Ma di certo non si era assopita, niente affatto. Non era forse tanto presente, questo sì. D’altronde è difficile essere consci della realtà esterna quando un libro ti cattura totalmente e ti trasporta nel suo universo parallelo.
La ragazza girovaga leggiadra nel mondo onirico creato da “L’ombra di Vento” di Zafón, libro che ha letto già per ben due volte ma che non smette mai di affascinarla. La giovane è immobile, ipnotizzata e quasi non sembra respirare tanto è ferma. Intanto il tram, i passeggeri, i posti che si liberano e si riempiono, i finestrini appannati per via della pioggia esterna si tingono di una patina opaca, come quella che riveste i ricordi. Tutto ciò che circonda la ragazza pare essere uscito da un film o provenire da un sogno. Ma lei non si accorge di nulla, assolutamente no. Solo lo spettatore esterno, magari un passante che cammina protetto da un ombrello o un automobilista in sosta al semaforo vicino al tram, può percepire i contorni sfocati di ogni cosa, le chiome sbiadite degli alberi, i perimetri indefiniti degli oggetti ed i passeggeri in attesa alle fermate, avvolti in un manto invisibile mentre fluttuano nell’aria con naturalezza.
Il ronzio del traffico fino a quel momento rimane fuori dal vagone. Poi, come il suono della sveglia che arriva nel momento cruciale di un sogno, ecco che i clacson dei veicoli e i rombi delle motociclette rompono la magia, spezzano la trance, l’ipnosi.
La ragazza ha uno scatto, sussulta. Chiude il libro e guarda fuori, dove il sole splende alto nel cielo.
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