Vi auguro una buona lettura e passo la parola a lui.
Scrivere un romanzo come "I Cavalieri del Nord" rappresenta per me una vittoria straordinaria. In primis perchè è la messa su carta di un'ossessione, in secondo luogo perchè temevo che quest'ossessione mi avrebbe travolto.Fin da ragazzo volevo scrivere dei Cavalieri Teutonici. Ne amavo follemente l'iconografia: le croci nere patenti, gli elmi pentolari, i cavalli dalle gualdrappe candide, la neve, l'inverno. Erano elementi straordinari, simbolici, potenti.Ma come fare a narrare un mondo perduto come quello? Non vi dico quello che ho provato quando ho scoperto che - nel tredicesimo secolo - avevano dominato perfino la Transilvania.Circa due anni fa, però, mi sono imbattuto in un libro straordinario: il Chronicon Livoniae. Si tratta del resoconto che Enrico di Lettonia, storico del tempo, vergò di suo pugno, raccontando La Crociata del Nord dal 1184 al 1227. L'edizione curata da Piero Bugiani e edita da Books & Company, con testo a fronte in latino, è in questo senso un piccolo miracolo.
Partendo dunque dalla fonte primigenia ho poi sviluppato infiniti studi su monografie che mi consentissero di maturare un substrato storico e rigoroso sul quale piantare la mia palafitta narrativa. In questo senso William Urban e Eric Christiansen mi hanno fornito bussola e sestante per orientarmi nel mondo delle Crociate del Nord. Loro più di tutti, certo, anche se a questi due testi fondamentali dobbiamo aggiungere un'infinita congerie di monografie, carte, saggi.
A Quel punto ho dovuto fare una scelta di metodo. Volevo che il mio romanzo fosse epico e che avesse un respiro fantastico, tale da insufflare la vita nell'architettura storica.Umberto Eco, Sebastiano Vassalli, Michael Punke e la Canzone dei Nibelunghi facevano al caso mio. I primi tre sono autori che ho venerato in momenti diversi della mia vita e che adoro tuttora, sono - per quel che mi riguarda - i veri fondatori di questa commistione magnifica che è storia e fantastico, che poi - a ben vedere - è uno dei cardini narrativi sui quali s'innesta la spina dorsale stessa del romanzo. In particolare "Il nome della rosa" di Eco, "La Chimera" di Vassalli e "Revenant" di Punke sono altrettante bibbie, che ho tentato di mandare a memoria. "La Canzone dei Nibelunghi" invece aveva quell'afflato epico ma crudele, figlio del nord, del gelo e del sangue che volevo dare alla mia "lettura" dell'Europa Nordorientale del XIII secolo. E poi c'erano personaggi come Crimilde che per aver perduto l'amore della sua vita - Sigfrido - non esita a sterminare tutti i Burgundi. Vi viene in mente qualcuno?
altre hanno comunque plasmato il confine fra storico e fantastico e, in questo senso, due romanzieri come Conn Iggulden e Andrzej Sapkowski sono araldi straordinari di simili commistioni.
E in ultima c'è la lettura più varia e diversa. Dal fantasy al thriller con forti iniezioni di pulp fiction vale tutto. Mi accorgo anche di leggere una marea di romanzi in lingua inglese e tedesca. Credo sia anche per questo che la mia scrittura - che pure è figlia dei grandi maestri europei in termini di studio e ispirazione - ogni tanto si imbizzarrisce in sequenze di pura azione e ritmo sfrenato figli delle suggestioni a stelle e strisce e magari di quei meccanismi narrativi tipici del comic americano e del manga che tanta parte hanno nelle mie nottate di lettura.
Un post molto interessante, mi sono segnata un sacco di titoli^^ Avete letto: I Cavalieri del Nord o qualche altro suo libro? Da qui potete scaricarne un anteprima. Preparatevi all'arrivo del freddo inverno, a grandi battaglie e a Kira e Wolf!
p.s. La prossima tappa è domani da MissTortellino ;)