Blue collar rock

Creato il 21 novembre 2014 da Maurozambellini


Negli anni ottanta per reazione alla musica sintetica e di plastica che riempiva le classifiche e le radio si cominciò a parlare di blue collar rock, di rock operaio, con riferimento alla musica che band e musicisti legati ad un contesto proletario suonavano negli Stati Uniti. Non era un vero e proprio sottogenere perchè come tutto il rock classico derivava dal rock n'roll degli anni cinquanta, dal blues e dal rhythm and blues ma gli autori di questa musica possedevano un low profile indistinguibile dai fruitori e dal pubblico a cui si rivolgevano, spesso come loro ragazzi della porta accanto e figli di quella classe operaia bianca che abitava i sobborghi delle città industriali della East Coast degli Stati Uniti. Città come Pittsburgh, allora capitale della siderurgia, Detroit, il New Jersey, Cleveland, divennero i centri di un rock sudato, sanguigno e spavaldo che cantava di fughe da una realtà che un ceto sociale basso aveva decretato come immutabile e stabilito ed invece questi rockers minavano alla base usando le chitarre per sogni di riscatto, vite diverse, aspirazioni fuori dalla fabbrica, amicizie, amori e futuro dignitoso. Orgogliosi ma intenzionato a giocarsi con la musica una chance per una vita migliore (cosa che i neri facevano con la boxe o il basket), questi rockers erano lo specchio del loro pubblico, ne condividevano mentalità, cultura, cuore e valori, oltre a possedere l'attitudine di chi sul palco dava il tutto e per tutto, come fosse una questione di vita e di morte. Da lì, da quel girone in tuta blu del rock sono usciti Bruce Springsteen, valga a simbolo la sua Factory per come un figlio "fuggiva" la vita di merda del padre, Bob Seger, Joe Grushecky, John Mellencamp sebbene in un ambito più rurale, John Cafferty, Steve Earle pur con le differenze dell'essere un texano a Nashville, Charlie Pickett, anche i Blasters a ben vedere, con caratteristiche legate al rock n'roll fifties e appartenenti alla vasta area di sobborghi di Los Angeles, e altri nomi minori che comunque traducevano una delle verità più profonde e sotterranee della musica rock ovvero che questa musica non comincia e non finisce con le superstar ma con i cento e cento dischi dimenticati che brillano lo spazio di un istante. Gli anni seguenti hanno un po' cambiato lo scenario, alcuni di quei blue collar sono diventati delle star ma non hanno smarrito, è il caso di Springsteen, il sentito legame con le radici e l'ambiente da cui sono usciti, lo testimonia la popolarità che gode ancora oggi nelle città della cintura industriale della East Coast, ma la definizione blue-collar ha perso un po' di smalto e ragione, in virtù del fatto che la classe operaia è stata ridimensionata dalla crisi e certe roccaforti industriali si sono trasformate (Pittsburgh) o degradate (Detroit), finendo come termine nell'essere usato, a volte a sproposito, come una etichetta vetusta ed ingiallita per band dalla dimensione locale, proprie di un sottobosco marginale e localistico, solitamente confinato a club e bar e a qualche disco realmente indipendente. Ne è un esempio GB Leighton di Minneapolis col suo Live From Pickle Park, anche se la scena cosidetta americana ha talvolta partorito nomi ascrivibili all'universo blue collar mediati con una matrice rurale e country-folk.

 Proprio la fusione di americana con l'attitudine orgogliosamente blue collar di un rock di serie B dà modo di apprezzare due dischi interessanti recentemente usciti sul mercato . Il primo, e di certo più eccitante è The First Waltz degli Hard Working Americans, sigla sotto cui si nasconde un supergruppo formato da personaggi minori ma validi del rock Usa, come il cantante e songwriter Todd Snider, il bassista dei Widespread Panic Dave Schools, il chitarrista di Chris Robinson Brotherhood (e Ryan Adams) Neal Casal, il tastierista Chad Staehly (Great American Taxi) ed il fratellino di Derek Trucks, Duane, alla batteria. Hanno debuttato nel 2013 in un concerto a Boulder in Colorado e nello stesso anno hanno pubblicato l'eponimo album registrato negli studi di Bob Weir a San Rafael in California. Danno il meglio di sé in concerto, scelta quasi obbligata per una blue collar band, considerando il fatto che il disco d'esordio era composto interamente da cover. The First Waltz, titolo di caustica ironia low class, è un rockumentario in DVD che assembla prove di concerto, spezzoni di show a Boulder, Nashville e San Francisco, racconti personali, scene di strada, estratti di registrazioni in studio, corredato da un CD che funge da colonna sonora del film. Ne esce una fotografia variopinta ed eloquente di una ruvida band di strada che si muove tra roots e southern rock, blues, jam psichedeliche e folk con una musica pulsante, sanguigna, onesta e coinvolgente. L'identità di quelle che erano definite bar-boogie band qui in possesso di un contagioso groove che apre a jam, strumenti a ruota libera, riletture sciolte, improvvisate, per nulla canoniche. Una band che dal vivo è garanzia di divertimento e sano rock dal basso, giusta attitudine e feeling d'assieme, basta ascoltarsi la lunga Mission Accomplished che altro non è che una jammata rivisitazione di Willie and The Hand Jive per accorgersi che questi Hard Working Americans sarebbero capaci di farvi perdere la testa se per caso venissero a suonare sotto casa.

 Un mix di Black Crowes, NMAS, Bottle Rockets con il piglio dei blue-collar rockers e l'inventiva della band  californiane, anche se di base pulsa un rock sporco di blues, autostrade e Memphis. Proprio l'origine dei brani coverizzati svela la natura "proletaria" degli HWA, canzoni di autori non troppo di fama, che appartengono al sottobosco della musica roots e del rock provinciale, è il caso di Kevin Kinney e della sua Straight To Hell, brano che era su un disco dei Drivin n' Cryin oppure di I Don't Have A Gun di Tommy Womack, rock writer conosciuto da una cerchia ristretta di appassionati. La prima è una ballad segnata dalla voce straziata di Snider e da una lap steel malinconica, scaraventata all' inferno da un lancinante assolo di elettrica, la seconda sembra estratta da un disco di Chris Robinson Brotherhood. Appartengono allo stesso mondo dei B-records Down To The Well (solo sul DVD) di Kevin Gordon, lo scalpitante country-rock Stomp and Holler di Hayes Carll e la serrata Another Train di Will Kimbrough mixata con la cruda Workingman Blues mentre dal repertorio folk di Gillian Welch e David Rawlings arriva la delicata Wrecking Ball. Ma sono altre tracce a definire al meglio il set blue collar degli HWA, la scura ed ipnotica Blackland Farmer, misto di notturno blues, rimandi hillbilly e foschie roots che si alzano in una ubriacante coda strumentale, la già citata Mission Accomplished, una acida e doorsiana Guaranteed e quella The Mountain Song all'insegna dei Grateful Dead che va a braccetto con una delle quotes che accompagnano il disco, scritte nel booklet interno, ovvero Jerry Garcia è importante come Benjamin Franklin ed il rock n'roll ha lo stesso valore della Costituzione. La classe operaia va in paradiso.

Che il blue-collar rock non ne faccia una questione di quote rosa, ovvero chi sa suonare col cuore e con l'anima venga avanti, non importa se maschio o femmina, lo dice il nuovo disco di Mary Cutrufello, Faithless World. Lo scalpore che accompagnò il suo debutto nel mondo discografico, prima un album autoprodotto e poi nel 1998 When The Night Is Through per la Mercury, è ormai un lontano ricordo, con gli anni la tenace cantante e autrice di Houston (ma cresciuta nel Connecticut) è rimasta relegata al circuito marginale dei piccoli club e bar. In Italia c'è venuta parecchie volte e chi l'ha vista dal vivo sa che se il clamore è svanito, questo non si può dire della sua grinta e delle sua onestà artistica. Faithless World sembra quasi una ripartenza per una cantautrice rock che da giovane ha idolatrato Springsteen e col tempo si è costruita una sua personalità tra songwriting rock e radici. Brava nello scrivere, la Appaloosa offre la possibilità di leggere i testi del disco tradotti in italiano, Mary Cutrufello possiede una voce rauca e grintosa che si adatta al suo rock arrembante e alle sue storie di perdenti e illusi, ne è esempio l' inizio del disco con Cold River e Promise Into Darkness, due brani che avrebbero fatto la felicità di quanti sull'onda di Darkness e The River si sono messi ad imitare il Boss. Il mondo di Mary Cutrufello si consuma in stanze di motel, nelle strade della vasta provincia americana, in città anonime, in relazioni fallimentari e occasioni perdute, un universo proletario che pur non direttamente legato alla classe operaia ne riflette la precarità, la miseria, il desiderio di agganciare un ultima chance. Mary Cutrufello ha una verve ruvida e texana, tutto Faithless World parla un linguaggio diretto, senza fronzoli e autoindulgenza, ma radicato nel rock. Basta arrivare al terzo brano, Lonesome and The Wine, una storia di solitudine e tradimento in un fugace incontro nel bar di un hotel, per accorgersi che tra gli amori della Cutrufello oltre al Texas e al Boss ci sono gli Stones di Dead Flowers e quel modo di fare country fuori dagli stereotipi e da Nashville che è la cifra stilistica di Steve Earle. In Worthy Girl, non sono una ragazza degna e non voglio saperne del tuo amore, la cantautrice mostra il suo lato riot girl, la voce è aspra, le chitarre mordono ma è l'organo di Tommy Barbarella a dare spessore al brano, una presenza importante anche in Promise Into Darkness e Fool For You, quest'ultimo un rockaccio tutto nervi urlato con la rabbia dei bassifondi. La tensione si allenta in Fools and Lovers ed in Three Broken Hearts altro episodio da roadhouse dove gli uomini si succedono in camere di motel senza amore e lei rimane con un grande vuoto nel cuore, lasciandosi scappare l'unica occasione per cui valeva la pena tentare. Ci pensa la ferrovia di Santa Fè (Santa Fe Railroad) a portare un po' di conforto, qui il country è solo uno sfondo per una ballad dai colori western in cui primeggia il tocco della lap steel di Mike Hardwick e la Cutrufello si fa carico di una calda nostalgia. Di coraggio ed orgoglio ne ha la Cutrufello, per come ha vissuto la sua vita, per come ha gestito una carriera di alti (pochi) e bassi (tanti) ma chiudere un disco con una Canzone sulla Fed-Ex non è da tutti. Inventa un roots-blues agro e polemico dove lei veste i panni di un esausto corriere con la schiena rotta che fa le sue ingombranti consegne in mezzo alla neve e al casino totale dopo aver guidato tutto il giorno, mandando a quel paese lui e quei posti di merda in cui vivono. Ribelle nei modi, blue-collar nello spirito, è un Mondo Senzafede ma l' indomita Mary Cutrufello ci ha fatto il callo.



MAURO ZAMBELLINI


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