Bomba mediterranea - Provato - PC

Creato il 26 ottobre 2015 da Intrattenimento

Di nuovo nei panni di Rico Rodriguez, mai così agili e scattanti

Il nostro ultimo incontro giocato con Just Cause 3 risale alla GamesCom, dove eravamo rimasti un po' con l'amaro in bocca, visto che la nostra prova aveva riguardato soltanto qualche attività secondaria, a cui è legato il nuovo sistema di mod (che trovate ampiamente descritto nell'articolo relativo). Questa volta ci è andata decisamente meglio: Square Enix ci ha messo difatti a disposizione un bel PC con sopra un codice molto più completo del titolo Avalanche, grazie a cui per la prima volta in assoluto era possibile provare la storia, muovendo i primi passi nelle nuove avventure di Rico Rodriguez. Il che, considerato che parliamo di uno dei personaggi più spericolati della storia dei videogiochi, equivale a dire che abbiamo combinato cose che voi umani...

twittalo! Abbiamo messo sottosopra il mondo, provando qualche ora la storia di Just Cause 3!

Partenza a razzo... anzi, a lanciarazzi

Just Cause 3 è a dir poco esplosivo, sin dall'inizio. Ma decide di aprirsi con stile, attraverso dei titoli di testa dal montaggio dinamico e incisivo, da videoclip, impreziosito da tocchi vintage molti vicini alla sensibilità estetica di Quentin Tarantino. Il tutto sulle note quantomai calzanti della cover di Firestarter firmata da Torre Florim, che rallenta l'adrenalinico classico dei Prodigy senza perderne la carica, trasformandone l'inaudito impatto frontale in uno "slowburn" dove i tempi della corsa della scintilla lungo la miccia si dilatano e si espandono in echi psichedelici, facendo percepire, secondo dopo secondo, l'imminenza con l'inevitabile. E di botti ne arrivano in abbondanza, non appena si prende in mano il controller, ritrovando Rico sul tetto di un aeroplano, armato di RPG con cui difendersi da velivoli e postazioni anti-aeree nemici. Le esigenze di tutorial, tuttavia, sono ferree e per quanto ci si possa impegnare la nostra "tavola da surf volante" viene inevitabilmente colpita, facendoci piombare in caduta libera a qualche centinaio di metri da terra. È arrivato il momento di aprire il paracadute e fare un ripassino sul suo utilizzo. E poi, nella gola rocciosa nei pressi della quale atterriamo, sgranchirsi con un altro inseparabile vecchio amico: il rampino. Subito dopo, in rapida sequenza, viene il turno di far cantare le armi, falciando alcuni uomini di Di Ravello (il dittatore che sta opprimendo Medici, la patria del protagonista, ispirata non troppo velatamente all'Italia) e di impossessarsi di un veicolo per raggiungere un crocevia dove forze dittatoriali e resistenza si stanno affrontando, spostando l'ago della bilancia a favore del bene. Nemmeno il tempo di tirar fuori un fazzoletto per asciugarci il sudore che ci viene consegnato un elicottero con il quale raggiungere un piccolo centro abitato assediato dall'esercito, da respingere con le cattive, meglio ancora servendosi degli argomenti di una postazione mitragliatrice posizionata sul campanile di una chiesa. Boom, boom, boom, una cavalcata di giocabilità che scorre via gratificante e precisa come un orologio. O quasi, visto che qua e là si nota qualche intoppo. Sebbene percettibilmente migliorata e più appagante rispetto a Just Cause 2, in termini di feeling e controlli, la componente shooter continua infatti a rimanere l'anello debole della serie di Avalanche, specie quando ci si mette anche l'intelligenza artificiale nemica, rimasta di livello perlopiù basico, talvolta ai limiti dell'inesistenza. Fin quando capita di beccare un soldato che corre contro un lampione nel bel mezzo di una bolgia in piazza si chiude volentieri un occhio (poco prima di farlo saltare in aria, assieme al resto, beninteso) quando invece l'obiettivo di una missione è spazzare via tutti i nemici e si rimane lì in stallo, anche per qualche minuto, perché non se ne vedono più salvo scoprire mettendosi poi a cercarli a tutto spiano che l'ultimo se ne stava impiantato dietro un angolo le cose possono farsi irritanti. Anche considerando certe sbavature come connaturali a un codice pre-alpha e quindi sperare di non vederle più nel definitivo, chi da questo terzo episodio si aspetta il raggiungimento di una piena maturità, una giostra di gameplay solidissimo a trecentosessanta gradi, farebbe comunque bene a mettere in preventivo che gli scontri a fuoco potrebbero non essere all'altezza del resto. Just Cause 3 - Trailer "Firestarter"

Dire, fare, sfasciare

Le prime vere e proprie missioni di gioco continuano ad avere una funzione propedeutica, introducendo ad alcune novità già ampiamente note, ma che sembrano vincenti anche a un test più approfondito. La prima è la tuta alare, la cui funzione naturale è inserirsi come una liaison tra il paracadute e il rampino, ma si può prestare a tante improvvisazioni, portando a un nuovo livello la libertà di esplorazione e le possibilità di espressione acrobatica. La seconda è la maggior duttilità del rampino, che può essere collegato a più oggetti contemporaneamente e dispone ora di una modalità di "riavvolgimento" dedicata che, facendo il paio con una fisica degli oggetti più precisa, permette di escogitare soluzioni veramente fantasiose e divertenti, come nemmeno in un Half-Life 2 in acido. Un esempio? Tra gli obiettivi per liberare la ridente cittadina di Mananea c'era quello distruggere una statua di Di Ravello, ma avevamo finito tanto i colpi di lanciarazzi che le granate. A un certo punto ci si è accesa in testa una lampadina: abbiamo arpionato una delle numerose auto con cui i suoi scagnozzi irrompevano in scena, l'abbiamo collegata al monumento e riavvolto il cavo, poi abbiamo fatto lo stesso con un'altra, e un'altra ancora, fino a farlo assomigliare a un grappolo d'uva, che ha finito per collassare su sé stesso, raggiungendo comunque il risultato. Stesse grandi soddisfazioni durante Una Terribile Reazione, missione che ci ha spostato dall'iniziale Insula Fonte a Sirocco, un'altra isola dell'enorme arcipelago di Medici, più precisamente a Costa del Porto, splendida città che ricorda molto alcune delle nostre bellezze costiere, su cui Di Ravello ha scatenato una spietata rappresaglia, con tanto di carri armati e bombardamenti aerei. Dopo aver debellato le più grosse minacce in centro, dovevamo aiutare alcuni compagni a scappare fuori città, mentre venivano braccati da mezzo esercito. La soluzione più ovvia era rimanere sulla macchina con i nostri compagni, provando a tenere a bada le minacce da lì, ma presto ce ne siamo fregati totalmente e ci siamo messi a giocare con gli elicotteri inseguitori, spostandoci agilmente da uno all'altro, rubandoli uno a uno, per poi farli precipitare o sfruttarne la potenza di fuoco per spazzare le auto che stavano alle calcagna dei nostri complici. Buon sandbox non mente, insomma, e Just Cause 3 sembra non tradire affatto le caratteristiche che hanno reso la serie un cult, fino a raggiungere i meritati consensi anche sul fronte commerciale. Ma sembra anche presentare il quantitativo di sale in zucca che ci si aspetta da un terzo episodio, con il quale una saga dovrebbe raggiungere la piena maturità in termini di design. Facendo un esempio: per radere al suolo Vis Elettra, una delle innumerevoli basi di Di Ravello non dovevamo solo distruggere cisterne, strutture elettriche e installazioni satellitari, ma occorreva anche sfasciare delle turbine protette da dei portelloni. Per esporle occorreva azionare manualmente, in rapida successione, due diversi interruttori e procedere entro un certo quantitativo di tempo, pena la chiusura dell'involucro. "In passato magari si sarebbe potuto prendere un elicottero, bombardare tutto e, ok, missione compiuta", ci ha spiegato Hamish Young, Lead Vehicle Designer di Avalanche, presente durante il nostro hands on, "mentre ora teniamo assolutamente che il giocatore assaggi quante più sfumature di giocabilità, scopra tutta la ricchezza di gameplay che abbiamo cercato di infilare nel gioco". E una sensazione di "quadratura del cerchio" Just Cause 3 ce l'ha data anche in termini prettamente narrativi. Intendiamoci: la serie era e rimane uno spassoso coacervo di assurdità, solo che ora sembra farlo meglio, in maniera più ricercata e brillante. Complice anche il fatto che c'è in ballo la sua terra natia, lo stesso Rico appare particolarmente affranto, teso e combattuto, ma questo non fa che fungere da contraltare per il suo carattere sprezzante e incosciente, esaltandolo: volendo, ora appare come una versione politicamente scorretta di Nathan Drake, con un'irruenza che manderebbe Mad Max a nascondersi con la coda tra le gambe, probabilmente. E piace molto anche il modo con cui si sia andato a pizzicare, in maniera sottile e perspicace, nella nostra cultura e i suoi stereotipi, per restituirne una lettura dissacrante a tratti semplicemente irresistibile. Un aspetto riguardo cui, come ci ha spiegato Young, ha fornito una preziosa mano il Senior Designer del gioco, l'italianissimo Francesco Antolini. Per buttarne là una senza rovinare troppo il gusto di scoprire da sé: a un certo punto ci si intrattiene in una sentitissima conversione sulla libertà, l'importanza di un'insurrezione e la necessità di sconfiggere la tirannia assieme al miglior amico di Rico, il rivoluzionario Mario Frigo (e già qui...), mentre sua nonna lo chiama dalla finestra, via via più scocciata, che la parmigiana è in tavola e si sta raffreddando... C'è bisogno di aggiungere altro? No, se non che non vediamo l'ora di farci una gran scorpacciata con la versione completa dell'ultimo grande esponente di un 2015 da molti definito come "l'anno dei titoli open world" e che potrebbe davvero concludersi col botto.


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