Bolognesi e barbaricini

Creato il 14 gennaio 2012 da Zfrantziscu
In una lunga serie di articoli sul suo blog, l'amico Roberto Bolognesi tende a contestare con grande forza l'idea di una “costante resistenziale” nelle Terre interne della Sardegna, in particolare la Barbagia, e, soprattutto, a condannare senza appello – definendolo razzista – quanto sul tema della resistenza anti-romana ha scritto Max Leopold Wagner. Il tutto nasce dall'interesse suscitato da un articolo dell'archeologa Maria Ausilia Fadda sulla rivista “Archeologia viva”, articolo che – più nel titolo che nell'argomentazione – se la prende con il mito della impenetrabilità della Barbagia alle armate romane.Mettere in contrasto la purezza resistenziale di una parte della Sardegna con il collaborazionismo di altre parti, la montagna con la pianura, il mondo pastorale con il mondo contadino, è una corbelleria colossale. Così come, del resto, è una sciocchezza dividere la lingua sarda in logudorese e campidanese come identità non immediatamente intercomunicanti e – anche questo si è detto – espressione di due nazioni distinte, la campidanese, appunto, e la logudorese. Contro questa tesi aberrante, del resto, Bolognesi ha scritto delle cose fondamentali. Questo per dire che, se mai avesse ragione nel subodorare del sub razzismo nel mito della Barbagia resistenziale, io sarei con l'amico Roberto nel prenderne le distanze.Ma è davvero così? Davvero chi parla della resistenza opposta sui monti – e dove se no? In pianura? - ai romani fa una gerarchia di valori? Qui i puri, lì gli spuri? O, come capita a me quando ne parlo, si suppone che i montanari, anche quelli scappati dalle pianure e qui rifugiatisi, abbiano avuto più possibilità di contrastare l'avanzata dei romani? Che questo constrasto ci sia stato è indubbio. Dubbio è che ad alimentarlo sia stata una specie particolare di sardi, quelli del Gennargentu invece di quelli dei Sette fratelli o del Limbara. “Barbaricini” non è il nome collettivo di genti particolari, ma semplicemente l'appellativo dato dai romani ai “barbari”; la divisione nominalistica in Barbagia di Ollolai, Barbagia di Seulo, Barbagia di Belvì è cosa successiva e non vi capiterà mai di sentire un gavoese dire “Io sono un barbaricino” anziché “sono gavoese”. Amsicora e Yosto hanno opposto resistenza all'esercito di Roma non sui monti, ma sui monti il vecchio era andato a reclutare combattenti. Segno che si sapeva dei dispiaceri che i montanari ancora allora davano ai conquistatori. In definitiva, sono d'accordo con Bolognesi nel suo tentativo di cacciare dalla porta – e poi anche eventualmente dalla finestra – il sub razzismo che potrebbe nascondersi nell'esaltazione dei barbaricini resistenti e nella presa di distanza dagli altri sardi. Ma suggerirei prudenza nel negare che resistenti ci siano stati. Come spiegare, altrimenti, che tre secoli dopo la conquista della Sardegna, i discendenti dell'impero romano avessero a che fare ancora con una forte enclave resistente guidata da Ospitone?“Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, ha scritto Roberto Bolognesi ripendendo B. Brecht. È vero, ma è anche vero che di popoli beati non ne conosco alcuno. Non si può pretendere – lo dico non a lui, ma alla lunga teoria di intellettuali sardo-metropolitani – che ne faccia a meno un popolo cui si continua a negare la storia, con il pretesto che si tratta di miti.

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