Borderline: immaginazione, arte e follia in mostra a Ravenna.

Creato il 26 marzo 2013 da Lundici @lundici_it

“Questa mostra non mi è piaciuta. I quadri non sono un granché”. E invece a me è entrata dentro, poco alla volta, mentre uscivo dal MAR, recuperavo l’auto, sbagliavo i sensi unici di Ravenna e infilavo l’autostrada per tornare a Bologna con immagini ed evocazioni Borderline che continuavano a rimbalzare tra le mie connessioni neuronali.

Chi cerca opere da manuale di storia dell’arte, ma anche alcuni tra i più noti artisti folli, a partire da Van Gogh, rimarrà deluso. Buona parte dell’esposizione è rappresentata da espressioni dal variegato valore estetico: suggestivi ritratti a china e opere astratte si accostano a disegni da bambino delle elementari. Ma il merito di Borderline, in corso fino al 16 giugno, non sta (solo) nel valore intrinseco delle opere esposte. Attraverso gli occhi, questa mostra sveglia il pensiero. Sollevando domande che hanno percorso la storia della filosofia fa venir voglia di inseguire risposte o anche solo di cercare per il gusto di cercare, che mi ha portato a una piccola esplorazione storico-artistica del confine tra sano e folle e tra reale e fantastico, sotto la guida degli autori e dalle opere esposte al MAR.

Il concetto chiave da cui partire è immaginazione. Comunemente definita come capacità di rappresentarsi cose non presenti ai nostri sensi, nella storia è stata di volta in volta esaltata come canale di conoscenza o rifiutata come intralcio a un sapere puramente razionale. È però solo dalla fine del ’400, quando  Hyeronimus Bosch e Pietr Bruegel creano sorprendenti figure allegoriche per esprimere i vizi e le debolezze umane, che questo concetto si associa a quello di arte. Poi sono arrivati l’Empirismo secentesco e l’Illuminismo del Settecento, e l’immaginazione  si è trovata relegata ad accessorio da maneggiare con cautela, rigorosamente entro i limiti delle convenzioni sociali. Con il Romanticismo, Kant rispolvera la teoria aristotelica della funzione conoscitiva dell’immaginazione e nella “Critica del giudizio” la descrive accanto all’intelletto e alla ragione come capacità intuitiva che produce l’esperienza del bello e del sublime. Ma l’immaginazione liberata chiama alla vita anche i fantasmi annidati nell’animo umano, che diventano protagonisti delle pitture nere di Francisco Goya e dei ritratti di alienati monomaniacali di Géricault.

Ed ecco infine il Novecento. La fotografia è ormai consacrata come strumento di riproduzione della realtà, togliendo alle arti figurative la funzione di rappresentare il mondo esterno. Allo stesso tempo, la nascita della psicoanalisi e degli studi psicologici spalanca agli artisti le porte dell’interiorità. Il gruppo Der blaue Reiter teorizza un approccio “spontaneo” all’arte e nel 1912 pubblica un almanacco in cui opere di arte primitiva e dipinti di bambini trovano posto e dignità accanto all’arte contemporanea. Similmente, il manifesto surrealista del 1924 esalta il valore dell’inconscio che emerge nel sogno e  ogni qualvolta la sua espressione non sia costretta da freni inibitori. La follia è la forma più perfetta di superamento dei limiti imposti dalla razionalità. Nel 1945, mentre gli ospedali psichiatrici si riempiono di reduci della Grande Guerra, l’apprezzamento delle avanguardie per l’arte “folle” viene ripreso da Jean Dubuffet e diventa elemento centrale dell’idea di Art Brut: “Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l’acclamazione e la promozione sociale non interferiscono – sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti„. Ma non basta l’esaltazione dell’“espressione senza filtro” a risolvere il conflitto esistenziale di chi si trova nella posizione di outsider.  Per protesta contro il perbenismo dominante, negli anni ’60 nasce, infatti, il cosiddetto Azionismo Viennese, un gruppo di artisti che fa del corpo, spesso sfregiato o insanguinato, la metafora dell’uomo provato da un malessere interiore ormai cronico.

Mattia Moreni – Autoritratto N. 2 – 1986

Borderline è una mostra assolutamente contemporanea, non solo perché alcuni degli artisti esposti sono tuttora in vita ma anche perché racconta inquietudini in cui tutti in qualche misura si possono riconoscere. L’accostamento voluto di artisti ufficiali e di artisti non professionisti ne accomuna in alcuni casi le esperienze di vita, evidenziando quanto sia arbitraria l’inclusione o esclusione dei singoli dalla cerchia sociale come dall’onore degli allori. Così se l’arte è un modo per esorcizzare l’incapacità di vivere secondo i dettami sociali, l’esposizione di sguardi alienati in un museo in certa misura trova loro uno spazio nella collettività.

Infine, la mostra lascia intravedere una via di salvezza dall’alienazione del nostro tempo: scoprire e accogliere la realtà di se stessi attraverso il sogno. In fin dei conti, come  ha scritto Hölderlin, “Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette”.  

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