Blogger in cerca di (micro) fama

Da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Alessandra Zengo In quest’epoca in cui la più insignificante delle adolescenti esibisce il suo blog, forse non c’è nulla di più desiderabile di questo: un segreto. Amélie Nothomb Dopo parecchio tempo torno a scrivere sul blogging, con un articolo che sarà sicuramente impopolare. Animata da spirito autolesionista, mi accingo a redigerlo ugualmente. Come ho già avuto modo di scrivere lo scorso anno, potremmo concepire il rapporto tra blogger ed editori come la “relazione complicata” di Facebook. Le collaborazioni con gli uffici stampa, soprattutto per quanto concerne le piccole realtà, si intrecciano e sfaldano alla velocità di qualche bit: non sono state consolidate da una fisicità acquisita (incontri vis-à-vis) e, nella maggior parte dei casi, nemmeno dalla stima reciproca; si potrebbe parlare piuttosto di mero utilitarismo da entrambe le parti. Per gli uffici stampa i blog sono un medium per la promozione online, uno strumento da utilizzare (sfruttare?) per avere, con la minima spesa, il massimo ricavo. Allo stesso modo per Alice, blogger de Il bosco dei libri, il contatto con Marta della Nymeria Edizioni è la strada più efficace per ricevere copie omaggio e popolarità tramite giveaway. Inoltre è prassi consolidata fregiarsi delle innumerevoli collaborazioni – più o meno veritiere, più o meno costanti – con le case editrici maggiori.
Il primo passo è creare un blog su una piattaforma gratuita, il secondo è scrivere e-mail agli uffici stampa di qualunque casa editrice distribuita nelle librerie, chiedendo contatti anche ai colleghi, trascurando realtà più meritevoli e particolari. È quasi un dovere assicurarsi di essere notati subito dalla platea di addetti stampa, quasi non si fosse un vero blogger altrimenti. E ciò deriva da un desiderio di emulazione del proprio blogger di riferimento, da un’ingenuità derivante dall’età, e in ultima istanza dall’orgoglio e dal piacere di vedersi arrivare a casa innumerevoli pacchetti, che – se non avessero quel brutto color senape – potrebbero assomigliare ai regali di Babbo Natale. Vi immaginate un eterno Natale? Il desiderio di ogni bambino troppo cresciuto, conservato gelosamente all’interno di una cassa toracica resistente e adulta. Quando si è soli, quando non si è un soggetto professionale, quando si è squisitamente amatoriali, giunge inaspettato quel momento nel quale si vuole essere riconosciuti. E, di solito, il riconoscimento è qualcosa del quale si preferisce essere investiti dall’alto (da cui deriva, appunto, il prestigio), come riconoscimento per qualità – o velleità – di qualche sorta. Il lettore non basta, perché il lettore è impossibilitato a fregiare il blogger di un attestato di qualità (o preferenza) riconosciuto nell’ambito della filiera. La considerazione di un soggetto più importante gratifica intimamente, e dona un senso di importanza che non sempre, nella vita reale, possiamo permetterci. L’unico soggetto che può, idealmente, ricoprire di un manto di luce dorata un blogger è proprio l’editore, quel soggetto prismatico composto da una miriade di persone che adempiono a funzioni differenti per la realizzazione dell’oggetto libro. Sussiste un problema: l’investitura dall’alto è solo una fantasia, una fantasia che consola, certo, ma pur sempre costituita dalla stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; in realtà collaborare con questa o quella casa editrice non aumenta la qualità intrinseca del blog (né la stima di chicchessia), e potrebbe risultare significativo solamente a uno sguardo disattento. Nondimeno è interessante proprio in virtù del suo significato implicito. Perché bisogna essere riconosciuti da un’autorità situata qualche gradino più in alto? Perché anche i blogger sono persone, e le persone notoriamente hanno vanità, ambizione, aspirazioni che esulano dal blogging fine a sé stesso. Qualcuno si accontenta di una popolarità effimera derivante dai social network. I like, le condivisioni, i commenti adoranti sono la linfa vitale del narcisismo, l’humus fertile nel quale cullare il proprio ego. Si ha una qualche sorta di protezione, qualcosa che attesti il nostro successo in termini di numeri e persone: follower. Ciò che si dimentica, consapevolmente o meno, come lenitivo è che la rete rappresenta solo un segmento del mondo, la popolarità amplificata da poche centinaia di utenti che, nella realtà, rappresentano una percentuale ininfluente. Se la collaborazione con un editore non influisce sul prestigio di un blogger agli occhi di un addetto ai lavori, o un “simpatizzante”/“appassionato”, è pur vero che essere un blogger letterario comporta alcuni vantaggi non indifferenti. Quello più significativo è la possibilità di infiltrarsi per osmosi nell’editoria italiana, ricoprendo i ruoli più diversi: ufficio stampa, marketing, scrittore, etc. Indubbiamente il blogger condurrà un percorso “privilegiato” rispetto a persone del tutto estranee al sistema che desiderano lavorare nel campo, e questa prassi continuerà a radicalizzarsi sempre di più con il consolidamento dell’attività di blogging letterario online, e con l’aumentare dell’autorevolezza delle opinioni di operatori culturali nativi digitali, a discapito del vecchio giornalismo culturale. Ci si chiede se una simile prospettiva sia davvero auspicabile. E la domanda non è retorica. Diventare un blogger, infatti, non richiede alcun attestato, alcuna competenza verificata da un percorso di studi, nessuna capacità particolare. È la democrazia del web, applicata all’ambito letterario, nel quale ognuno, ora, può esprimere la propria opinione liberamente, al pari di qualsiasi altro. L’autorevolezza di cui parlavo prima, però, non viene verificata da criteri quantomeno oggettivi e validi per tutti, ma dall’apprezzamento del pubblico, che non coincide sempre con la qualità, a seconda del tipo di target a cui si fa riferimento. Non c’è nessuna scrematura dettata dal merito, ma piuttosto dalla popolarità. L’immagine che prevale sulla parola, in una visione (pessimista) nella quale il blogger diviene “personaggio”, condividendo il percorso d’evoluzione della figura dell’intellettuale e dello scrittore contemporaneo. Anche la sottoscritta è stata una blogger giovane e inesperta, incantata da qualsiasi piccola novità o cambiamento nella mia attività, entusiasta per iniziative frivole e inconsistenti. Lo sono ancora, per certi versi. Ricordo ancora con nitidezza l’eccitazione per la prima intervista a un’autrice straniera, la prima collaborazione, il primo pacchetto dalla Random House proveniente dall’Inghilterra… Tantissime emozioni, soddisfazioni e successi hanno costellato la mia esperienza con Diario, intrecciate – com’è normale che sia – a delusioni, amarezza e sconforto. La meraviglia, però, non dovrebbe mai abbandonare lo sguardo di chi svolge questa attività con passione e dedizione, talvolta anche con abnegazione e pazienza. Ciò che temo, come deriva quasi inevitabile dell’atteggiamento ampiamente diffuso nell’oggi, è una prassi consolidata dall’abitudine (cattiva). Quando l’esperienza difetta accade che si diventi subordinati ai desideri dell’editori, con la conseguente perdita di indipendenza, che è il fondamento imprescindibile del blogging, sulla quale si basa anche buona parte della fiducia che i lettori ripongono in noi. Nel 2013, dopo molti anni di books-blogging a livello amatoriale (soprattutto nelle piattaforme di Wordpress e Blogger), non credo si possa ancora giocare la carta dell’ignoranza. C’è bisogno, soprattutto, di responsabilità, di esempi e creatività. Il che significa nuovi progetti e nuove voci che abbiano qualcosa da dire, e lo sappiano fare diversamente dagli altri blogger. A dispetto di quello che potreste pensare, adoro il blogging, le possibilità che offre, e non dimentico le mie origini. Primariamente rimarrò sempre una blogger, qualunque altra attività nell’ambito editoriale scelga di intraprendere. È solo grazie a questo spazio virtuale – sebbene possa sembrare misero – che ho imparato e conquistato tanto nel breve periodo di quattro anni. Mi piace, però, pensare che si possa fare ancora di più per cancellare, almeno in parte, il pregiudizio riguardante questa categoria, e il processo passa per una rinnovata consapevolezza e voglia di cambiamento, di una ricerca identitaria che sia unica per ogni blogger che svolge questa attività, di una emancipazione definitiva dall’ingerenza delle case editrici, che non devono essere blandite per rispondere ai nostri interessi, non ce n’è bisogno. Ancora non è così.

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