Professore, ci sono anche fiori che non sbocciano?
I fiori sono fatti per sbocciare, non per appassire. Ho deciso di pensarla così.
Toshiaki Toyoda
Giappone, 2001
Asahi High non è la scuola superiore in cui vorreste mandare vostro figlio: tra mura scrostate e edifici vandalizzati, studenti teppisti – nel migliore dei casi – considerano unirsi alla yakuza una valida opzione per il loro futuro. Il boss di questa malsana società è il vincitore di una rischiosa prova di coraggio, Kujo (un bellissimo e bravissimo Ryuhei Matsuda), più interessato a scacciare la noia che a esercitare un reale potere sui compagni.
Si cantano canzoni sull’adolescenza, la si dipinge come la più bella delle età, in cui si sboccia e ci si prepara a fiorire alla vita, in un tripudio nostalgico per i giorni spensierati dei primi amori e delle piccole ribellioni innocenti.
La verità, però, è che non ci sono anni più crudeli. Non sai chi sei, cosa vuoi e tantomeno cosa diventerai, il mondo si aspetta tanto e non ti concede niente, e tra coetanei a volte c’è una vera e propria lotta per la sopravvivenza, nella quale il più debole riceve lo stigma dell’emarginazione e ferite che spesso non si rimarginano più.
Nelle immagini di Toshiaki Toyoda, la brutalità assurda e spietata dei protagonisti di Blue Spring diventa poesia. Una colonna sonora punk, disperata (che mi ricorda tanto la mia, di adolescenza), rincorre Kujo e gli altri senza mai raggiungerli, graffia, picchia forte e fa male, proprio come loro. E alla fine, non si sa come, dietro a tutto quello sporco nasce un film stupendo, da lacrime agli occhi e cuore accelerato, e ti pare quasi di vederlo, un piccolo fiore che fa capolino sotto al fango.