Il concetto che lega tutti i racconti di Finzioni, di Jeorge Luis Borges, può così riassumersi: i libri sono labirinti. Labirinti orditi dagli uomini e fortunatamente destinati ad essere decifrati, a differenza di una realtà ordinata, sì, ma da leggi divine e perciò inumane, che non finiamo mai di scoprire.
I libri di narrativa, in particolare, ruotano tutti intorno allo stesso argomento, sviluppandone tutte le permutazioni immaginabili: infinite storie, infinitamente ramificate nel tempo, non nello spazio. Ecco allora la chiave per leggere ed interpretare la letteratura ipertestuale.
Nell’opera di Ts’ui Pen vi sono vari scioglimenti possibili e ognuno diventa punto di partenza di altre biforcazioni. Questa struttura dà adito a diverse controversie filosofiche, prima fra tutte quella sul tempo.
Il giardino dei sentieri che si biforcano è un enorme indovinello, o parabola, il cui tema è il tempo (…) è un immagine incompleta, ma non falsa, dell’universo quale lo concepiva Ts’ui Pen, (egli) non credeva in un tempo uniforme assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una “rete” crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli.
Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità.
Tale tesi, in “Finzioni”, non manca della sua antitesi, poiché “un libro che non includa il suo anti-libro è considerato incompleto”. E così Borges ne “La morte e la bussola” fa delirare Red Scharlach, personaggio in cerca di vendetta per la reclusione del fratello, sulla frase del goìm: ” sentivo che il mondo è un labirinto dal quale è impossibile fuggire, poiché tutte le strade, anche se fingevano di portare a nord o a sud, portavano realmente a Roma”.
Ancora una volta è nella realtà che si infrangono quindi tutte le biforcazioni possibili dell’immaginario.