Potevano dirlo prima, che questo terzo lunedì di gennaio è denominato blue monday, mi sapevo regolare.
Non davo peso agli incubi angosciosi che hanno popolato la mia parte di piumone verso l'alba. Non davo peso neppure alla mezza lineetta di febbre di Ettore, che sprizza di vitalità e ha le occhiaie appena appena azzurrine, ma ride e cucina le sue verdure di plastica dura.
Potevo godermi di più la camminata rapida dopo pranzo, col sole lattiginoso e i maglioni sovrapposti, e magari prendere il caffè in pasticceria, invece che questo nescafè sbagliato (il famoso nescafè sbagliato), vale a dire troppo forte.
Ormai è fatta, mi conviene proseguire con il mio impaginato a testa bassa, come un monaco silenzioso e ubbidiente, come quella che non sono o forse come quella che - se si impunta - so essere fin troppo bene. Andare al sodo, dire poche parole ma ragionate, mangiare cibi semplici e sostanziosi, leggere qualche pagina di carta invece che iniziare l'ennesima serie tv.
Mi manca quello che eravamo, mi sono sentita dire diverse ore fa.
Forse era già il blue monday che iniziava a filtrare dalla fessure, perché quello che siamo e che possiamo essere non è affatto male, devo solo alleggerire, e riderci sopra.
e rimettermi in gioco.
foto di vivian maier