“Cosa ho provato quando ho sentito la notizia? Tristezza, ma non tanta alla fine. Ho provato soprattutto sorpresa. Insomma, come si fa a dare quel nome, Zebre, a una società che non ha nulla a che spartire con lo spirito di quello che noi abbiamo creato? E come si fa a dare quel nome senza interpellare le persone che in qualche modo ne sono ancora responsabili oggi?”.
Un combattente Marco Bollesan lo è sempre stato. E questa cosa delle Zebre non la manda giù. Già, le Zebre. Bollesan le fondò nel 1973 assieme al mai abbastanza compianto giornalista Pierluigi Fadda e a Renato Tullio Ferrari. Un club a inviti, non territoriale: cuore a Milano ma si andava a giocare ovunque. Impossibile e inutile ricordare qui la loro attività, che con il passare degli anni andò scemando fino a fermarsi del tutto alla metà degli anni ’90.
“Ci siamo fermati – mi dice Bollesan – sostanzialmente per motivi economici. Invitare i giocatori, farli viaggiare, ospitarli…. insomma, era diventato un costo che senza sponsor non era possibile sostenere. E poi il professionismo ha reso tutto più difficile: i club devono essere avvisati tempo prima, c’è bisogno di assicurazioni. Insomma, come ti muovi paghi. E io non ce la facevo a starci dietro”.
Ma il marchio…
“Il marchio c’è ed è registrato. Ora voglio capire, vedere cosa succederà e poi parlare con Dondi: il presidente mi deve spiegare questa cosa. Di certo non sono intenzionato a non dire nulla. O a fare nulla”.
Inutile giraci attorno, questa cosa ti fa male…
“Sì, mi fa male. Non sono d’accordo con quanto fatto. Gli Aironi erano una cosa, le Zebre un’altra. Le tradizioni ogni tanto bisogna seguirle, c’è necessità di farlo. Loro evidentemente pensano di poter fare quello che vogliono, ma si sbagliano, non credo proprio che le cose andranno così lisce”.
Ti sei chiesto perché darsi proprio quel nome? Perché tra tanti che potevano essere adottati la scelta è caduta proprio su quello?
“Vogliono sfruttare una tradizione, che le Zebre avevano 30 anni fa e che hanno ancora oggi. Credo che l’intenzione sia quella di darsi un briciolo di immagine, di appeal. E anche un po’ di storia. Ma noi eravamo una roba diversa. Siamo durati anni, e anche se da tempo non facciamo nulla torno a dire che siamo ancora qui. Ormai alcune società nascono e muoiono in 15 giorni…”.
Magazine Rugby
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Creato il 07 giugno 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpaPossono interessarti anche questi articoli :
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