Blocco 52, direttamente da Berlino la recensione di ELLE. http://lospiritonellacasa.blogspot.it/

Creato il 23 ottobre 2013 da Cirano2

Anche senza bandolo la matassa coinvolge.

L’inizio, la fine.1 aprile 1965
Eccomi qui, a due passi da casa.
E fu così che iniziai a leggere un altro libro italiano doc.Tutto inizia nel 1965, con il protagonista che ci racconta in prima persona, al presente, quella sera del 1 aprile 1965.Subito dopo si torna indietro agli inizi di marzo di quello stesso anno, ed è ancora il protagonista a raccontare in prima persona, al presente, di quando arrivò in Calabria, mandato dal partito:
Gavino PirasInizi di marzo 1965
Tanti chilometri. È davvero lontano qui. Paesaggi che mutano dalle montagne al mare e distanze che disegnano un altro mondo.
Il 1 aprile, due loschi figuri si erano avvicinati al protagonista, poi lui aveva sentito un rumore secco e un dolore terribile: pertanto non sembra strano che, dopo i ricordi di marzo, sia un magistrato a ricondurci al 1 aprile:
Il magistrato di turno1 aprile 1965
Meno male che ho smesso di fumare. Se avessi continuato come prima chissà quante sigarette avrei consumato in questi giorni.
Il magistrato interviene sul posto ed è così che scopro che il morto non si chiama Gavino Piras, ma è “Luigi Silipo, il presidente regionale dell’Alleanza contadini”.Un po’ distratta vado avanti, si parla di personaggi famosi:
Vincenzo Dattilo16 ottobre 2010, mattina
Però, solo Telesio! Solo Telesio è nato in una città. Bernardino Telesio è nato a Cosenza, tutti gli altri grandi calabresi sono nati in provincia, lontani dai centri urbani. Scrittori, filosofi, poeti, artisti e scienziati hanno calcato appena le vie delle città calabresi.
Personaggi famosi, calabresi e antichi, ma cosa c’entrano? “Divago, divago per professione e per carattere”, ammette il protagonista, che ci racconta in prima persona, al presente, delle curve tortuose durante il suo viaggio in città, ma poco prima di quelle curve la sua divagazione era arrivata alla rivolta del ’70 e, subito dopo la sua divagazione, lui stesso gira verso la colonna di tir che, nel 2010, rende Catanzaro “sempre più lontana”, perciò supero la distrazione e con un’inversione a U torno verso l’inizio del capitolo, ed ecco il dettaglio:
Vincenzo Dattilo16 ottobre 2010, mattinaPerò, solo Telesio!
Allora, ricapitolando: quello che parla nel primo capitolo, e sente il rumore secco e poi il dolore e che, si scopre nel terzo capitolo, è stato ammazzato, è Luigi Silipo. Nel secondo capitolo abbiamo Gavino Piras, che non è stato ammazzato e non è il magistrato di turno, però è nel partito, come Luigi Silipo. Nel terzo capitolo abbiamo appunto il magistrato di turno, che non è Gavino Piras, altrimenti il titolo ce l’avrebbe detto, ma non è nemmeno l’innominato del primo capitolo perché quello, capito, è Luigi Silipo, il morto ammazzato. Un giallo quindi. E chi è Vincenzo Dattilo? Il magistrato di turno ormai vecchio? Un Gavino Piras che ha cambiato nome perché in pericolo di vita anche lui? Vincenzo Dattilo divaga, ci racconta la Calabria, i suoi pensieri, il suo viaggio, le sue ricerche, lui è “quello delle carte di Piazza Fontana”, quindi non è un accusato, ma un inquirente? E cosa c’entra Piazza Fontana? C’è una Piazza Fontana anche a Catanzaro? L’ho detto, io, che della Calabria non so una minchia. Per fortuna subito dopo si torna al 1965, è lo stesso Luigi Silipo che parla, in prima persona, al presente, come tutti, ma forse lui sa qualcosa che gli altri non sanno, e ora ce la racconterà, e per farlo torna un pochino indietro rispetto a quel 1 aprile, va fino al 21 febbraio dello stesso anno, insomma ci racconta senz’altro gli antefatti determinanti, adesso, no?
Luigi Silipo21 febbraio 1965
È tutto pieno da Colacino. C’è la ressa intorno al bancone, per le paste. È domenica per tutti in fondo, oppure è semplicemente aumentato il numero di signori in questi anni. Risalgo corso Mazzini e mi fermo ogni tanto…
Ecco che Silipo si sente seguito, si ferma, si guarda attorno, scoprirò presto perché, è un vero giallo! Mi metto più comoda sulla poltrona, e proseguo curiosa:
…ad ascoltare soprattutto: ogni crocicchio ha il suo argomento. C’è chi parla della Catanzarese e di questo Gianni Bui che arriverà lontano a forza di gol e c’è chi commenta l’omelia di don Gregorio, che l’hanno mandato da fuori ma si fa capire come se fosse nato e cresciuto alle Cocole.
No, Luigi Silipo il 21 febbraio non si sente seguito, passeggia osserva riflette. Luigi Silipo così si presenta. È una persona attenta alle parole di tutti, sopra le parti a suo modo, si rende utile, lotta, perché la lotta è la sua passione, la sua vita: “Per fortuna c’è l’odio. Ne provo sempre meno con il passare del tempo, ma ne conservo ancora abbastanza per tenere la schiena dritta e gli occhi aperti quando dinanzi a me c’è uno sfruttatore, una sanguisuga, un relitto di quella società ingiusta che vogliamo cancellare dal mondo”.
E nello stesso modo si presentano ad uno ad uno tutti i personaggi, tra 1965 e 2010, e poi 1964 e ancora 1965 e 1966, e 2011 e 2012, 2005. Sembrano pensieri intimi, pagine di diario, in cui ognuno racconta la propria giornata o le proprie riflessioni, i propri problemi o i propri ricordi, le proprie ricerche o i propri ritrovamenti, i propri ritorni. Ognuno parla in prima persona, al presente, ognuno è protagonista del proprio pezzo di storia. Lo stile, il linguaggio, non cambiano mai, e l’unico (o quasi) che ogni tanto mette lì una frase in dialetto è Vincenzo; parlano tutti allo stesso modo, un linguaggio medio, abbastanza lineare, qualche dialogo, qualche ricordo, e l’unico (o quasi) che ogni tanto divaga, sembra perdersi, è Vincenzo. Ma forse questo è dovuto non solo alla professione o al carattere, ma anche ad un’abitudine dell’epoca dei fatti: lui è quello che vive ai giorni nostri.Vincenzo raccoglie i documenti, li cita, sono lettere, articoli, pagine d’archivio o altre carte, mail, pagine internet e blog, lui è nel mio presente, lo capisco. Tutti gli altri sono un viaggio nel tempo: un tempo fatto di contadini e padroni, di classe operaia in arrivo, di poteri antichi e di poteri neonati, di tentativi di rivoluzione, di cambiamento, di riscatto, di margini sociali. Di problemi che negli anni Sessanta incominciavano a mostrarsi come problemi, in un’Italia che si avviava al cambiamento, e che esistono come tali ancora oggi.
Se viene il benessere la strada della rivoluzione sarà meno affascinante, e se non cambia niente diverremo lentamente meno credibili. Ma ci vorrebbe una scossa, una scintilla, un evento improvviso che ribalti la quiete in cui è immersa l’Italia.
Tutte le altre voci narranti (o quasi) sono i personaggi di un romanzo storico, Vincenzo invece contro questa storia si scontra quando ormai è stata cancellata. Mi ha fatto venire in mente un po’ un meccanismo da Storia infinita: mentre leggevo gli episodi degli anni Sessanta ero dentro la Storia, immedesimata di volta in volta nel personaggio il cui punto di vista seguivo, pur sapendo già che in quegli stessi luoghi, nel futuro, ma sulla carta parallelamente, si sviluppava un’altra storia che non sarebbe nata direttamente da quel passato, perché lo ignorava, perché le era stato cancellato; e io lentamente capivo che l’eliminazione di quel passato dal futuro l’avrei vissuta nella Storia precedente, che negli anni Sessanta mi sarebbe stato svelato il mistero, e non nelle carte spulciate nel 2010, nonostante sapessi già che proprio le ricerche del 2010 avevano reso possibile mettere nero su bianco proprio quella Storia dimenticata che leggevo, e la cosa più assurda di tutte è che i fatti degli anni Sessanta si sono svolti senza il pur minimo sospetto che, dalla Storia, sarebbero stati cancellati, che un giorno negli anni Duemila, nel Futuro, nessuno ne avrebbe saputo più niente. 

Niente fino a quel viaggio di Vincenzo verso Catanzaro, dopo il quale la voce di Luigi comincia a riprender corpo, un corpo solido e deciso: “A volte penso che nella mia vita manchi qualcosa, ma non la cambierei con nessun’altra al mondo. Comunque vada a finire, ne valeva la pena”.
Vincenzo presenta, oltre alle sue ricerche, anche la Calabria, questa sconosciuta. Anche Gavino parla un po’ della Calabria, lui che arriva dalla Sardegna, per certi versi simile, per altri lontanissima. Catanzaro ci è presentata da Luigi, ma non solo: c’è Maria Grazia che è una maestra saggia e coraggiosa (“La bacchetta sulle mani è sempre efficace, trasmette i messaggi senza eccessive perdite di tempo. Ma semplifica troppo, fa ragionare poco.”): uno dei temi in classe che dà ai suoi alunni è sul cambiamento della città, e il tema ce lo riporta, così scopriamo anche noi, in parole povere (ma mica tanto, per essere un bambino), che aria tirava in città. Maria Grazia ci ricorda anche un po’ la condizione delle donne a quei tempi, perché come maestra ha a che fare con le prime classi miste, perciò assiste ai primi confronti fra maschi e femmine fuori dalla protezione del focolare, e riflette: “Solo se siamo in grado di sostenere ognuna la propria battaglia potremmo sperare di dare dignità ed emancipazione a tutte le donne. Nessuna timidezza né imbarazzo, né paura, né esitazione dovranno segnare questo impegno, che non è soltanto il mio lavoro, ma il compito che la società mi ha affidato e che devo svolgere tanto con la responsabilità quanto con la passione”. C’è anche Nina, attiva nel partito comunista, con un nonno stronzo e un papà assente, una mamma cacciata via di casa dal primo, mai difesa dal secondo, anche Nina combatte, contro le contraddizioni: ”Non capisco perché a volte passiamo più tempo a ripiegarci su noi stessi che a proiettare all’esterno le nostre tesi e soprattutto non comprendo la progressiva riduzione degli spazi di discussione reale”. Infine ci sono la giovane Vittoria, a cui lo zio Luigi cerca di insegnare la libertà come diritto, non come disobbedienza automatica alle catene, e Caterina che “non ha mai toccato il mare. Lo vede ogni giorno, in lontananza, elemento ordinario del suo immutabile panorama, ma non ha mai percorso quei pochi chilometri che separano la sua campagna dalla spiaggia”: è rassegnata nella sua assenza di libertà perché, dice, “cambierà, forse. Ma non per me, e non dipende da me”, e c’è Assunta, che si accontenta di sognare, perché la vita le ha insegnato che è l’unica cosa per la quale non deve ottenere l’approvazione di nessuno, infine c’è Teresa, nipote moderna di una zia antica ma per certi versi avanti già ai suoi tempi, ma avanti in che senso? Cosa ci aspettiamo da qualcuno che è riuscito ad emanciparsi da ciò che da secoli ci circonda?
Un po’ da tutti, un accenno qua e uno là, ho imparato com’è la Calabria, com’è Catanzaro, cosa è cambiato dagli anni Sessanta e cosa no, cosa è cambiato in meglio e cosa in peggio. E un po’ da tutti, da una frase, da un incontro, da una conoscenza più o mena approfondita, da un sentito dire risaputo, ho imparato di Luigi Silipo, e per un attimo anche io mi sono innamorata di lui, poi è passata perché non è il mio tipo, ma la sua passione è di quelle che suscitano in me sempre un’ammirazione così forte, che scambiarla per innamoramento è un attimo: “Ci sono uomini che aspettano di incontrare la scintilla, anime a cui parlare […] vivo per loro, per le idee che ancora non hanno”. So anche di non essere stata l’unica a subire questo suo fascino malinconico e impegnato.
Quando osservo da questa città il golfo di Squillace un brivido mi corre lungo la schiena e avverto sempre la stessa tentazione di mollare tutto […]. Non accadrà mai, eppure pensarlo mi soddisfa, mi riempie, mi restituisce quel minuscolo margine di possibilità che mi permette di ritenere che sto ancora scegliendo. Che sto ancora scegliendo il partito, la rivoluzione, l’ideale. Che sono ancora padrone della mia vita.
Per tutto il libro le voci si alternano, ognuna a suo tempo e con pensieri e riflessioni ben specifiche, voci personali eppure volte al pensiero comune a tutto il romanzo (“Non c’è nessuna vittoria possibile se ognuno gioca per sé”, dice il calciatore che ci fa fare capolino nel 2005, l’unico che sembra ricordare ancora Silipo e Malacaria). Si impara a conoscere i singoli personaggi, eppure è come se parlasse una sola persona, con un solo unico lungo racconto mai monotono, che fa salti nel tempo che non sono semplici flashback, perché l’impressione è semmai, ancora, di singole carte messe assieme in ordine casuale, mentre i salti in avanti non danno l’idea di mere anticipazioni sul finale, perché è un futuro così recente per chi legge, e così diverso da quel passato (gli oggetti, la tecnologia, i trasporti, il trasporto della passione per un ideale), che sembrano semmai immersioni in un altro mondo, in una sorta di dimensione parallela, nella quale, grazie alle moderne tecnologie, possono essere richiamate immagini sfuocate di una realtà precedente e lontana che, per il lettore, hanno però i contorni precisi e conosciuti del racconto in prima persona, al presente.Nessuno ha scoperto chi è l’assassino di Luigi Silipo, ma a questo punto ciò che conta è che questa storia sia ricomparsa, e raccontata così bene che nemmeno i retroscena finali la sporcano, sono un altro cambio di prospettiva che nulla toglie alla parte romanzata, ma anzi aggiunge almeno un indizio, sul titolo: perché Blocco 52? La soluzione a pagina 46, diceva la Settimana Enigmistica della mia infanzia, a voi invece toccherà il piacere di immergervi fino alla fine nella misteriosa storia di Luigi Silipo.
Ps. lessical-nostalgico: paste (non brioche, non cornetti: paste!), sciacquarsi la bocca, Altitalia, battagliare, motocarrozzette.

Compiti per casa:Scrivi almeno tre ricette calabresi che consideri importanti per tramandare la tradizione.Svolgimento:1) Crispelle cu l'alicia2) Crispelle cà ricotta3) Crispelle cù meli
La maestrina che c'è in me ha rilevato molti "sì" affermazione senza accento, colori giallorossi che stingono in giallorosa (o viceversa?), un'Annunziata che diventa Immacolata poi di nuovo Annunziata (poi dicono che le donne sono lunatiche), un bambino che si definisce "piccola piccola" e la maestra non lo corregge (primi passi verso l'emancipazione degli uomini dalla declinazione degli aggettivi?) e un'incongruenza nelle testimonianze sull'omicidio: a pagina sedici sono "Sei colpi di pistola. Quattro alla schiena, uno in fronte e uno alla nuca." mentre a pagina 246 "La storia di Luigi Silipo termina con quattro colpi di pistola." (suona senz'altro più definitivo, e poi son passate ormai 230 pagine - caso archiviato).Blocco 52. Una storia scomparsa, una città perduta di Lou Palanca

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