da qualche giorno è scoppiata un'accesa querelle tra lettori e blogger in merito a un libro di un'autrice YA, Julie Cross, con il suo Tempest su Goodreas e Twitter. La polemica ha travalicato i confini della rete nel momento in cui è stata riportata dal Guardian (Qui per l'articolo) che ha dilatato i confini del dibattito sulla correttezza dei giudizi che vengono proposti dai blogger e la loro "corrispondenza" con il parere dei lettori. Nel caso di specie, il libro della Cross, acclamato da parecchi, è stato invece sistematicamente demolito dai lettori sia su Amazon che su Goodreas (che, per chi non lo sapesse, è una sorta di Anobii, ossia una libreria virtuale dove i libri vengono commentati e votati), con accenti particolarmente feroci. A nulla è servita la pacata replica della Cross, che ha tentato di spiegare le proprie posizioni.
L'agente dell'autrice e altri scrittori hanno deciso di intervenire a loro volta in difesa della scrittura e, più in generale delle opere narrative. Insomma, uno scontro dove autori, blogger, editori e lettori si son levati "l'un contro l'altro armati." Risultato. Si è compreso che molti blog, in modo più o meno palese, tendono a favorire alcuni romanzi piuttosto che altri, in relazione ad accordi che intercorrono con le Case editrici che inviano i testi per la recensione. C'è solo un modo per definire questa prassi: grave scorrettezza. Mancanza di deontologia professionale. Non sembri fuori luogo parlare di professionalità: chi si assume il compito di recensire un libro ha degli obblighi nei confronti dei propri lettori che divengono sempre maggiori, via via che il "lavoro del blog" acquista spessore e profondità. Si tratta di un patto tacito ma di estrema chiarezza. Posta in gioco, la credibilità del recensore e del blog. Nessuna volontà di pontificare, sia ben chiaro. Ma questa vicenda vede indurre ad una serie riflessione, anche qui in Italia, sull'universo e sulle community di lettori: perché il lettore è il primo fruitore del blog e ne è anche l'estremo giudice. Se la recensione indica qualcosa di difforme dal testo, se le differenze tra la sensibilità del blogger e quella della platea dei lettori sono talmente stridenti e generalizzate da suscitare seri quesiti, allora è il momento di porsi delle domande.
Dal canto nostro, possiamo assicurarvi che Diario è libero. Libero. Chi ci segue sa che non è nostro costume stroncare un libro senza fornire dati fattuali che supportino le nostre considerazioni, così come le recensioni positive sono accompagnate da valutazioni approfondite. Perché il rispetto è un dato essenziale in quest'attività: rispetto per il lavoro dell'autore, dell'editor o della casa editrice. Ci sono persone che hanno profuso tempo e impegno in un'opera letteraria e, per quanto essa possa apparire scadente o mal tradotta, questo non deve divenire motivo di scherno o di attacco personale all'autore. C'è una deriva pericolosa, che corre tra le pagine del web e che è allignata in alcuni blog o forum. Con la pretesa di valutazioni indipendenti, spesso si finisce per attaccare in maniera personale gli autori o la Casa editrice che li pubblica, con toni che vanno dal dileggio alla vera e propria offesa. E' per questo motivo che, pare, l'Autrice abbia scelto di rispondere ai propri detrattori.
La domanda lecita è: dove finisce il diritto di critica e inizia l'insulto? In Italia abbiamo alcuni simpatici esponenti di questo modo di recensire che sono finiti in giudizio per diffamazione. Difficile, difficilissimo stabilire il confine tra il diritto alla critica feroce, sarcastica - legittima, anche se sgradevole - e il dileggio, condotta da censurare sempre e comunque. L'insulto, l'attacco personale, la demolizione del romanzo senza motivi reali sono da condannare allo stesso modo delle recensioni infarcite di lodi sperticate dovute non alla bontà dell'opera, ma al gadget graziosamente elargito dalla Casa Editrice di turno. Da parte di alcuni recensori, vi è la voglia di demolire romanzi e autori per scaricare le proprie frustrazioni (professionali e non). Dall'altra, vi sono i blogger che sono "parte del sistema", ossia che rappresentano una voce - più o meno sotterranea - dei gruppi editoriali. Purtroppo è innegabile. Entrambi le condotte rappresentano, per riportare il discorso a quanto detto sopra, una grave mancanza di professionalità.
Altra pietra dello scandalo, secondo l'articolo del Guardian, è l'atteggiamento delle case editrici e delle catene di distribuzione che non accettano le recensioni negative dei blogger, e la mancata pubblicazione di valutazioni negative presenti su Amazon o Goodreads. Sopratutto nel caso di Amazon, si è accusata l'azienda di Besos & C di manipolare volutamente i commenti per mettere in luce unicamente quelli positivi e così "gonfiare" i casi editoriali, specie quelli provenienti dal self publishing. Quest'accusa ha un certo fumus boni juris, specie se si tiene conto del fatto che Amazon si è trasformata in un editore on demand e che ha tutto l'interesse ha portare avanti la propria produzione.
Ora, che le case editrici cerchino di portar acqua al loro mulino, è ovvio, così come fanno gli agenti letterari. Non potranno mai ammettere che il libro che stanno pubblicando ha delle pecche, anzi: faranno di tutto per presentarlo come il caso editoriale dell'anno, come il nuovo fenomeno letterario, come il capolavoro del decennio. E' una prassi ormai invalsa nel marketing pubblicitario: ogni libro è un evento, ogni esordiente è una rivelazione. E i lettori sono sempre più disincantati: il caso editoriale è sempre più raro.
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