Il prossimo 2 maggio, 150 blogger saranno in Vaticano a parlare di Web, blog, e altro ancora. Visto che tutto si consumerà in un pomeriggio, immagino che gli argomenti che rischieranno di essere accennati appena saranno parecchi. Ma è il primo passo di una strategia (vogliamo chiamarla così, come farebbero i guru del Web?), che intende riflettere sulle potenzialità di crescita che la Rete innesca, in ogni ambito.
Per come la penso io (ma chi bazzica su questo blog, o su quell’altro, dovrebbe già capire dove voglio andare a parare).
Sino a poco tempo fa si diceva che la scrittura era morta, per colpa di Internet. Adesso tra siti, blog, Twitter, Facebook siamo assediati da una marea di parole che non smettano mai il loro cicaleccio.
A che pro? Per combinare cosa? Per immaginare una nuova economia, una nuova finanza, una nuova politica, adesso che tutto sembra scivolare verso orizzonti più cupi rispetto a quanto tratteggiato dopo il crollo del muro di Berlino?
Oppure per intrattenere, per divertire, per distrarre? Ad esempio: c’era davvero bisogno di parlare così tanto di un matrimonio (sappiamo quale, vero?), quando gli argomenti seri, stanno simpaticamente masticando la vita quotidiana di tante persone? E parlo di lavoro, disoccupazione, eccetera eccetera.
Non sono sorpreso dal fatto che il Vaticano accolga la sfida della Rete, e tenti di ragionare su scenari, prospettive e collaborazioni. Qualunque sia l’opinione che si ha a proposito della Chiesa, non mi pare che ci siano molte istituzioni che per esempio, aprano la porta di casa a uno come me. E gliel’ho pure scritto: non sono giornalista, di fatto sono un autodidatta, né laurea e neppure la maturità. Sarà stato il sorteggio benevolo, certo.