La fregatura delle aspettative è che si basano quasi sempre su preconcetti privi di fondamenta reali.
La mia idea delle bambine era assai diversa da come in effetti io sia stata da bambina.
La mia convinzione era che non sarei mai riuscita a creare un legame empatico con una figlia femmina.
La mia teoria era che io stessa da bambina non avevo avuto grandi rapporti con le altre bambine, che ho sempre preferito la compagnia dei maschi, che infine il mio ambiente familiare, impostato sul modulo femmina-maschio-femmina-maschio-maschio, mi vedeva circondata di fratelli maschi, coi quali mi intrattenevo assai più tempo e assai meglio che con mia sorella, che avendo ben 6 anni più di me, quando io ancora giocavo al Wrestling sul lettone dei miei con Totto e Ergino, lei già si macinava i pomeriggi sul vocabolario di greco antico, e i suoi unici interventi nel nostro gioco in questi casi erano per porvi fine in maniera violenta e traumatica, distribuendo un po' di botte per tutti, ma senza simulare le mosse di Hulk Hogan o Jake The Snake Roberts.
L'amichetta del cuore della mia infanzia, Cristina, era una vera e propria rompipalle. Litigavamo spesso e sempre quando io mi rompevo le scatole delle sue pretese e la mandavo a cagare. Poi quando lei voleva rappacificarsi veniva a cercarmi ed io ero sempre disponibile. Ma se ero io ad avvicinarmi a lei per prima, metteva il broncio e prima di concedermi il suo perdono doveva farmela pagare. Insomma, una vera rottura.
Diciamo che i maschi invece sono molto più diretti e lineari. Già da allora avevo imparato che femmina uguale scocciatura. Quindi mi gloriavo di non aver avuto mai nessuna Barbie, di guardare cartoni animati, se non proprio da maschi, almeno al limite tra i due sessi, come I cavalieri dello Zodiaco e la prima serie di Dragonball, snobbavo Candy Candy, Lovely Sarah, Georgie, Lady Oscar e Creamy.
In realtà questo atteggiamento era un po' forzato, e mi costò l'unica Barbie mai avuta in mia vita, regalo di compleanno da parte del mio amico Pierluigi del 6°piano, regalo che io avevo deriso davanti ai miei fratelli, ma che segretamente innalzavo a baluardo della mia femminilità. La tenevo nella confezione integra come in una teca di cristallo. Non potevo giocarci: ne andava della mia reputazione. Mio padre quello stesso Natale la regalò alla figlia di un suo amico in visita, dal momento che non trovò niente di meglio da offrirle, e di fronte alle mie rimostranze, quando sorpresi la piccola impostrice a impugnare la mia unica Barbie mai avuta, mi disse: "Ma tu non ci hai mai giocato, non l'avevi neppure tolta dalla scatola".
Questa è rimasta una nota dolente della mia infanzia, e la conferma che le bambine erano una gran manica di smorfiose cretinette rubagiocattoli.
E fu così che crescendo continuai a desisreare un figlio maschio.
Ma solo perchè con una bambina proprio non mi ci vedevo.
Le bambine fanno la ruota e mettono la gonna, cose che io non facevo mai, da piccola.
Poi, quando seppi dall'ecografia che Lei era una femmina, me ne son dovuta fare una ragione.
Al corso pre-parto di Musicoterapia etc etc. ci facevano "visualizzare" il bambino: per quanto mi sforzassi io non riuscivo ad immaginare altro che una copia di me, come la conoscevo attraverso le mie foto, intorno ai due anni d'età, caschetto biondo, nasino all'in sù, faccia tonda, con in braccio il gatto Biscotto nella soffitta di mia nonna in Sardegna... (questa foto solo riuscivo a visualizzare, nient'altro).
A questo proposito il libro che sto leggendo ora (vedi post precedente) dice:
"Con la propria figlia c'è, fin dal momento del parto, un senso di identità, comunione, fusione in un certo senso connesso all'idea di replicare se stesse".
Ecco: proprio quello che intendevo. Solo che per me questa identificazione è durata fino e non dopo il momento del parto.
Poi l'ho vista, e, a dire la verità sono rimasta un po' scioccata. Non delusa ma costernata.
Chi era quella specie di bambina cinese che era appena saltata fuori da me? Sembrava proprio cinese e per di più era enorme. Come caspita aveva fatto a stare dentro di me, in quello spazio tondo e limitato, ancorchè alquanto ingombrante visto da fuori, che era la mia pancia? Diciamo che una pancia all'ottavo-nono mese può essere paragonata a una city-car: abbastanza contenuta fuori, per consentire ed agevolare le manovre di parcheggio, spaziosa all'interno per offrire il massimo del confort al passeggero.
La pupa comunque non sembrava quella con la quale mi ero illusa di aver comunicato telepaticamente per mesi, incoraggiata in questo vaneggiamento dalle ostetriche del corso pre-parto.
Io mi ero rivolta a una me stessa in miniatura e questa era tutta un altra persona.
Dopo averla un po' ripulita, i medici me la riportano e mi dicono: signora, vuole tenerla?
Va detto che il padre si era rifiutato di prenderla in braccio per primo, perchè cavallerescamente voleva dare la precedenza a chi aveva fatto tutto il lavoro sporco, cioè la sottoscritta, che intanto se ne stava ancora sdraiata su quel tavolaccio da macellaio a gambe spalancate, mentre continuavano a tirarle fuori robaccia dall'utero, spremendo in tutti i sensi la sua pancia improvvisamente diventata floscia floscia come un palloncino sgonfio.
Mi mettono questa bestiolina urlante sul petto, che in quel momento non era proprio la cosa che desiderassi di più al mondo, dato che non riuscivo neppure a sollevare la testa per guardarla, avrei preferito potermi ricomporre un po' prima, e avevo paura che da quella posizione mi cadesse.
Ma le ho parlato, se pure con un certo imbarazzo, per la prima volta rendendomi veramente conto di chi avevo davanti, e lei (miracolo!) ha smesso di piangere!
Questo è stato l'unico contatto che ci è stato concesso di avere prima che la pupa venisse trasportata al nido, mentre il padre veniva spedito in cerca degli abitini della bimba, e al suo ritorno, non trovando più la figlia e sentendosi dire che avrebbe potuto rivederla solo la sera successiva previo appuntamento, ha alzato un casino che non vi dico, e poco ci mancava tirasse un cazzotto a un medico, cosa che io pregavo non accadesse.
Inizio di paternità alquanto traumatico. Lui per fare il cavaliere è stato privato della possibilità di prendere in braccio la figlia appena nata per declinarla a me, che ne avrei fatto volentieri a meno in quel momento.
Quindi quando leggo quanto sia importante creare un legame profondo tra madre e figlio tramite un contatto immediato e prolungato subito dopo il parto, un po' mi sento defraudata di quella possibilità.
Ma comunque: così è andata con la pupa, e anche se forse quel contatto e quel riconoscimento immediato e reciproco ci è mancato, ora lei è proprio la mia pupa, e nessun'altra, e che potesse essere diversa da come è mi sembra impossibile e assurdo. Ma che idiota: certo che se è figlia mia non poteva che essere come è.
Un maschio? Ora come ora mi sembra un'eventualità inimmaginabile. Non lo voglio più il maschio. Voglio solo la pupa.
(to be continued...)