Era il primo maggio 2006 quando Evo Morales, presidente della Bolivia, emetteva un decreto con il quale nazionalizzava il settore degli idrocarburi per –come recitavano le sue parole- ¨recuperare la proprietà, la possessione ed il controllo assoluto¨ del sottosuolo del Paese. Una mossa per molti versi azzardata, che richiamava sulla Bolivia l’ira delle multinazionali e che apriva sulla gestione Morales, un futuro incerto.
A sette anni da quei giorni i numeri parlano ora completamente a favore del governo boliviano. Il settore ha infatti generato entrate per 19.000 milioni di dollari, un benefit del tutto rispettabile che ha superato ogni previsione presentata dagli esperti economici in fase di studio della decisione governativa. I dati sono stati presentati con un certo trionfalismo, anche perché risultato di un processo di nazionalizzazione che, a suo tempo, aveva suscitato critiche, clamore e ripicche. La Bolivia, invece, ce l’ha fatta e riportando le risorse minerarie sotto il controllo popolare, non ha solo aumentato i profitti, ma ha anche recuperato un notevole capitale per finanziare i progetti di indole sociale.
Cambiata la tendenza (oggi è lo Stato che incassa l’82% dei profitti, lasciando il 18% alle imprese estrattive, l’esatto contrario di quanto stabilito in precedenza), la Bolivia si sta mano a mano liberando del sistema economico che la teneva praticamente in ostaggio dei prestiti internazionali, orientamento confermato anche dal BID, la Banca Interamericana per lo Sviluppo, che ha disegnato proprio pochi giorni fa un quadro positivo dell’esperimento boliviano. La Bolivia ha infatti quadruplicato in pochi anni il volume di affari, conquistando la fiducia di investitori ed operatori finanziari: c’è più spazio quindi anche per i movimenti creditizi e per i progetti per lo sviluppo. Il BID proprio per questo, nel 2013 ha già elargito 400 milioni di dollari a diverse entità.
Sono trascorsi dieci anni dal ¨Plan República¨, la repressione programmata ed effettuata da Sánchez de Lozada, per imporre con la forza e con l’appoggio dell’esercito il piano di vendita sistematica degli attivi dello Stato alle multinazionali e la Bolivia non potrebbe essere più diversa di quanto aveva voluto immaginare l’ex presidente oggi esiliato negli Usa. Il controllo diretto dello Stato ha fatto crescere il patrimonio della statale YPFB (Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos) di cinque volte e, con l’industrializzazione del sistema estrattivo, ha elevato la produzione e le riserve provate di gas naturale. I soldi, insomma, rimangono in casa per una ridistribuzione che può e deve risollevare le sorti di quella Bolivia povera ed emarginata che per secoli ha chiesto emancipazione.