Firenze non è solo una città d'arte.
Firenze è arte trasformata in città.
Ce n'è così tanta che pare quasi d'avanzo: la incontri per strada, in piazza, come se nulla fosse, la puoi toccare, ti ci puoi quasi assuefare - tanta bellezza che sboccia all'improvviso, in ogni angolo, che non sai più dove guardare, per cosa meravigliarti.
Ti aspetti ormai di trovarla in ogni angolo, eppure riesce ancora a stupirti, perché non sai mai esattamente cosa sarà, come sarà, quale forma di bellezza plasmata nel marmo, quale tipo di grazia costruita attraverso i mattoni e la pietra: così varchi la soglia austera e nobile di Palazzo Pitti domandandoti quale declinazione assumerà tutta questa arte, questa grazia, questa bellezza nel verde del Giardino di Boboli.
Il Boboli è quasi un giardino segreto: per chi non conosce bene la città è difficile sospettarne la presenza anche quando ne si costeggiano le mura di cinta; forse perché si è distratti da tutto quello che c'è attorno, da palazzi, statue, cortili, ex voto da trangugiare con gli occhi - e anche la mole di Palazzo Pitti lo nasconde come un'invalicabile guardia del corpo.
Fa parte del gioco d'incastri fra il verde delle colline e le tinte tenui e calde di tetti e marmi con cui è costruita Firenze - gioiello prezioso di pietra dura tenuto in palmo di mano dalle curve lente e sinuose delle colline toscane, ha questo cuore pulsante incastonato fra le mura del palazzo, plasmato da sapienti mani umane, ma fatto della stessa sostanza della natura che la circonda.
Il Boboli è un giardino che nasce come rifugio, silenzioso e bello, nascosto nel cuore della città, per chi la città la dominava - i Medici prima, i Lorena poi ed infine i Savoia.
Un rifugio in salita, che si eleva sopra la città e che permette di averla sempre sotto gli occhi.
Per dominarla. Per proteggerla. Per non scordarsi mai il proprio ruolo. E il dovere ed il prestigio che da esso derivano.
Il Boboli è un esempio magistrale di giardino all'italiana in cui nulla è lasciato al caso, regolamentato da un progetto di precisione ed armonia costruito a tavolino eppure metafora di una bellezza più grande.
E' una declinazione in verde della filosofia dell'arte rinascimentale, fatta di sublimazione, di idealizzazione, di esterno che si fa metafora e simbolo dell'interno, della perfezione virtuosa, divina a cui anela.
Oggi, c'è da dire, questo verde ha l'aria un po' spenta: l'impianto sobrio del suo disegno iniziale finisce per sembrare a tratti quasi spoglio; ma si riescono comunque ad intuire le impostazioni eleganti che dovevano esserci in tempi di maggior ricchezza e maggiore cura.
Resta, poi, la meraviglia di trovarsi a passeggiare in un museo all'aria aperta, dove le opere non sono esposte in teche ma fra le siepi - e il vagare in silenzio nel labirinto geometrico dei filari di bosso, sulla ghiaia bianchissima e polverosa, non è fine a stesso, ad un momento di relax e tranquillità; ma diventa anche una caccia al tesoro di fontane, statue, grotte.
Grotta del Buontalenti
La Grotta del Buontalenti di rinascimentale ha anche le metafore che dice e non dice, un po' da iniziazione esoterica, un po' da seduzione erotica.
E' come una vera grotta, fatta di finte stalattiti e stalagmiti, che mi ricordano le costruzioni sulla spiaggia che facevo da piccola al mare, chiudendo la sabbia bagnata nel pugno e poi facendola colare verso il basso.
Ci sono tre stanze: la prima è come un inizio, una trasformazione, la metafora di un'alchimia - la materia informe e gibbosa delle stalattiti sembra evolversi, plasmarsi. Dalle colonne spugnose si formano tanti animali e figure umane, che si mescolano, si muovono, prendono vita.
Grotta del Buontalenti - Paride rapisce Elena
Nella seconda stanza Paride rapisce Elena, il cuore vince sulla testa, l'istinto sulla logica, supera gli schemi ed i doveri, le conseguenze ed il buon senso e raggiunge quella che è la sua unica verità, la sua unica ragione di esistenza.
E questo porta alla terza stanza, con Venere che trionfa, perfetta nella sua bellezza, portatrice dell'amore che è metafora di armonia, dell'unico stato di perfezione che a noi umani è concesso poter sperimentare.
Ed è una storia che si ripete anche fuori dalla Grotta, sotto le inaspettate spoglie del grasso Bacchino deforme che cavalca una tartaruga, seminascosto a lato dell'ingresso.
Ma questa è una storia che vi ho già raccontato sulle pagine de I Viaggiatori Ignoranti: clicca qui per leggere l'articolo.
Da qui si sale, si incontra Nettuno che si erge su uno specchio di acqua verde, si incontrano personaggi usciti dalla mitologia greca ed un'enorme volto frastagliato che cerca di guardare oltre alle siepi, verso il cielo.
Giardino del Cavaliere
Si arriva fino al Giardino del Cavaliere, un casotto recintato che cinge un'armonia geometrica di rose e di aiuole.
Siamo in alto, si sale per arrivare fin qui, ma dolcemente, quasi senza accorgersene.
Oltre alle siepi di rose si affacciano i filari verdi delle colline: la città ce l'abbiamo alle spalle, sotto di noi.
Grazia costruita dall'uomo e grazia costruita dalla natura, mediate da questo piccolo gioiello verde, che è entrambe le cose.
Da qui si possono vedere entrambe. E, volendo, si possono anche amare entrambe.
Il ché, del resto, è molto rinascimentale...