Blue jasmine

Creato il 01 marzo 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Blanchett da Oscar. Allen da applausi

Allen torna negli States e abbandona la favola per abbracciare il dramma. E, disegnando un carattere femminile gigantesco, mette in scena una pellicola sull’orlo di una crisi di nervi, che esibisce melanconia e nichilismo.

Jasmine, reginetta di Park Avenue, era sposata con l’uomo d’affari Hal, che la viziava e lusingava. Tuttavia Hal era un truffatore e la fine del loro matrimonio porta Jasmine sull’orlo della bancarotta e dell’esaurimento nervoso. Dipendente dagli antidepressivi, Jasmine si trasferisce a San Francisco dalla sorella Ginger.

Brillantemente tragico, Blue Jasmine (2013) è il grande ritorno di Woody Allen che, saltellando dall’altolocata New York all’assolata San Francisco, disegna la parabola discendente di Jasmine, donna dell’alta borghesia, che a causa del fallimento del marito (fedifrago) passa dalle stelle alle stalle. Ed è da qui che Allen parte per raccontare una vicenda tragicomica, che mette in mostra un’altalena di emozioni e una musa dal carattere arrogante e dall’anima a pezzi. Tuttavia Allen non nasconde la compassione, mantiene la leggerezza come sottofondo emotivo, mentre il disastro si va lentamente affacciando. Un film che oscilla (in modo impazzito) tra presente e passato, nel quale la negatività si disegna sul volto di una Cate Blanchett fantastica e protagonista di una resa interpretativa che supera ogni limite. Difatti la Jasmine protagonista parla da sola e ha sempre un bicchiere in mano. Il risultato è uno schizzato monologo, nel quale il passato riaffiora dolorosamente, nel quale la favola non si può palesare perché non esiste. Allen pare abbia voluto abbandonare le fiabe per dedicarsi a qualcosa di più aderente alla modernità: il viscerale nichilismo di un’alta società in disarmo. E tutto ciò fa brillantemente capolino all’interno di Blue Jasmine, una pellicola che è contrappuntata da autorialità e maturità di scrittura. Perché Allen racconta l’ambiguità morale di una certa condotta di vita e si permette (anche) di narrare il ceto basso in modo grottesco, ma mai bizzarro quanto Cate Blanchett in tailleur.

Il lucido sguardo alleniano sul mondo è la prova che il cineasta respira ancora. Guarda con scarso ottimismo la società e, pur provando compassione per la sua creazione (femminile), non le risparmia nulla, quasi a volerla sacrificare sull’altare della “tragedia dalla risata isterica”. Tornato in grande forma con una sceneggiatura, che fa del flashback l’elemento distintivo e narrativo, Allen ci consegna l’ennesimo “mostro” dell’upper class newyorkese: contradditorio, ridicolo e dolorosamente melanconico. E un pianto liberatorio su una panchina può essere decisamente un toccasana.

Uscita al cinema: 5 dicembre 2013

Voto: ****


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