Bogotà: una scarpa si, una scarpa no

Creato il 17 febbraio 2014 da Sara
Questa signora andina, seduta sul marciapiede a vendere i suoi ricami  all’angolo del nostro bel albergo "de la Opera" in Calle 10 con ai piedi una scarpa si e una scarpa no, ombre e luci, ricchezza e povertà, fermento progressista di un paese che a vista d'occhio sta facendo passi da gigante e sacche di arretratezza, mi è sembrata perfetta per sintetizzare le prime impressioni  in fondo confermate a fine viaggio di  Bogotà e della Colombia in generale. Tanti tanti contrasti come in altre latitudini del mondo e l’osservazione manca certo di originalità visto che anche nella mia vecchia Europa apparentemente ricca ed efficiente abbondano contraddizioni e pletore di cose che non funzionano, ma diciamo che sono meno visibili, meno immediatamente riconoscibili.
Oltrepassate nuvole e brume durante l’atterraggio subito il primo sguardo sulla Cordigliera e sul modernissimo  aeroporto, poi in pulmino in direzione dell’albergo si incontrano grattacieli e condomini dei quartieri residenziali, favelas e vecchie case coloniali diroccate o restaurate, coloratissimi murales e due giovani che si baciano, gran bella cosa, mi mette sempre allegria.
In alto, il cerro de Monserrate, grande orgoglio della città, che domina sull’intero paesaggio con la sua chiesa bianca edificata nel primo novecento dopo che la cappella originaria era stata distrutta da un terremoto nel 1917. La guida dice che da là in alto si gode di una vista mozzafiato sui 1700 chilometri quadrati di Bogotà e che rappresenta un’importante meta di pellegrinaggio  per la presenza della statua dell’altare del Senior Caìdo (il Cristo caduto) risalente al 1650 circa al quale sono stati attribuiti numerosi miracoli, ma non ci siamo andati né scarpinando per 1500 gradini, né con la funivia né con la funicolare come era in programma perché il cielo era sempre coperto,  la pioggia in agguato e non si sarebbe visto niente. Non dimentichiamoci che in pieno clima tropicale e con temperatura più o meno costante tutto l'anno, Bogotà, la Santa Fe dell'epoca coloniale, si è sviluppata a est delle montagne e si trova a 2625 metri di altezza. Una metropoli, o forse dovrei chiamarla megalopoli, di quasi otto milioni di abitanti.

L’hotel de la Opera, dipinto dello stesso rosso dei palazzi liguri, con due bei cortili all’interno di due case coloniali si trova alla Candelaria, lo storico quartiere centrale della città che concentra tutti i palazzi del potere, ministeri e sede della presidenza della repubblica e  tutte le cose che interessano i turisti, girovagare a piedi per piazze e vicoli, musei, belle case settecentesche restaurate di architettura moresca o ispano-moresca,  pavé acciottolati, ma non mancano anche, a proposito di una scarpa si e una scarpa no, edifici in rovina e costruzioni più recenti. L’hotel deve il suo nome all’adiacente Teatro Colòn, il Teatro Nazionale, con la sua bella facciata progettata a fine 1800 da un architetto italiano, tal Pietro Cantini. Pare che all’interno  sia sontuosamente decorato ma è chiuso per restauri e si poteva intravedere qualcosa solo da una finestra.
Diversamente da Milano o Tel Aviv per esempio,  qui succede che il ceto medio più o meno benestante non viva nel centro storico a sud, ma in quartieri residenziali moderni nelle parti a nord della città e ho notato la stessa cosa a Panama, ultima tappa di questo viaggio. Purtroppo avviene anche che a mano a mano che i quartieri storici vengono restaurati, il mattone sale alle stelle e gli abitanti abituali non ce la fanno a sostenere i nuovi prezzi finendo per doversi allontanare verso le periferie e i loro luoghi tradizionali cadono nelle mani di  nuovi proprietari, speculatori e stranieri; oltre che in centro e sud America ho particolarmente riscontrato questo fenomeno anche a Praga, a Berlino, alla Havana giusto per citare città che hanno intrapreso grandi lavori di salvaguardia e ristrutturazione del patrimonio architettonico del loro centro storico.
Nella mia centralissima stanza d'albergo ho anche un balconcino, postazione di osservazione che notoriamente prediligo, alle nove di sera i cani randagi giustamente pasteggiano, gli ultimi passanti si affrettano verso casa e nel giro di pochissimo tempo per le vecchie strade della Candelaria ci sarà il deserto e silenzio assoluto. 
Guardando per terra mi è subito chiaro che andando in giro i miei occhi dovranno fare un duplice lavoro, lo sguardo in su per osservare palazzi e monumenti e in giù per evitare cacche di cani e buche, non deve più succedermi come a Vigna del Mar in Cile di ritrovarmi in ospedale con 15 punti di sutura sul ginocchio per un tombino dissestato. Dovunque targhe persino in latino per l'eroe Simon Bolivar liberatore della patria e poliziotti di tutti i tipi, con cane al guinzaglio o con mitra spianato. In un punto equidistante dai due fiumi San Francisco e San Agustin Plaza de Bolivar, con al centro la statua in bronzo del Liberatore, è il cuore della Candelaria, concepita al tempo come luogo emblematico dell'autorità spagnola. La Plaza de Bolivar è immensa, tradizionale punto di partenza per le visite di Bogotà presenta vari edifici pubblici di diversi epoche e stili architettonici. C'è il neoclassico "Capitolio Nacional" sede del Parlamento della Repubblica, la Cattedrale "Catedral Primada", il Palacio Liévano in stile francese sede del municipio cittadino e il recente Palazzo di Giustizia che ha sostituito i due precedenti dati alle fiamme dalla folla e distrutti in momenti difficili della vita politica del paese; sul frontone sono incise le seguenti parole: "Colombianos: las armas os han dado independencia. Las leyes os daran libertad". In piazza c'era gran fermento, manifesti, dichiarazioni al microfono, raccolta di firme, tende piantate per una evidente protesta in atto, ma non sono riuscita a capire per chi e perché, "contro il sindaco" mi è stato genericamente detto.
Nelle strade adiacenti la sede del senato, vari ministeri e Casa de Narigno, il presidenziale edificio neoclassico di primo novecento che nel suo giardino ospita anche un osservatorio astronomico. Visti passeggiando per la Candelaria case di personaggi importanti nella storia del paese, diversi istituti universitari ( ce ne sono 12 a Bogotà ma tutti privati e uno solo è statale),  l'antico Collegio Salesiano con la chiesa dedicata a Don Bosco, il Museo Militare con i carri armati in bella vista in cortile; in America latina si sentono sempre molto forte presenza e importanza di militari e Armada.Ricchissima la chiesa delle Carmelitane fra intarsi, ori e stucche e delle rappresentazioni femminili per le quali una compagna del gruppo, storica dell'arte, ha fatto riferimento a copie di Francisco de Zurbaràn, il "Caravaggio spagnolo", grande mistico del secolo d'oro della Spagna. Personalmente mi hanno impressionato un grande, drammatico murales dedicato alla Pachamama, la Madre Terra: "Madre Terra soffriamo e lottiamo con te" e il chiostro restaurato di San Agustin al cui interno su un muro c'era scritto: "La Tierra no es una herencia de nuestros padres, sino un préstamo de nuestros hijos" Antiguo refràn indio (la terra non è un'eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli). Attribuito alla tradizione ebraica ho  sentito spesso esprimere questo concetto dal mio Maestro di ermeneutica biblica Haim Baharier e a Bogotà scopro con stupore che fa anche parte e espresso con le stesse parole dell'antico patrimonio andino.    
In giro ho anche visto questo cartello: la compreresti la giacca di uno che è stato assassinato? E allora perché compri il suo cellulare?
Acquistare un cellulare rubato è come rendersi responsabili di un delitto che non si è commesso.
Non farlo
Fa riflettere questa campagna di sensibilizzazione del governo colombiano......
    

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