Blood, nelle sale dal 27 giugno, regia di Nick Murphy, è pubblicizzato come “il nuovo Mystic River”.
Beh, non lo è.
Ma i personaggi sono monodimensionali: Paul Bettany (Joe) è poco credibile nel suo ruolo, risulta odioso sin dalla prima scena, il fatto che commetta un omicidio a inizio film non sorprende lo spettatore, che per tutto il resto della pellicola spererà che suo fratello Chrissie (Stephen Graham, per chi scrive impossibile a vedersi in un ruolo che non sia di Combo di This is England) faccia la spia.
Infine, c’è Mark Strong, che è più adatto ai ruoli da cattivo del tipo Un poliziotto da happy hour, che è il poliziotto zen. Così zen che diventa paranormale. Scopre la verità con la sola imposizione delle mani.
Il film si trascina lento, tra momenti noiosi e scene isteriche spesso immotivate. La scelta di far apparire il fantasma di Jason Buliegh come oggettivazione della coscienza del suo assassino è più che obsoleta. William Friedkin era certamente più bravo nel raccontare storie di poliziotti che commettono crimini, e ci sono centinaia di pellicole in cui il rimorso di coscienza viene reso in modo migliore. Qui, per lo più, piangono.
Anche i simboli, le frasi rivelatrici, i parallelismi sono scontati: ad esempio, quando il giovane Sammy tradisce Darrel, lo spettatore subito pensa a Chrissie e a Joe. E si dice: “Mo lo tradisce”.
Altre scelte sono messe in scena talmente malamente da far sorridere: il tatuaggio fatto con il pennarello, o la scena della mattanza i cui sembra sia stato sgozzato un maiale di due quintali.
Alla fine resta un interrogativo: Joe è colpevole perché uccide una persona innocente (e minaccia un uomo con problemi mentali ed emotivi), ma per Nick Murphy lo sarebbe stato anche se Jason Buliegh fosse stato l’assassino?
Written by Silvia Tozzi