Spesso la verità è proprio a portata di mano e spesso siamo noi a non volercene accorgere. La cosa giusta non è mai univoca, ognuno la trova in quello che è il proprio universo e attraverso diverse funzioni. Ma già la volontà di provare a capire che esistono realtà dissimili alla nostra può essere un ottimo inizio.

E potrei concludere citando la canzone Fight the power dei Public Enemy, però preferisco andare come sempre per la mia strada con l'ironica Polenta e kebab dei Punkreas.Voto: ★ ½
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