Blocco 52 nella Piana delle Lotte contadine. L'intervento di Rosanna Giovinazzo.

Creato il 07 maggio 2013 da Cirano2

Un bel libro, “Blocco 52” di Lou Palanca. 

Dire solamente che è un bel libro non basta certamente, bisogna soffermarsi sul perché possiamo definirlo  tale. Per prima cosa, la trovata, molto efficace direi, di un libro collettivo, poco diffuso nel panorama letterario italiano, ma fortemente innovativo, che si richiama evidentemente a quella New Italian Epic, teorizzata alcuni anni fa dal collettivo di autori Wu Ming, a loro volta ispiratisi a Luther Blisset. Trovata, dicevo, efficace, perché ne è venuto fuori un vero e proprio romanzo corale realizzato con molteplici io narranti e diverse prospettive che si intrecciano mirabilmente. Poi, c’è da dire che il romanzo, nonostante sia stato scritto a più mani, è molto lineare ed armonioso, sembra quasi essere stato scritto da una sola persona. Evidentemente vi è una perfetta simbiosi tra i coautori.E poi ancora, la fabula attorno a cui ruota il romanzo è un giallo, ma il romanzo non è un giallo, né solamente un libro inchiesta. Il lettore già lo sa, fin dall’incipit del romanzo stesso: la storia rimarrà senza un colpevole. E non vi è uno spannung delimitato, circoscritto, è tutta la storia che tende il lettore verso una conclusione, uno scioglimento,  che già intuisce come possa essere. Oltretutto, credo, non sia la suspense l’obiettivo degli autori, ma piuttosto riaprire il caso del dirigente comunista catanzarese nonché presidente regionale dell’Alleanza dei contadini, Luigi Silipo ucciso in una sera di aprile del 1965, in una città dove non si verificava un omicidio da 26 anni. Caso troppo presto dimenticato, da tutti, persino dal Partito stesso per il quale  Silipo aveva speso tutte le sue energie. Ci pensano gli autori a riportarlo in vita, e ricordarlo nel giusto modo, mischiando in modo naturale, senza alcuna forzatura, finzione e realtà, tanto da non riuscire a distinguere dove inizia o finisce la finzione e dove inizia o finisce la realtà. Inoltre, la struttura narrativa che sorregge l’opera è molto efficace e suggestiva, nel senso che riesce a mettere  insieme, cosa assolutamente non facile,  diversi piani narrativi e temporali.Storie, personaggi, tempi, punti di vista, piani di lettura diversi, tutti accomunati da un unico filo conduttore: che non è solo la semplice investigazione su un delitto ancora oggi insoluto, ma, direi, la nostra storia; nello specifico, la storia di una città, Catanzaro, ma anche della Calabria tutta, la comprensione della nostra realtà attuale, che è figlia di un processo evolutivo, che emerge prepotentemente tra le pagine di questo libro, della Calabria, da terra contadina a post industriale,  con tutte le contraddizioni, ma anche con le, anche se poche,  positività che tutto ciò ha comportato.  Si pensi al ruolo della donna, alla sua emancipazione descritta, in modo soft ma efficacemente, attraverso le figure di Nina e di Maria Grazia soprattutto. Ma vi è anche uno sguardo oltre i confini nazionali e ai fermenti politici che sarebbero sfociati di lì a poco. Si pensi a Nina che nei suoi frequenti viaggi a Praga per conto del Partito comunista, avverte delle forti inquietudini e ribellioni, anche se ancora in nuce. I personaggi, i vari io narranti, dal protagonista, che forse impropriamente potremmo definire principale, Luigi Silipo a Gavino Piras, giovane dirigente comunista mandato in Calabria dal partito per fare esperienza in una terra difficile; da Grazia a Nina, da Assunta  a Teresa Torchia fino a Vincenzo Dattilo, sono tutti tratteggiati finemente, attraverso le loro azioni, le loro riflessioni, le loro paure e aspettative, personaggi poi che hanno il pregio, al di là dell’aver riportato alla luce un caso importante ma sconosciuto ai più, di saper suscitare interrogativi e riflessioni sull’essenza stessa di questa nostra terra sempre alla ricerca di un riscatto, di buone notizie, che non arrivano mai e che Silipo, proprio mentre sta morendo, vorrebbe che qualcuno portasse sulla sua tomba. Non fiori, bellissima quella pagina che poi magari leggeremo, ma notizie aggiornate dell’eguaglianza, dell’eliminazione delle speculazioni, della fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quelle notizie, per la concretizzazione delle quali, Silipo aveva lottato per tutta la sua vita. Una vita dedita alla causa dei deboli, degli ultimi, e ciò è sottolineato più volte nel romanzo. Silipo è un vero comunista che si indigna fortemente di fronte a tutte le ingiustizie tanto da portarlo anche a dei faccia a faccia molto duri con i notabili dell’epoca (si pensi al dialogo di Silipo con il barone Martorana). Per quanto riguarda soprattutto uno dei personaggi, è forse lapalissiano dire che dietro il prof. Dattilo vive e opera il mio amico Fabio, bibliofilo, ricercatore, storico, scrittore.  E mi ritrovo tantissimo nei riferimenti che in qualche pagina fa della scuola di oggi, ma anche del sistema paese Italia, notoriamente allo sfascio.Significativo, infine, il sottotitolo del libro “Una storia scomparsa, una città perduta”, che racchiude perfettamente il significato ultimo del romanzo: Lou Palanca pronuncia la parola fine al silenzio che ha circondato la vicenda di Luigi Silipo, riportandola, appunto, alla luce, dopo ben quarantasette anni. Una storia scomparsa, dunque, ma riportata in vita attraverso questo libro. E poi, il ricordo di una città, la Catanzaro degli anni ’60 e anche poco oltre, che non è più. Quella Catanzaro (ma qui Catanzaro potrebbe rappresentare la Calabria tutta) è perduta, perché trasformata, forse troppo rapidamente: cambiati odori, sapori, valori, per lasciar posto ad un’idea mal riposta di sviluppo, di progresso,  trattandosi di una città che si accingeva a diventare capoluogo di regione. Quell’idea, basata su storture e speculazioni di ogni tipo (si pensi all’urbanizzazione selvaggia) che stiamo pagando, ancora oggi, in termini di vivibilità sociale, culturale, economica e civile.

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