Io non ho simpatia per Renzi, ma di sicuro non è uno sprovveduto: se si è sottoposto ad un’esposizione d’immagine che ha sconcertato anche molti dei suoi sostenitori, lui così abile nel trovare e gestire il consenso, significa che l’obiettivo da raggiungere travalica la necessità di riforme il più ampiamente condivise. La partita che si sta giocando, con Renzi a dare sempre la mano, riguarda il riposizionamento politico generale, con annessi elettorati di riferimento. Il segretario democratico ha adottato una strategia spregiudicata, machiavellica; una strategia in cui ha investito molto del consenso guadagnato e che, se fallisse, potrebbe ridimensionare drasticamente le sue ambizioni. Ma se riuscisse a portarla a compimento, guadagnerebbe prestigio e consenso, ritagliandosi una posizione di stabile centralità nella scena politica italiana, fino ad essere identificato dall’opinione pubblica come l’unico padre fondatore della Terza Repubblica.
Quanto scritto esula dal mio personale giudizio di merito che, di norma, sono abituato ad esprimere a bocce ferme. Ribadendo la mia scarsa simpatia per Renzi, ciò non m’impedisce di giudicare positivamente il suo approccio da segretario, anche se ultimamente ha calcato troppo la mano, con atteggiamenti scorretti nei confronti di importanti esponenti del suo partito. Ma anche questi atteggiamenti credo che vadano inseriti in un contesto più ampio della caduta di stile nella dialettica interna. Piuttosto andrebbero letti nella prospettiva di un allargamento del recinto del Pd, ma Renzi deve stare attento a non tirare troppo la corda. Sempre che nei suoi piani non rientri anche la scissione della sinistra del partito, cosa che, in una prospettiva elettorale, potrebbe favorire il suo personale consenso tra i moderati e parallelamente la creazione di una sinistra autonoma che potrebbe diventare la sua interlocutrice affidabile e privilegiata, se non principale alleata, nell’ottica del governo del paese.